I migranti colpiti da esperienze di guerra corrono un alto rischio di sviluppare sintomi di natura psichica, spesso riconducibili a disturbi di salute mentale, il peso di questi disturbi è molto significativo rispetto al resto della popolazione. Il bisogno di cura e assistenza adeguate deve essere valutato appena avvenuto il trasferimento nel paese ospite, dove è poi essenziale attuare tutte le misure più opportune con tempestività e sollecitudine.
La diagnosi più prevalente è il disturbo da stress post-traumatico, seguito dalla depressione maggiore e dal disturbo da ansia generalizzata. Inoltre l’età al momento migrazione, la classe di reddito del paese di origine e del paese ospite, l’intensità del conflitto e il tempo trascorso dall’evacuazione sono tutti fattori associati con una maggiore prevalenza di disordini delle salute mentale.
Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta a immigrati di giovane età, arrivati di recente da zone di guerra. Gli interventi di natura psicosociale possono avere un effetto vantaggioso sui più comuni disturbi di natura psichica. Interventi globali indirizzati alle condizioni di vita di chi è emigrato potrebbero influire sul recupero dai traumi subiti prima dell’emigrazione.
Sono questi i principali risultati delle revisione sistematica e metanalisi Mesa-Vieira.
Mesa-Vieira: una revisione sistematica e metanalisi
Il tema è purtroppo tristemente attuale: guerre, conflitti armati, instabilità politica e altre forme organizzate di violenza hanno un impatto importante sullo stato di salute di chi si trova coinvolto, non solo nell’immediato, per il numero di morti e feriti, ma anche per le conseguenze a lungo termine.
Le popolazioni che vivono in territori dove sono in atto conflitti, accanto alla violenza spesso prolungata sperimentano la povertà, la difficoltà di accedere all’assistenza sanitaria, la scarsità di viveri. Costretti ad abbandonare la loro casa e il loro paese, oltre al trauma della guerra con l’enorme carico di sofferenza e di stress che la accompagna, devono adeguarsi ai paesi ospiti, aggiungendo stress a stress, con probabili conseguenze sulla loro salute mentale e sul loro stato di benessere psichico.
La salute mentale dei migranti non è un tema nuovo, tuttavia la revisione sistematica e metanalisi Mesa-Vieira, pubblicata nel 2022 sulla rivista Lancet public health, è la prima ad includere tutte le tipologie di migranti che hanno vissuto esperienze di guerra, alcuni mai studiati prima, come i migranti o sfollati interni, che abbandonano la loro casa ma non il loro paese di origine. Per evitare la sovrapposizione con revisioni precedenti, l’oggetto di studio è stato l’esposizione pre-migratoria al conflitto armato invece dello status migratorio, perché offre una più estesa analisi dei disordini di salute mentale di tutti gli immigrati. Sono state anche aggiornate le stime di prevalenza per il disordine da ansia generalizzata, la depressione maggiore e lo stress post-traumatico. Per limitare l’eterogeneità derivante dalle differenti diagnosi vengono inclusi solo studi che hanno utilizzato come strumento di indagine, colloqui psichiatrici validati e riconosciuti.
I risultati
Su 13.939 studi inizialmente identificati, dopo un progressivo processo di selezione, gli studi inclusi nella revisione sistematica sono 34 e tengono in considerazione 15.549 migranti in totale, 10.584 con lo status di rifugiati (68%) mentre 4401 di migranti interni.
I paesi di origine, sede dei conflitti sono classificati a basso reddito (n. 12), medio reddito (n. 7), medio alto reddito (n. 9), invece i paesi ospiti sono i paesi ad alto reddito dell’Europa (n. 19), il nord America (n. 2) e l’Australia (n. 2). Per qual che concerne i migranti interni, i paesi sono Colombia, Croazia, Nigeria, Sri Lanka, Siria, Sudan e Turchia.
Gli eventi traumatici riferiti dai migranti nel corso dei conflitti da loro vissuti includono bombardamenti, combattimenti, torture, carcerazione preventiva, reclusione, essere sotto assedio, assenza di cibo, acqua e ricovero, perdita di un famigliare per morte violenta, gravi lesioni, abuso fisico o sessuale, essere testimone di violenza verso altri.
