Le Case della Comunità e il Libro Azzurro per la riforma delle cure primarie. di Alice Cicognani, Martina Consoloni

Sapranno le Case della Comunità diventare un effettivo strumento di trasformazione e di rinnovamento delle Cure primarie e della Medicina di famiglia? Se ne discute avendo come riferimento il Libro Azzurro.

Nell’ambito del Laboratorio Italo-Brasiliano di formazione, ricerca e pratiche in salute collettiva[1] di quest’anno, la Campagna Primary Health Care Now or Never[2] (da ora, “Campagna PHC”) – un gruppo nazionale recentemente impegnato nella scrittura di una proposta di rinnovamento delle Cure Primarie (il Libro Azzurro)[3] – ha organizzato un momento di confronto dal titolo “Le Case della Comunità alla luce del Libro Azzurro”. L’evento, strutturato in 5 incontri distribuiti su 3 giornate, ha avuto come obiettivo quello di discutere delle diverse trasformazioni che, grazie al PNRR e alle riforme conseguenti (DM71)[4], stanno oggi interessando l’organizzazione dei servizi del territorio, a partire dalle Case della Comunità. Le Case della Comunità vengono presentate nella Missione 6 del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilianza) come strutture fisiche e primo punto di contatto tra la comunità e il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria, in cui opereranno équipe multiprofessionali territoriali. Il primo investimento della Missione 6 (pari a 2 miliardi di euro) prevede l’apertura, entro la metà del 2026, di 1.288 Case della Comunità, che dovranno costituire “il punto di riferimento continuativo per la popolazione” e il perno centrale del sistema di cure primarie territoriali in Italia.

Qual è il reale potenziale trasformativo che le proposte del PNRR possono avere per le Cure Primarie? Di quali strumenti i servizi sociali e sanitari dovranno dotarsi per corrispondere agli obiettivi del Piano? Quali sono le competenze e le responsabilità dei/delle professionisti/e che in quei nuovi “luoghi” (non solo fisici) andranno a lavorare? Ma anche quali visioni, prospettive e aspettative ogni professionista porta con sé nell’immaginare la Casa della Comunità? Questi sono alcuni degli interrogativi che hanno fatto da sfondo all’evento della Campagna PHC, organizzato grazie al lavoro di persone che, a titolo volontario, da tempo vi prendono parte. In un’ottica di sostenibilità e al fine di permettere una partecipazione quanto più possibile ampia, gli incontri sono stati interamente gratuiti e accessibili sia in presenza (tra Ravenna e Bologna), sia online.[5]  Per facilitare la riflessione su questi temi, sono stati invitati alcuni ospiti “esperti” e, al fine di stimolare l’autoriflessività, la conoscenza reciproca e lo scambio di prospettive tra i partecipanti, sono stati proposti vari strumenti. Tra questi, il “Diario di bordo”, un quaderno per gli appunti che prevedeva anche delle “esplorazioni per utilizzare gli occhi in un modo nuovo”, ossia delle schede semi-guidate in cui documentare in maniera autoriflessiva la propria esperienza. Un altro strumento è stato quello dei “meme compilabili”: i template dei meme più conosciuti erano stati stampati lasciando in bianco lo spazio per il testo, che durante gli appuntamenti veniva liberamente inserito dalle persone; i meme venivano poi affissi su un apposito cartellone, visibile da tutte/i, e considerato come dispositivo di valutazione in itinere degli incontri.[6] Queste modalità inclusive, ibride e creative hanno consentito una partecipazione composita per età, provenienza geografica, professione (sanitaria e non), coinvolgendo circa 30 persone in presenza e 70 online per ciascuna giornata (per un totale di 160 presenze registrate), in una serie di dibattiti aperti sulle Case della Comunità. Tra le diverse tematiche affrontate, riportiamo di seguito alcune riflessioni che sono scaturite sulle tecnologie digitali, la multiprofessionalità, la formazione dei/delle professionisti/e e la partecipazione comunitaria.

