Senza questa evoluzione le sole modifiche strutturali come quelle relative ai nuovi “edifici” previsti dal PNRR e agli incrementi nel numero dei professionisti disponibili non miglioreranno più di tanto la qualità dei servizi erogati ai cittadini
Ieri su QS è stata data la notizia che il Consiglio di Stato ha bocciato le Unità di Degenza Infermieristica (UDI) attivate dall’Azienda Ospedaliera di Perugia mettendo così fine – si legge – ad una lunga azione legale avviata in Umbria dai sindacati Cimo e Aaroi.
Sicuramente verranno dai rappresentanti della professione infermieristica altre critiche più di merito. Io mi limito a considerazioni dal punto di vista generale di chi si aspetta e auspica una evoluzione culturale e organizzativa del Servizio Sanitario Nazionale.
Senza questa evoluzione le sole modifiche strutturali come quelle relative ai nuovi “edifici” previsti dal PNRR e agli incrementi nel numero dei professionisti disponibili non miglioreranno più di tanto la qualità dei servizi erogati ai cittadini.
Tra le modifiche culturali e organizzative più significative ci sono quelle relative ai ruoli professionali ai vari livelli. In particolare, ma non solo, la risposta alla cronicità (ancora la principale priorità in termini di problemi di salute) richiede la ridefinizione dei ruoli (e quindi della formazione) delle varie figure professionali prerequisito per la attivazione di nuovi modelli organizzativi.
Mi limito ad alcuni esempi davvero banali, ma importanti, esplicitamente previsti dal (o comunque coerenti col) DM 77:
- la creazione di ambulatori infermieristici per lo scompenso cardiaco;
- la introduzione dell’infermiere di famiglia e di comunità;
- la attivazione degli Ospedali di Comunità;
- lo spostamento di gran parte della diagnostica di primo livello nelle Case della salute;
- il potenziamento della telemedicina.
Ognuno di questi percorsi organizzativi richiede di ragionare sul rapporto tra le varie figure professionali coinvolte: medici specialisti, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, infermieri e tutti gli altri professionisti.
Ma lo stesso vale anche per l’ospedale in cui con la stessa filosofia (quella della multiprofessionalità che ridefinisce i confini delle singole professioni) si possono e si debbono sperimentare modelli organizzativi nuovi, quale la Unità di Degenza Post-acuzie a gestione infermieristica.
Si tratta di un modello la cui sperimentazione è iniziata a Rimini nel 2002. Un articolo che descriveva nel 2016 questa già allora lunga esperienza concludeva: “Oggi la professione infermieristica, anche attraverso l’esperienza dell’Unità Operativa Post Acuti e di tutte le altre realtà a gestione infermieristica, ha dimostrato di possedere conoscenze teoriche avanzate e scientificamente supportate, un metodo di lavoro ed un linguaggio disciplinare specifico, conoscenze cliniche avanzate ed esperienze ampiamente validate, che consentono di affrontare a testa alta le nuove sfide professionali che il Sistema Sanitario Nazionale e Regionale sta affrontando”.
La sentenza di Perugia rimette il calendario della sanità pubblica italiana indietro di 20 anni. E questo per iniziativa, se ho ben capito, di due sindacati medici. Quello che mi colpisce è il modo sistematico con cui dal mondo medico vengono messe in discussione le innovazioni organizzative che dovrebbero valorizzare il contributo specifico di ogni professione, ma vengono vissute come una “erosione” della operatività tipica del medico.
Questo è avvenuto ad esempio per il coinvolgimento degli infermieri nella gestione dei codici bianchi e per le ambulanze con soli infermieri .
Quello in particolare che mi colpisce in tutte queste vicende è che questa difesa del ruolo professionale del medico avvenga “a prescindere” da qualunque considerazione di merito. Molte delle innovazioni che questa difesa contrasta sono valutabili sulla base di esperienze già condotte sul campo.
Ad esempio, nel caso specifico della post-acuzie a gestione infermieristica l’articolo che ho citato riporta i dati della attività di un anno rilevando che “il gruppo assistenziale ha dimostrato, attraverso i piani assistenziali, di aver raggiunto i risultati pianificati nel 94% delle situazioni.”
Purtroppo la sentenza sembra riflettere un clima diffuso in Italia di rilancio della centralità del medico e dell’ospedale e di netta opposizione a quei cambiamenti culturali e organizzativi di cui la lungodegenza di Perugia costituisce una espressione. Non ci si deve poi stupire o lamentare che in Italia per la prima volta negli ultimi 11 anni il numero dei laureati in infermieristica sia sceso sotto 10 mila (vedi QS di ieri).
fonte: Quotidiano Sanità