Il disturbo da stress post-traumatico detiene il primo posto, con una prevalenza attuale del 31%, rispetto alla depressione maggiore, prevalenza del 25% e al disturbo da ansia generalizzata, prevalenza del 14%. Il disturbo da stress post-traumatico è maggiore nelle donne che negli uomini (42% vs 28%), anche se il dato deve essere considerato con cautela perché non sono numerosi gli studi che hanno stimato per sesso.
In sintesi migranti con pregresse esperienze di violenza hanno un’alta prevalenza di disturbi mentali, soprattutto disfunzione da stress post-traumatico e depressione maggiore, seguite da stato di ansia generalizzata.
Sebbene in modo non uniforme in tutti gli studi, i fattori pre-migrazione come l’intensità del conflitto nel paese di origine, i fattori post-migrazione come il basso livello di reddito del paese ospite e le caratteristiche della popolazione che emigra, in particolare la giovane età, sono associati con una maggiore prevalenza di disturbi della salute mentale.
Spunti di riflessione e suggerimenti per la pratica
I risultati della revisione Mesa-Vieira 2022, sono in sintonia con quanto riferito in due precedenti revisioni sistematiche del 2020: Blackmore, che ha esaminato la salute mentale di rifugiati e richiedenti asilo politico e Ng, che ha stimato la prevalenza di disturbi da stress post traumatico nelle popolazioni residenti nelle aree dell’Africa Sub-Sahariana.
Inoltre la revisione supporta e conferma un dato evidente quanto allarmante: i migranti esposti a conflitti armati sono affetti da disturbi di salute mentale in modo decisamente sproporzionato. Se, secondo il Global burden of diseases (GBD) e l’OMS, tra la popolazione adulta, si stima una prevalenza del 3% di disturbo da depressione maggiore , del 5% di disturbo da ansia generalizzata e del 4% del disturbo da stress post-traumatico, queste percentuali non sono paragonabili a quelle elevatissime, tra i migranti provenienti da zone di guerra che vanno dal 14% per il disturbo da ansia generalizzata al 32% per il disturbo da stress post-traumatico.
Per non parlare degli oltre 4000 sfollati interni, nei quali ansia, depressione e stress post-traumatico hanno lo stesso o un simile impatto che nei rifugiati, che hanno abbandonato il loro paese di nascita. Tuttavia, in questa categoria, la permanenza nei paesi in conflitto, in precarie condizioni di vita e con sistemi sanitari e di assistenza spesso insufficienti, potrebbe aggravare la loro condizione di vulnerabilità.
Coerentemente con la letteratura epidemiologica, il disturbo da stress post-traumatico è maggiore nelle donne che negli uomini, forse per differenze di genere nell’esposizione al trauma o nella risposta. Infatti, sebbene gli uomini possono più facilmente essere coinvolti in scontri armati e subire perciò i traumi che ne conseguono, le donne rischiano di essere oggetto di violenza di genere e di violenza sessuale. Proteggere femmine rifugiate o sfollate interne dalla violenza sessuale e di genere, deve essere una priorità anche nella fase post-migratoria.
Chi fugge da una guerra ha già sperimentato situazioni traumatiche e questa esposizione mette severamente a rischio il suo benessere e la sua salute psichica. Tuttavia è anche quanto accade nel periodo post-migrazione che assume un ruolo cruciale nel difficile percorso di adattamento e recupero dal trauma subito. Difficoltà socioeconomiche, disoccupazione, condizioni abitative precarie, barriere linguistiche, discriminazione, isolamento sociale, incertezza sul proprio status di immigrato sono fattori di stress importanti, che molto spesso chi fugge dal proprio paese in guerra deve affrontare, nel trasferimento verso il nuovo paese da cui viene accolto. Come si viene accolti conta enormemente: la trascuratezza verso le diverse necessità, l’assenza di risposte, l’attesa perenne, possono minare alla base il percorso di recupero dal trauma passato e ridimensionare l’efficacia delle opportune misure di assistenza, cura e supporto nel nuovo contesto di vita.
Per quel che concerne gli interventi, esiste un consistente corpus di letteratura dedicata all’efficacia di interventi farmacologici e psicologici indirizzati a migranti, rifugiati e richiedenti asilo: si tratta della revisione Cochrane Uphoff del 2020, che consta di 23 revisioni sistematiche e 15 protocolli di revisioni sistematiche. Se gli interventi psicosociali possono avere un beneficio clinico sui principali disordini di salute mentale, è scarsa l’evidenza a supporto degli interventi di natura farmacologica e i risultati sono controversi.
