La pandemia senza precedenti di SARS-2 COVID-19 ha avuto un profondo impatto su individui, famiglie e società in tutto il mondo. L’impatto della malattia non riguarda solo direttamente le conseguenze sulla salute causata dall’infezione, ma influisce anche sui determinanti sociali e politici della salute, provocando profondi “effetti secondari”.
La salute mentale e il benessere sono stati una di queste aree di preoccupazione, con i nessi causali che si pensa si verifichino in tre modi.
- l’impatto sulla popolazione generale e su gruppi particolarmente vulnerabili (ad esempio gli individui BAME – Black, Asian, and minority ethnic);
- l’impatto sulle persone con disturbi psichiatrici preesistenti;
- gli effetti sulla salute mentale dei pazienti COVID che sono guariti. Sono stati rilevati alti livelli di ansia e depressione, abuso di sostanze (in particolare alcol), sintomi di stress post-traumatico, e senso di colpa del sopravvissuto.
In questo contesto, è necessario soprattutto considerare l’impatto differenziale sulle popolazioni svantaggiate. I gruppi vulnerabili includono donne, bambini, anziani, minoranze etniche, individui LGBTQIA+ e poveri (povertà sociale ed economica). Si noti che in queste classificazioni vi è una significativa eterogeneità all’interno dei gruppi e l’attenzione su etnia, genere e povertà deve essere vista attraverso una lente intersezionale.
Pandemia e comunità LGBTQ+
Durante il periodo pandemico, in quasi tutto il mondo, sono stati previsti periodi di chiusura, i cosiddetti lockdown, che hanno esacerbato alcuni fenomeni, come ad esempio la violenza di genere, trovandosi le donne a dover convivere forzatamente con i loro aguzzini. Queste chiusure hanno avuto conseguenze negative anche sulle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+, tra cui i giovani, come ad esempio gli studenti universitari che sono dovuti ritornare presso le loro famiglie, a causa della chiusura degli atenei, alcune volte in ambienti non sicuri o non accettanti.
Negli Stati Uniti, a questo proposito, è stato condotto un sondaggio online che ha coinvolto circa 500 ragazzi LGBTQIA+ di età compresa tra i 18 e i 25 anni, provenienti da 254 campus, reclutati attraverso pubblicità mirata sui social media.
Quasi la metà degli studenti ha dichiarato di non ricevere alcun supporto dalle proprie famiglie o, in altri casi, di non avere rivelato la propria identità LGBTQIA+ in ambito familiare; inoltre, circa il 60% ha dichiarato di aver sperimentato disagio psicologico, ansia e depressione durante la pandemia.
Un’indagine longitudinale e interculturale dal titolo “Social support networks and psychological health of young LGBT+ individuals during the COVID-19 pandemic” ha coinvolto sei nazioni tra Portogallo, Regno Unito, Italia, Brasile, Cile e Svezia (Gato et al., 2021), da aprile 2020 a marzo 2021, con l’obiettivo principale di valutare l’impatto della pandemia COVID-19 sulla salute psicologica delle persone LGBTQIA+. Per quanto riguarda lo scenario italiano, la maggioranza del gruppo dei partecipanti all’indagine aveva un’età compresa tra i 18 ed i 35 anni; in media 1 su 2 ha vissuto in casa con i propri familiari durante l’emergenza sanitaria, e tra questi circa 7 su 10 hanno vissuto con disagio il periodo di confinamento familiare. Dal report, curato dall’Università di Padova, si evince che l’emergenza sanitaria e le restrizioni necessarie al contenimento del virus hanno avuto un impatto significativo, dal punto di vista emotivo, nella quasi totalità dei rispondenti: tra gli aspetti maggiormente indicati come fattori negativi conseguenti alle restrizioni sociali i partecipanti hanno indicato la percezione di un aumento del malessere psicofisico, l’isolamento dalla cerchia di amici e amiche, la mancanza di stimoli, il vivere in un ambiente familiare poco supportivo e conflittuale, l’astinenza sessuale, il ritardo nell’accesso ad esami e al trattamento ormonale.
Riportati, fortunatamente, anche alcuni aspetti di resilienza che i partecipanti hanno individuato durante il confinamento, quali: aver avuto più tempo per sé stessi, per comprendersi e ascoltarsi, aver avuto più tempo per leggere e svolgere hobby, e per velocizzare il percorso di studi universitario; per alcuni l’obbligo di condividere spazi con altre persone (sia familiari sia coinquilini) ha rappresentato una possibilità in più per conoscere, comprendere l’altro e intessere nuovi legami.