Le tecnologie digitali

La scelta di concentrarci sulla digitalizzazione nasce dal fatto che, in tempi recenti e soprattutto grazie al PNRR, su questo tema si è aperto un ampio dibattito in cui, tuttavia, le tecnologie sembrano essere considerate più un fine, piuttosto che uno strumento. A questo proposito, Alcindo Ferla (Professore dell’Università Federale di Rio Grande Do Soul) e Gianni Tognoni (esperto di epidemiologia clinica e comunitaria) hanno posto una critica di tipo epistemologico: riconoscendo quanto i flussi di dati possano essere utili per il monitoraggio e la scelta di indicatori, hanno sostenuto la necessità di una partecipazione più ampia alla costruzione del dato. In questo senso, il/la professionista delle Cure Primarie non deve essere più un utilizzatore passivo di nuove tecnologie sempre più ergonomiche e all’avanguardia, ma un partecipante attivo, insieme agli altri attori sul territorio, al processo di produzione di conoscenza. Le Cure Primarie, infatti, possono avere una visione privilegiata sui punti di incontro e di discontinuità tra l’ospedale, le organizzazioni locali, il domicilio e il/la paziente e tale posizionamento può permettere di raccogliere dei dati estremamente ricchi per il lavoro sui territori. Sempre a questo proposito, Fabrizio Cossutta (medico di famiglia a Lisbona) ha presentato il “Registo de Saúde Eletrónico” (RSE), implementato in Portogallo con la riforma digitale delle Cure Primarie. Questo strumento versatile funge sia da fascicolo sanitario per gli utenti, sia da cartella clinica, consultabile da tutte/i le/i professioniste/i e tutte le strutture sanitarie del paese. Tutti i dati (e i metadati associati) sono accessibili, sia in un’ottica di trasparenza, sia come strumento di programmazione a livello distrettuale e di equipe territoriale. Leonardo Mariotti (Lepida[7]) invece ha presentato la rete SOLE, un’infrastruttura di cui la Regione Emilia-Romagna si è dotata già da alcuni anni, con l’obiettivo di collegare vari attori sul territorio (medici di medicina generale e pediatri con le strutture sanitarie pubbliche e private accreditate). A partire dalla rete SOLE sono stati realizzati sia il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), accessibile al cittadino, sia la Cartella SOLE, a disposizione dei professionisti. Con l’intervento di Angelo Rossi Mori (CNR-IRPPS[8]) sono emersi alcuni dei limiti del FSE, derivanti non solo dalla normativa sulla privacy, ma anche da una visione di sistema ancora troppo poco improntata al lavoro integrato e alla cooperazione tra gli attori. Secondo Rossi Mori, la trasformazione dei processi assistenziali e il supporto tecnologico dovrebbero essere progettati di pari passo, valorizzando la rete di relazioni tra gli attori e lo sviluppo delle relative competenze. Le indicazioni utili a indirizzare l’operato dei tecnici verso lo sviluppo di nuove potenzialità delle tecnologie digitali dovranno dunque derivare direttamente da chi a diversi livelli lavora sul territorio.  Seppur gli strumenti in uso nella Regione Emilia-Romagna offrano al momento una minore condivisione dei dati tra i medici/he di famiglia e altre/i professionisti/e rispetto a quelli portoghesi (anche in ragione di alcuni aspetti organizzativi diversi tra i due sistemi nazionali), la rete SOLE è un’infrastruttura molto solida e un buono strumento dal quale partire per immaginare nuovi modi di raccogliere e utilizzare i dati. Nel corso dell’incontro infatti sono stati molti i richiami alla definizione di “intelligenza emotiva” di Paulo Freire, secondo cui le informazioni, incluse quelle che è possibile ricavare dai dati raccolti attraverso le tecnologie digitali, non ci servono per essere più eruditi, ma per divenire sempre più capaci di trasformare il mondo.

