L’8 luglio verrà presentato nel carcere di Sollicciano, nella cornice d’arte e bellezza del Giardino degli Incontri, il luogo magico pensato da Giovanni Michelucci con i detenuti come suggello della sua vita, la seconda edizione arricchita degli scritti di Alessandro Margara dal titolo suggestivo “La Giustizia e il senso di umanità”.
Nel giorno dell’inaugurazione del Giardino, il 26 giugno del 2007, ricordo il discorso di Sandro Margara che ricostruiva il significato di questo luogo proiettato verso un futuro di cambiamento: uno spazio pensato per gli affetti e per un contatto tra la città e il carcere; uno spazio come anticipatore di riforme, come quella per rendere concreto il diritto all’affettività e alla sessualità delle persone private della libertà.
Purtroppo, dopo quindici anni tale diritto non solo non si è concretizzato, ma è soprattutto osteggiato dalle forze politiche che, nel recente referendum, si sono travestite da paladini della giustizia giusta. La proposta di legge per il diritto all’affettività, approvata dal Consiglio Regionale della Toscana, è ferma presso la Commissione Giustizia del Senato dopo l’illustrazione della relatrice Monica Cirinnà e una discussione generale che ha toccato espressioni da lupanare.
La crisi del carcere non è di oggi, si è solo incancrenita dopo due anni di Covid che hanno provocato rivolte, morti, pestaggi e blocchi intollerabili dei colloqui, dei corsi scolastici, delle attività del volontariato. In nome della salute, si è dato forma a una istituzione chiusa davvero “totale”.
Margara aveva compreso per tempo la deriva in agguato e perciò aveva redatto un testo di riforma dell’Ordinamento penitenziario (ben prima degli Stati Generali e delle tante Commissioni istituite dopo), con l’aiuto di un Gruppo di lavoro in cui erano presenti tra gli altri Franco Maisto e chi scrive. La proposta di legge (n. 6164) che ne scaturì fu presentata da Marco Boato alla Camera dei Deputati il 3 novembre 2005, insieme a Finocchiaro, Fanfani e Pisapia. Fu ripresentata nella legislatura successiva ma rimase colpevolmente nei cassetti.
L’ultimo scritto di Margara è intitolato “Punti interrogativi” e rappresenta un atto d’accusa per un carcere ridotto a discarica sociale. Negli ultimi anni, aveva accentuato la radicalità di pensiero, condita di passione che ben traspariva sotto l’ironia tagliente.
Nella relazione alla proposta di legge, un capitolo era dedicato al contrasto al sovraffollamento, suggerendo di considerare il carcere come extrema ratio e di intervenire riducendo l’area della cosiddetta “detenzione sociale” (reati di droga, tossicodipendenti, immigrati, poveri, che insieme assommavano a circa il 65% delle presenze). Margara annotava: “Non sono, quindi, le carceri che sono poche, ma sono i detenuti che sono troppi e non bisogna agire per aumentare i posti-detenuto, ma per trovare, anziché il carcere, luoghi sociali per affrontare i problemi del disagio sociale”.
Voglio ricordare l’idea di istituire le “case territoriali di reinserimento sociale”: presidi in ambito comunale, di dimensioni limitate, destinate ad accogliere detenuti con fine pena fino a diciotto mesi. Particolarmente innovativa è la proposta di porre a capo delle “case di reinserimento” il Sindaco, con programmi affidati a operatori di rete delle associazioni di volontariato e del terzo settore.
Mauro Palma, nella Relazione al Parlamento 2022, ha ricordato che sono ristrette ben 1319 persone condannate a meno di un anno e 2473 con una pena da uno a due anni. Il dato ancora più esplosivo è che sono in carcere 6889 persone con un residuo pena fino a un anno e 7064 fino a due anni. Va messo mano al cambiamento, subito. Se si dice no ad amnistia e indulto, se si negano misure di ristoro, allora si pensi al numero chiuso. È il minimo, per dare dignità e senso costituzionale alla pena. Ministra Cartabia, prenda la parola.