Il medico, la tecnologia e l’inseguimento della certezza. di Daniele Coen

Nel 1880 Samuel Sigfried von Basch costruì il primo sfigmomanometro, nel 1895 Wilhelm Conrad Röntgen scoprì i raggi X, nel 1903 Willem Einthoven inventò l’elettrocardiografo e nel 1979 Hounsfield e Cormack vinsero il premio Nobel per aver sviluppato le prime apparecchiature TAC

Sono solo alcuni dei passi che hanno dato alla medicina la possibilità di indagare, in ogni singolo paziente, le alterazioni anatomiche e fisiopatologiche causate dalla sua malattia, facendone un’attività (una scienza?) sempre più fondata su prove oggettive, su numeri, su immagini apparentemente indiscutibili. Insieme allo sviluppo della tecnologia, l’utilizzo di appropriati metodi statistici per valutarne l’efficacia ha contribuito a diffondere l’idea che la medicina sia una scienza “quasi esatta” e che la gran parte delle decisioni che i medici prendono nella loro pratica quotidiana sia basata su solide evidenze, la evidence based medicine appunto. In realtà ci sono molte prove che le cose non stanno esattamente così. Secondo un articolo pubblicato su BMJ Evidence based medicine nel 2017,1 per esempio, si baserebbe su evidenze di elevata qualità solo il 18% delle decisioni che un medico di medicina generale prende nella sua pratica quotidiana. Per altre specialità le cose vanno un po’ meglio, ma resta il fatto che, nonostante le centinaia di migliaia di articoli pubblicati ogni anno sulle riviste mediche internazionali, l’incertezza dei risultati è ancora una componente ineludibile dell’agire medico.

Questa approssimazione delle conoscenze mediche, che potremmo chiamare “la madre di tutte le incertezze”, non è il solo problema che i medici devono affrontare quando prendono decisioni basandosi sui risultati di uno o di più esami. Esiste infatti un secondo livello di incertezza, non meno importante, che ha a che fare con il legame tra la grande precisione dei risultati offerti dalla tecnologia diagnostica e la loro rilevanza clinica. La TAC ne è un esempio paradigmatico. L’introduzione della TAC con mezzo di contrasto come standard di riferimento per la diagnosi di embolia polmonare, per esempio, ha raddoppiato in vent’anni le diagnosi di questa condizione patologica, senza modificare però in alcun modo la mortalità. Con ogni probabilità questo è dovuto al fatto che una tecnologia capace di offrire immagini di sempre maggiore dettaglio ha consentito di svelare molte più embolie minori, destinate a non incidere sulla prognosi dei pazienti. Ancora per quanto riguarda la TAC, la percentuale con cui questo strumento viene utilizzato nei Pronto soccorso canadesi per la valutazione di pazienti con un trauma cranico minore varia, secondo uno studio pubblicato nel 2020 su Annals of Emergency Medicine, 2 dal 4 al 100% dei casi senza che questo si traduca in significative differenze di complicazioni o di mortalità. Resta infine da ricordare l’ampiamente documentata variabilità tra gli operatori nella lettura di elettrocardiogrammi, ecografie, esami di radiologia tradizionale e TAC.

Solo il 18% delle decisioni che un medico di medicina generale prende nella sua pratica quotidiana si baserebbe su evidenze di elevata qualità

Come conclusione intermedia possiamo dunque affermare che l’enorme sviluppo della tecnologia medica, i cui benefici sono innegabili, non ha però pienamente corrisposto a quell’anelito di certezze che da sempre anima medici e pazienti, rendendoli eccessivamente fiduciosi nella capacità degli esami diagnostici di rispondere ai loro quesiti.3 Bisognerebbe qui allargare il discorso alla specificità e sensibilità degli esami e al loro valore predittivo positivo o negativo, facendo luce su quello che Gigerenzer chiama l’analfabetismo numerico dei medici.4 Il discorso si farebbe però troppo lungo e rischierebbe di portarci fuori tema.

Mi piace piuttosto immaginare che le consultazioni a distanza possano riguardare i medici più che i pazienti

Vorrei invece riflettere, poste queste premesse, su cosa possiamo attenderci dalle tecnologie in arrivo nei prossimi anni, già etichettati come gli anni della telemedicina e dell’intelligenza artificiale (IA). Ancora una volta il vero problema non starà nella disponibilità degli strumenti, che si faranno velocemente più accessibili ed economici, come è già successo per gli ecografi, che si sono già ridotti ad una sonda da collegare al tablet, o come gli smart-watch e gli smart-phone, sempre più vicini a dare misurazioni accettabili di pressione, frequenza cardiaca, saturazione di ossigeno ed ECG. La sfida starà invece negli obiettivi per i quali le nuove tecnologie verranno utilizzate, nei risultati che sapranno darci in termini di salute e qualità della vita, nel ruolo che giocheranno nel processo diagnostico o terapeutico e più in generale nell’organizzazione della sanità pubblica. Per quanto riguarda la telemedicina, le strade ad oggi più battute sono quelle della trasmissione di immagini e delle consulenze a distanza. La trasmissione delle immagini è forse quella che offre maggiori certezze. Già oggi, per esempio, l’invio dei tracciati elettrocardiografici direttamente dalle ambulanze ai centri di emodinamica abbrevia significativamente i tempi di rivascolarizzazione e migliora di conseguenza la prognosi. Per non parlare delle immagini condivise tra ospedali spoke e Hub prima di decidere la centralizzazione di un malato. Più incerti sono invece i vantaggi dell’accesso a distanza alle consulenze cliniche. L’accesso diretto dei pazienti agli specialisti (promesso entro le 24 ore da molti dei numerosissimi siti web che già si sono lanciati in quest’arena che promette non indifferenti ritorni economici) modificherà, e come, il rapporto fiduciario tra il paziente e il suo medico curante? Produrrà più sicurezze o maggiori conflitti di opinioni? Più continuità o più discontinuità nelle cure?