La multiprofessionalità

Per quanto riguarda il tema della multiprofessionalità, le prime suggestioni sono state offerte sempre da Cossutta, che ha raccontato della sua esperienza come MMG in Portogallo all’interno di una Unità della Salute Familiare, in un contesto interprofessionale, insieme a un segretario clinico e un infermiere.[9] Si tratta di una modalità di lavoro che prevede riunioni periodiche di equipe quale strumento di crescita professionale, oltreché di programmazione e di valutazione degli interventi in salute. La riflessione sulla multiprofessionalità ha chiamato in causa un altro strumento essenziale per il lavoro sui territori: quello dell’Educazione Permanente in Salute (EP). La EP, ispirata anch’essa ai contributi di Paulo Freire, adottata nel sistema sanitario brasiliano a partire dai primi anni duemila come strategia politica di innovazione organizzativa[10] e già proposta dal Libro Azzurro, è stata al centro dell’intervento tenuto nella tre giorni da Ricardo Burg Ceccim (Professore dell’Università Federale di Rio Grande Do Soul). Secondo Ceccim, l’EP è un processo di apprendimento che assume come metodo la riflessione sulle pratiche, portata avanti dall’équipe multidisciplinare di professioniste/i attiva sul territorio, congiuntamente alle comunità. Si tratta di un approccio molto diverso rispetto ai più classici processi continui di formazione, intesi come corsi di aggiornamento frontali, solitamente tenuti da esperti o volti all’acquisizione di competenze tecniche che generalmente sono costruite lontano dai bisogni di un territorio.[11] Piuttosto, a contraddistinguerla è il fatto di essere una forma di apprendimento “situato”, in quanto integra strettamente i bisogni di conoscenza e di apprendimento dei/lle professionisti/e con le conoscenze e le risorse di chi vive in quello specifico contesto. Inoltre, l’EP ha un carattere fortemente processuale, perché il sapere viene costantemente attualizzato a partire dalle riflessioni scaturite dal lavoro quotidiano dei/delle professionisti/e, non più considerati/e come “risorse umane”, ma riconosciuti/e e valorizzati/e come soggettività.

La formazione

A fare da sfondo alla proposta dell’EP è l’idea secondo cui, per riformare i servizi sanitari, sia anzitutto necessario rinnovare i processi formativi. A questo proposito, Ceccim ha presentato anche l’immagine del “Quadrilatero dell’Educazione in Salute”, attraverso il quale l’aspetto formativo viene messo in relazione con i processi di gestione, di assistenza/cura e di partecipazione sociale.[12] Secondo Ceccim, solo a partire da questa particolare “quadratura” è possibile realizzare una “ricerca partecipativa sulla realtà”, in cui gli elementi da osservare, le criticità da analizzare e i nuovi bisogni sui quali intervenire e sperimentare sono costantemente co-costruiti tra i vari attori.

La partecipazione comunitaria

Nonostante la grande ricchezza dei contributi, nel corso delle giornate spesso è stata condivisa la preoccupazione di trovarsi a riflettere su questioni già affrontate più volte in passato, osservando e prendendo parte a vari processi che hanno interessato le Cure Primarie (come la riforma Balduzzi, il Piano Nazionale della Cronicità o l’implementazione delle Case della Salute). In particolare, è stata spesso sottolineata l’assenza di partecipazione comunitaria nelle nuove proposte di innovazione dei servizi territoriali, rimarcando la necessità di coinvolgere la comunità per l’edificazione della sua “casa”. Come scritto già nel Libro Azzurro, la “comunità” non è da intendersi come un gruppo di soggetti che condividono un linguaggio, un territorio o una struttura organizzativa, ma come una forma di relazione che può scaturire dall’incontro sul territorio. Una forma di relazione che, in sostanza, si caratterizza per il fatto di avere un significato per i diversi attori coinvolti: in questo senso, i processi di riforma riusciranno a essere davvero innovativi solo se prevederanno i tempi, gli spazi e i dispositivi adeguati per la tessitura di queste forme di relazioni.

Le nascenti riforme sull’assetto dell’assistenza territoriale a oggi non fanno altro che definire un livello di finanziamento, una numerosità di strutture (e relativi servizi associati) e le professionalità coinvolte (in termini numerici e di orario), fissando degli standard quantitativi e solo genericamente impostando un ragionamento sul tipo di funzionamento e su come far vivere queste strutture dentro le reti di cui sono parte. Il contributo di iniziative come quelle della Campagna PHC è quindi quello di sviluppare un ragionamento sugli strumenti e le pratiche. Attraverso lo scambio di saperi, di visioni e di prospettive, questi incontri hanno infatti rappresentato il contesto in cui sviluppare un orizzonte di senso condiviso e iniziare così a programmare insieme il lavoro dentro e fuori la Casa della Comunità.

