Ieri, 28 maggio 2022, ci ha lasciati Loretta De Nigris: brava pediatra, donna coraggiosa e compagna di una vita. Ci eravamo sposati nel febbraio del 1968, qualche mese dopo esserci laureati in medicina.
Ci eravamo conosciuti nei primi anni del corso di laurea e intorno al 5° anno avevamo maturato l’intenzione di dedicare i primi anni della nostra professione a un servizio civile in un paese africano (nella foto accanto: 1965, in campeggio in Sardegna) . Il CUAMM di Padova accolse il nostro progetto e ci inviò in Uganda, all’ospedale di Angal situato nell’West Nile, regione periferica del paese. Un’esperienza molto impegnativa, durata 4 anni, in certi momenti assai dura dato che per lunghi periodi eravamo rimasti gli unici medici della struttura, con Loretta che nel frattempo affrontava due gravidanze, da cui sono nati i nostri magnifici figli, Riccardo e Giovanna. In entrambe le gravidanze Loretta (foto in reparto) smise di lavorare in ospedale 5 giorni prima del parto e riprese l’attività dopo 7-10 giorni.
Alcuni anni dopo, nel 1985, mentre io facevo il medico di famiglia e Loretta la pediatra ospedaliera, l’Africa tornò al centro della nostra vita. Questa volta era il CUAMM che ci proponeva un progetto, più esattamente a me: andare a svolgere in Uganda il compito di coordinatore della cooperazione sanitaria italiana per conto del Ministero degli Esteri, per un periodo di circa due anni. Era una scelta difficile: sarei dovuto partire da solo perché la situazione politico-militare del paese era critica e io avrei dovuto spostarmi continuamente da una parte all’altra del paese (condizione difficilmente compatibile con una missione familiare) e poi c’era la questione dei figli ormai grandi che dovevano continuare a frequentare le scuole superiori. La scelta condivisa, anche se sofferta, fu quella di accettare: partii da solo per Kampala il 15 settembre 1986, mentre Loretta si sobbarcò per quasi due anni il peso di gestire da sola la famiglia con due adolescenti, compresa la programmazione di alcune sue brevi visite in Uganda, di cui una con i figli.
La nostra vita fino a ieri è andata avanti così: io l’azione, lei la riflessione. Lei la parte colta della coppia: amava la letteratura e la musica. Adorava il pianoforte che aveva imparato a suonare da bambina. Anche negli ultimi mesi della sua vita quando la malattia di Parkinson gli sottraeva dosi crescenti di energia non rinunciava a esercitarsi tutti i giorni con lo strumento: le sue mani sulla tastiera sembravano ricevere un flusso magico di vitalità. Alla parte colta della coppia facevo leggere (e correggere) quasi tutte le cose che scrivevo, soprattutto i libri. Nel penultimo di questi (“Cure primarie e servizi territoriali”), pubblicato nel 2019, la prefazione si concludeva così: “Un grande grazie infine a Loretta che ha curato la revisione generale del testo e che da una vita segue con infinita pazienza le mie continue traversate del deserto (quali sono le scritture di libri e di articoli), piene di silenzi e di notti in bianco”. E ogni tanto ci divertivamo a scrivere insieme un post, come “L’elefante nella stanza”.
Io propenso ai cambiamenti, lei incline alla conservazione, nel senso letterale del termine. Loretta conservava con scrupolo una serie di quaderni in cui da anni riportava le sue annotazioni giornaliere, in cui ricopiava brani di libri e di poesie che riteneva meritevoli di essere tenuti in serbo e pronti a essere riletti. Loretta si prendeva cura delle librerie della casa, dove io ammucchiavo i volumi, mentre lei cercava di metterli in ordine per autore o per tema. Loretta riuscì a conservare per oltre 50 anni, preservandolo da innumerevoli traslochi, un prezioso manoscritto: la trascrizione della registrazione di conversazioni tra Padre Giovanni Vannucci (una delle figure di punta della “rivoluzionaria” chiesa fiorentina, al tempo di Don Milani e Padre Balducci) e un gruppo di studenti universitari, soprattutto di medicina, nel 1965. “Poco tempo fa, quando molti di quegli studenti erano già in pensione, una di essi (Loretta, ndr) ritrovando la trascrizione della registrazione di alcune di quelle serate ci ha proposto di rileggerle insieme. Nel farlo siamo state abbagliate dall’attualità e dalla profondità di quei contenuti che ora ci parevano ancora più belli. E quindi insieme abbiamo pensato di condividere anche con altri il prezioso regalo che il Padre Giovanni ci aveva donato circa cinquanta anni fa”. Questo scrivono Loretta De Nigris, Mariangela Rumine e Monica Zorn (allora studentesse, poi mediche in pensione) nella premessa della pubblicazione in proprio di quelle conversazioni (2015). Una pubblicazione che non è passata inosservata perché quelle conversazioni di Padre Giovanni Vannucci sono state considerate così originali da meritare la produzione di un libro ad hoc a cura della Comunità di Romena: “Giovanni Vannucci, Parole che cambiano la vita” (2018).