Mi piace piuttosto immaginare che le consultazioni a distanza possano riguardare i medici più che i pazienti, consentendo facili e veloci confronti tra medici con diverso livello di competenza o di diversa specialità. Certo, non dobbiamo dimenticarci che anche i migliori specialisti continueranno a fare riferimento ad un corpo di conoscenze mediche che, come abbiamo visto, è ancora molto lontano dall’essere compiutamente evidence-based.

Il discorso si fa ancora più complesso nel caso dell’IA. Una decina di anni fa, quando l’IA era molto più primitiva dell’attuale, solo qualche grande maestro di scacchi riusciva a vincere una partita contro il computer. Oggi nessuno ci prova più, vista la certezza assoluta di perdere contro un avversario che è in grado di analizzare nel giro di pochi secondi centinaia o addirittura migliaia di possibili mosse. Partendo dalle grandi banche dati costituite dalle cartelle cliniche informatizzate dei pazienti, l’IA fa qualcosa di simile per quello che riguarda il processo decisionale in medicina. Per farlo l’IA raccoglie nel massimo dettaglio disponibile informazioni su numeri elevatissimi di pazienti, arrivando a predire in modo molto più rigoroso di quanto possa fare un medico (afflitto da problemi molto umani quali la stanchezza, la perdita della memoria, l’emotività, il deficit di aggiornamento, ecc.) quale sia la probabilità di malattia di un soggetto e quali esami siano in grado di confermare o di ridurre questa probabilità. Oppure quali siano le percentuali di efficacia di un intervento terapeutico e di quanto metterlo in atto potrà ridurre le possibili complicazioni o la mortalità. Non in generale, ma proprio per questo paziente qui, che sta davanti a me, perché i dati che l’IA elaborerà saranno derivati da una coorte di soggetti estremamente simili a lui o a lei, per età, per stadio di malattia, per fattori di rischio o copatologie, per terapie in corso, per immagini radiologiche e via dicendo.

Solo qualche grande maestro di scacchi riusciva a vincere una partita contro il computer

A prima vista è esaltante, ma anche in questo caso ci sono molti aspetti destinati a minare la nostra ansia di certezze. Il primo è la qualità dei dati inseriti nel database e la loro struttura. Dati errati, incompleti o mal interpretati possono condurre a risposte fuorvianti. Basti pensare all’approssimazione con cui ancora oggi vengono compilate le schede di dimissione ospedaliera e agli errori di interpretazione degli esami per immagini per realizzare quanto il controllo e la pulizia dei database di riferimento siano assolutamente rilevanti. Altrettanto importante è la conoscenza di come siano stati creati gli algoritmi decisionali proposti dai computer che spesso si basano su calcoli matematici complessi, difficili da interpretare e gelosamente protetti dai produttori per il rischio di vedere il proprio lavoro (anche in questo caso economicamente remunerativo) copiato e magari migliorato da altri. Sarà comunque necessario decidere dei criteri di accreditamento per le diverse piattaforme che si vorranno proporre sul mercato come ausili alla decisione clinica.

Resta infine l’incognita dei pazienti

Resta infine l’incognita dei pazienti. Forzati a decidere se essere vittima di un errore da parte di un medico o di un computer, sceglieranno il computer? Prima di giungere ad una clinica guidata dagli algoritmi decisionali dell’IA restano dunque parecchi passi da fare. Sarà indispensabile conoscere meglio il rischio di errore insito in questo strumento e le sue cause. Sarà anche importante distinguere i campi nei quali l’IA ha buone percentuali di successo da quelli dove invece aggiunge poco alla valutazione del medico. Infine qualcuno dovrà chiedersi se di fronte alle più importanti decisioni relative alla nostra salute, godere di un margine di incertezza, da usare a nostro beneficio, confidando nel parere non matematico, ma empatico e sincero del nostro medico, non possa essere più importante di quanto avremmo mai immaginato.

Bibliografia

  1. Ebell MH, Sokol R, Lee A, Simons C, Early J. How good is the evidence to support primary care practice? Evid Based Med 2017; 22: 88-92.
  2. Platts-Mills TF, Nagurney JM, Melnick ER. Tolerance of uncertainty and the practice of emergency medicine. Ann Emerg Med 2020; 75: 715-20.
  3. Coen D. L’arte della probabilità. Certezze e incertezze della medicina. Milano: Raffaello Cortina Editore; 2021.
  4. Gigerenzer G. Quando i numeri ingannano. Imparare a vivere con l’incertezza. Milano: Raffaello Cortina Editore; 2003.

fonte: Monitor Agenas

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