L’impegno della Campagna PHC sarà quindi quello di considerare il PNRR e la nascita delle Case di Comunità come l’occasione per colmare il divario fra ciò che sappiamo e ciò che facciamo e realizzare così un pieno rinnovamento delle Cure Primarie.

Le Autrici:

Alice Cicognani. Campagna Italiana Primary Health Care Now or Never.
Martina Consoloni. Dottoranda UniBo e Campagna Italiana Primary Health Care Now or Never.

 

Bibliografia

[1] Per approfondire: Martino, A., Guimarães, C. F., Marta, B. L., Ferla, A. A., Sintoni, F., Nicoli, M. A. (2016) “La costruzione del Laboratorio Italo-Brasiliano di Formazione, Ricerca e Pratiche in Salute Collettiva come strumento di lavoro in salute tra Italia e Brasile”, in Prassi in salute globale: azioni condivise tra Brasile e Italia, Rede UNIDA/CSI-Unibo. Disponibile a: http://historico.redeunida.org.br/editora/biblioteca-digital/serie-saude-coletiva-e-cooperacao-internacional/prassi-in-salute-globale-azioni-condivise-tra-brasile-e-italia-pdf

[2] Sito della Campagna PHC: https://2018phc.wordpress.com/

[3] Sito del Libro Azzurro: https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc/home

[4] “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale” (in attesa di approvazione): https://www.saluteinternazionale.info/wp-content/uploads/2022/02/Modelli-e-standard-per-lo-sviluppo-dellAssistenza-Territoriale-nel-Servizio-Sanitario-Nazionale-CdM-21.4.22-.pdf

[5] Successivamente, sono stati resi disponibili sul canale YouTube della Campagna PHC da cui è possibile riascoltarli: https://youtube.com/playlist?list=PLvOJ4SLpTN-eG8SsxgnI_mz6S6QlzZv7q

[6] La messa a punto di questi strumenti è stata curata dal sottogruppo “Epidemiologia di prossimità” della Campagna PHC. Qui un report delle attività proposte: https://2018phc.wordpress.com/2022/04/29/esplorazioni-intorno-al-libro-azzurro/

[7] https://www.lepida.net/

[8] http://www.irpps.cnr.it/

[9] Cossutta F., (2020) “Medicina di famiglia in Portogallo”, SaluteInternazionalehttps://www.saluteinternazionale.info/2020/11/medicina-di-famiglia-in-portogallo/

[10] Belluto, M., Ceccim, R. B., Martino, A. (2020). La ricerca-formazione-intervento collaborativa in Salute Collettiva: esperienze di frontiera tra università, servizi e territori. Tracce urbane. Rivista italiana transdisciplinare di studi urbani, (8). https://rosa.uniroma1.it/rosa03/tracce_urbane/article/download/17077/16506/34631

[11] Gomes, L., Guimarães, C. F., Sintoni, F., Franco T. B. (2016) “L’educazione permanente in salute nell’esperienza brasiliana”, in Prassi di salute globale: azioni condivise tra Brasile e Italia, Rede UNIDA/CSI-Unibo. http://historico.redeunida.org.br/editora/biblioteca-digital/serie-saude-coletiva-e-cooperacao-internacional/prassi-in-salute-globale-azioni-condivise-tra-brasile-e-italia-pdf

[12] Ceccim R.B., Feuerwerker L.C.M. (2004). “O quadrilátero da Formação para a área da Saúde: ensino, gestão, atenção e controle social”. Physis: rev. de saúde coletiva, Rio de Janeiro, 14 (1): 41-65. https://www.scielo.br/j/physis/a/GtNSGFwY4hzh9G9cGgDjqMp/?format=pdf&lang=pt

fonte: saluteinternazionale.info

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