Affidare interventi di natura psicologica a chi si occupa di cure primarie o a chi non è specialista può essere un approccio fattibile ed efficace, soprattutto in contesti che hanno scarse risorse economiche.
Per prevenire l’insorgere di problemi di salute mentale nei migranti esposti a conflitti armati è essenziale un supporto tempestivo ed una gestione sollecita e attenta dello stato di stress preesistente.
Viene raccomandata infine l’implementazione di interventi globali, che siano indirizzati alla condizioni materiali e sociali della vita quotidiana dei molti rifugiati nei luoghi che li ospitano.
Metodologia e limiti della revisione
La revisione sistematica Mesa-Vieira 2022 ha incluso studi di coorte, caso-controllo e trasversali su adulti migranti da paesi in guerra, di età maggiore o uguale a 18 anni. Un criterio per l’inclusione: gli studi hanno investigato e misurato la prevalenza di disordini di salute mentale, diagnosticati mediante il ricorso, come strumenti di indagine, a colloqui psichiatrici standardizzati e validati.
Sono stati esclusi studi con le seguenti caratteristiche: l’esposizione ai conflitti non accertata, i migranti già in trattamento per problemi di natura psichiatrica, i migranti in condizione di comorbidità tra disturbi somatici – cancro, cardiovascolari, HIV, parkinson – e conseguenti ricadute psichiatriche.
Il limite principale della revisione Mesa-Vieira è insito nella difficoltà di studiare popolazioni difficili da raggiungere: l’assenza di registri nazionali e la riluttanza dei migranti a partecipare alla ricerca ha reso difficile ottenere un quadro completo sulla loro salute mentale. Inoltre, pur nello sforzo di includere tutte le tipologie di migranti, non sono stati identificati studi inerenti la salute mentale degli immigrati clandestini, privi di permesso. Questo potrebbe implicare una sottostima della prevalenza dei disordini di salute mentale, in quanto gli immigrati clandestini diversamente dai regolari hanno meno possibilità di accedere ai servizi di assistenza sanitaria e sociale.
L’assenza, dalla maggior parte degli studi inclusi nella revisione, di dati disaggregati per etnia, rende impossibile stimare la prevalenza per etnia. Mentre la prevalenza di disturbi da stress postraumatico tra uomini e donne deve essere considerata con cautela, considerato l’esiguo numero di studi che hanno disaggregato per sesso. In generale in futuro saranno necessari ulteriori studi che presentano le stime disaggregate per sesso, età e etnia.
La revisione non ha incluso dati sulla comorbidità, vale a dire la compresenza di più sintomi di natura psichica. Ansia e disturbi dell’umore sono spesso in comorbidità, alcuni studi dimostrano che la comorbidità potrebbe essere anche più elevata tra i migranti che nella popolazione generale. Non avere stimato i casi di comorbidità di disturbi di ansia e dell’umore non consente di fare luce sull’impatto dei disordini di salute mentale tra migranti che necessitano di interventi complessi.
Esiste infine, tra gli studi inclusi, un alto grado di eterogeneità nelle stime di prevalenza dei disordini mentali. Tra le fonti di eterogeneità sono incluse differenze nell’intensità dei conflitti, per sesso ed età dei migranti, nelle condizioni di vita nei paesi di origine e nei paesi ospiti, differenze di natura metodologica.
Riferimenti bibliografici
Articolo originale:
Mesa-Vieira C, Haas AD, Buitrago-Garcia D et al. Mental health of migrants with pre-migration exposure to armed conflict: a systematic review and meta-analisys. Lancet public health 2022; 7 (5): E469-81.
Altri riferimenti:
Blackmore R, Boyle JA, Fazel M et al. The prevalence of mental illness in refugees and asylum seekers: a systematic review and meta-analysis. PLoS Med. 2020; 17e1003337.
Ng LC , Stevenson A, Kalapurakkel SS et al. National and regional prevalence of posttraumatic stress disorder in sub-Saharan Africa: a systematic review and meta-analysis. PLoS Med. 2020; 17e1003090.
Uphoff E, Robertson L, Cabieses B, Villalón FJ, Purgato M, Churchill R, Barbui C. An overview of systematic reviews on mental health promotion, prevention and treatment of common mental health disorders for refugees, asylum seekers, and internally displaced persons. Cochrane Database of Systematic Reviews 2020, Issue 9, Art. No.: CD013458. DOI: 10.1002/14651858.CD013458.pub2.
fonte: DORS a cura di Paola Capra