RIFORMA PENITENZIARIA. È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown.
A Perugia il Gip ha ordinato alla procura di indagare sul perché i pubblici ministeri di Viterbo hanno archiviato una denuncia di tortura, che meritava, per la sua credibilità, un’adeguata investigazione. Un giovane egiziano, dopo essere stato presumibilmente torturato, si suicidò. Dunque, si rompe il muro corporativo e la magistratura indaga sulle proprie omissioni e inerzie.
È trascorso quasi da un anno da quel 14 luglio in cui la ministra Marta Cartabia e il Presidente Mario Draghi tennero una conferenza stampa fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere per stigmatizzare le violenze brutali e di massa che erano avvenute in quell’istituto di pena nel 2020 in pieno lockdown. Una violenza che si contrasta con una rivoluzione culturale, con la formazione ma anche con nuove regole di vita penitenziaria, moderne e innovative. Il capo del Governo disse parole inequivocabili: «Le indagini in corso ovviamente stabiliranno le responsabilità individuali. Ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Il Governo non ha intenzione di dimenticare».
E la stessa Ministra preannunciò imminenti riforme. Fu di parola e istituì una Commissione per l’innovazione penitenziaria affidandone i lavori alla guida del prof. Marco Ruotolo, costituzionalista da sempre attento alla questione carceraria. Lo scorso dicembre furono messi a disposizione del Governo tante proposte di riforma per via amministrativa, regolamentare e normativa.
È arrivato il momento di approvarle. È arrivato il momento di portare in consiglio dei ministri e all’attenzione del parlamento e della presidenza della Repubblica il nuovo regolamento penitenziario. Esso deve includere norme che allarghino le opportunità di lavoro e di studio dentro e fuori le mura, riducano l’impatto del modello disciplinare, estendano le forme di custodia attenuata, liberalizzino la possibilità di telefonare e le videochiamate, favoriscano l’uso della rete e l’invio di mail, evitino che la permanenza in carcere coincida con una chiusura nella cella per quasi tutta la giornata, sburocratizzino la vita detentiva, tengano conto dei bisogni e dei diritti delle donne detenute, tutelino i diritti dei detenuti Lgbt+. Sono alcune delle cose che possono e debbano essere fatte ora, prima che l’estate con il caldo aumenti le tensioni.
Dall’inizio dell’anno si sono suicidati ben ventisette detenuti. Ogni suicidio è una storia a sé. L’insieme dei suicidi segna una sconfitta da parte delle istituzioni che non riescono a prevenire e contrastare le intenzioni di morte. Suicidi e tensioni non si contrastano chiudendo le persone detenute nelle loro celle, ma umanizzando e modernizzando la vita in galera. Tutti ricorderanno uno spot pubblicitario della vecchia Sip con Massimo Lopez che riceve una telefonata mentre un plotone di esecuzione è pronto a fucilarlo. Una telefonata allunga la vita, recitava lo spot. Ecco lo slogan che deve accompagnare la riforma penitenziaria.
Una telefonata, in un momento di disperazione, tristezza, di voglia di farla finita, può allungare la vita. Partiamo dalla liberalizzazione delle telefonate per una nuova vita penitenziaria che parta dai diritti e dai bisogni delle persone e non da indistinti e indimostrate ragioni di sicurezza.
fonte: il manifesto