Dopo l’ondata migratoria del secondo dopoguerra, l’emigrazione italiana si è attenuata ma mai esaurita e negli ultimi anni ha conosciuto una ripresa delle partenze sempre più consistente. Una delle questioni cardine nell’analisi di questa ripresa dell’emigrazione italiana riguarda la misurazione delle partenze dall’Italia e della reale entità numerica dei cittadini italiani presenti all’estero. Sapere quanti sono gli italiani che vanno via e che lavorano e vivono all’estero non ha solo un valore scientifico, ma ha anche una sicura significatività in campo politico. Insieme al numero delle partenze, il saldo migratorio con l’estero rap-presenta un indicatore rilevante per la comprensione dell’emigrazione e per analizzarne gli effetti sulla struttura sociale. Esso è dato dalla differenza tra le partenze e i rientri dall’estero. In altri termini, il saldo migratorio con l’estero è la differenza fra le cancellazioni dai registri anagrafici per destinazioni estere dei cittadini italiani e le iscrizioni all’anagrafe dei Comuni italiani di quelli provenienti dall’estero. Quando questo indicatore assume un valore negativo significa che è in atto una perdita di popolazione, in caso contrario si ha un aumento della popolazione residente.
Nella storia italiana il saldo migratorio si è mantenuto costantemente al di sotto dello zero fino alla metà degli anni settanta del secolo scorso. Con riferimento a un tempo più vici-no, cioè agli ultimi decenni della grande emigrazione intraeuropea, dal 1973 circa si è innescato un recupero della popolazione italiana grazie ai rientri dall’estero di molti cittadini italiani con precedente esperienza migratoria. Questa tendenza si è mantenuta pressoché co-stante almeno fino alla seconda metà degli anni novanta del secolo scorso, quando il saldo migratorio con l’estero ha cominciato a scendere gradualmente nell’area negativa pur assumendo un andamento altalenante attorno allo zero. Questo indicatore ha ripreso valori nega-tivi in maniera sempre più significativa a partire dal 2007, quando è passato da un valore positivo pari a 394 unità fino a una valore nega-tivo pari a più di 80 mila unità registrato nel 2016. Dato tanto più significativo se si considera che il saldo migratorio con l’estero nel 2016 ha raggiunto un livello negativo che non conosceva più dal lontano 1966. Il fenomeno è dunque apprezzabile e si potrebbe arrivare a una sua stima migliore ricorrendo alle fonti statistiche dei paesi di destina-zione degli italiani emigrati, cioè considerando il fenomeno sia come emigrazione che come immigrazione. Da un lato deve essere misurato con le fonti del paese di partenza, ma d’altro canto esso va misurato anche come immigrazione, cioè con le fonti statistiche dei paesi di ar-rivo, considerando che alle partenze dovrebbero corrispondere degli ingressi.
Secondo le fonti tedesche dal 2012 al 2015 più di 130 mila italiani si sono iscritti ai registri anagrafici. Dunque, si rileva che il numero degli italiani che entrano in Germania è più alto di quello registrato dalle cancellazioni anagrafiche in Italia in uscita verso lo stesso paese. Ri-prendiamo qui questo esercizio di comparazione con le fonti di un’altra tradizionale meta dei flussi migratori italiani verso l’estero, la Svizzera.Ancora una volta l’entità e la crescita dell’immigrazione ita-liana registrata dalle fonti svizzere sia molto più accentuata rispetto all’entità e alla tendenza della crescita dello stesso fenomeno registrata dalle fonti italiane. Nel 2007, secondo l’Istat, le cancellazioni per la Svizzera erano pari a poco più di 3.700 contro un valore degli ingressi di italiani registrati dall’Ufficio federala statistico pari a 8.500 unità, con uno scostamento tra le due fonti del 130%. Nel 2015, quando le cancellazioni sono pari a 11 mila unità circa, gli ingressi sono quasi 19 mila e lo scostamento tra i due dati scende al 65%. In altre parole, dal 2007 gli italiani che entrano in Svizzera sono molti di più di quelli che vi emigrano, pertanto è lecito ritenere che la perdita di popolazione con cittadinanza italiana che sceglie di risiedere in questo paese sia più alta di quanto le statistiche ufficiali italiane lascino supporre.La determinazione dell’entità numerica delle collettività dei cittadini italiani residenti all’estero è anch’essa un compito non facile che solitamente viene affrontato ricorrendo ai dati Aire, cioè al numero regi-strato dall’anagrafe degli italiani residenti all’estero.
Secondo questa fonte al 2016 gli italiani residenti all’estero sono poco più di 4.800.000, di cui quasi la metà sono donne. Anche in questo caso compariamo questi dati con le informazioni riguardanti i cittadini italiani residenti fornite dai paesi di immigrazione. Prendiamo in considerazione quelli che, secondo l’Aire, sono i paesi che ospitano la parte più cospicua della popolazione italiana residente in Europa: Svizzera e Germania. Con riferimento al collettivo dei cittadini italiani presenti in Germania, l’Aire riporta una popolazione pari a circa 700 mila uni-tà, mentre per le fonti tedesche il dato si attesta a poco più di 600 mi-la, di cui circa 454 mila sono nati all’estero. Analogamente in Svizzera, dove rispetto ai poco meno di 600 mila italiani residenti contati dall’Aire, la fonte elvetica ne registra poco più di 316 mila, di cui il 32% è nato in Svizzera, mentre quelli nati in Italia sono circa 194 mi-la. Insomma, tra l’Aire e le fonti locali esistono apprezzabili discrepanze.
Sintetizzando, se è molto probabile che i flussi migratori degli italiani verso l’estero siano sottostimati dalle fonti amministrative nazionali, è altrettanto probabile che gli stock di popolazione italiana residente all’estero siano sovrastimati dalle stesse fonti amministrative e che una stima accurata di queste due grandezze necessita di un’analisi dettagliata caso per caso e di un’attenta disanima delle fonti statistiche nazionali sia dell’Italia che dei paesi di accoglienza.
Questa è la versione breve free text dell’articolo integrale pubblicato sul numero RPS 4/2017 “La nuova emigrazione italiana”