Le persone LGBTQIA+ rappresentano un gruppo eterogeneo con specifiche esigenze personali, sanitarie ed economiche. Nelle persone LGBTQIA+, che devono ancora affrontare numerose disparità di salute, sono stati segnalati tassi più elevati di depressione, suicidio (rischio 4 volte maggiore negli uomini gay e bisessuali rispetto a quelli eterosessuali, secondo una metanalisi) e consumo di sostanze. Una situazione di estrema difficoltà e disuguaglianza è ad esempio quella vissuta dalle persone transgender per quel che riguarda l’accesso alle cure e la reperibilità dei medicinali usati per la femminilizzazione delle donne transgender e la virilizzazione degli uomini transgender – come denunciato da anni dalle associazioni di attivismo e di difesa dei diritti, in particolare in Italia.
In particolare, i livelli/fattori di stress subiti dalle minoranze predicono gli esiti di salute mentale: pertanto, un aumento degli atteggiamenti discriminatori può portare a un aumento dello stress nelle minoranze/popolazioni vulnerabili, favorendo l’incidenza di problemi di salute mentale.
Nel Regno Unito è stata condotta una revisione sistematica sull’impatto del COVID-19 sulla salute e sul benessere delle minoranze sessuali e di genere (LGBT+; lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non binari, intersessuali e queer): i dati riguardanti la salute mentale e il benessere, i comportamenti sanitari, la sicurezza, la connessione sociale e l’accesso all’assistenza sanitaria di routine hanno mostrato risultati peggiori rispetto ai valori di comparazione inerenti la popolazione eterosessuale/cisgender.
Uno studio canadese ha esaminato la portata e le associazioni tra l’aumento del consumo di alcol e cannabis e il deterioramento della salute mentale tra gli adulti LGBTQIA+ sul territorio nazionale durante la pandemia di COVID-19. I dati sono derivati da interviste effettuate con adulti nel periodo maggio 2020-gennaio 2021. Dei 502 partecipanti LGBTQIA+ inclusi nell’indagine, il 24,5% ha riferito un aumento del consumo di alcol e il 18,5% un aumento del consumo di cannabis, a causa della pandemia. L’aumento del consumo di alcol è stato associato a uno scarso coping complessivo e a una peggiore salute mentale auto-riferita, mentre l’aumento dell’uso di cannabis era associato a pensieri suicidari. Questi risultati sottolineano la necessità di un uso di sostanze integrato e personalizzato, e di supporto per la salute mentale per affrontare l’aumento correlato dell’uso di alcol/cannabis e il peggioramento della salute mentale tra gli adulti LGBTQIA+, nel contesto della pandemia di COVID-19 e oltre.
Recessione economica e discriminazione
Dopo lo scoppio dell’epidemia di COVID-19, sono emerse preoccupazioni riguardo ai suoi esiti sulla salute mentale e alle conseguenze delle misure adottate (lockdown e distanziamento/isolamento, chiusura delle scuole e delle attività produttive, etc.).
In particolare, la recessione economica conseguente a tali misure potrebbe causare sofferenza psichica e un aumento degli atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone LGBTQIA+.
In Italia, per compensare la mancanza di ricerche sull’argomento, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Economia dell’Università di Modena ha deciso di utilizzare la prima survey nazionale sulla discriminazione in base al genere, all’orientamento sessuale e all’appartenenza etnica, pubblicata dall’ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica nel 2015, che aveva coinvolto un campione di 8.000 persone di età compresa tra i 18 e i 74, valutando trasversalmente l’associazione tra il tasso di disoccupazione e quei risultati, disaggregati per macroregione: Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud. L’aumento della disoccupazione è stato associato a una maggiore discriminazione nei confronti sia degli omosessuali sia dei transgender.
I risultati suggeriscono che le recessioni economiche possono aumentare la discriminazione nei confronti di individui tradizionalmente descritti come appartenenti a gruppi o minoranze vulnerabili, ad esempio donne, migranti, ecc. La recessione dovuta al COVID-19 potrebbe dunque aumentare la discriminazione verso le persone LGBTQ+ e causare problemi di salute mentale in questo gruppo di popolazione. Sono necessari un monitoraggio rigoroso e politiche specifiche per affrontare il rischio di questo evento. Inoltre, sono necessarie attenzione e “difesa” da parte di tutti i professionisti della salute mentale consapevoli della propria responsabilità sociale per ridurre le disuguaglianze e gli atteggiamenti discriminatori all’interno della società.
Conclusioni
Le persone LGBTQIA+ sono particolarmente a rischio per le conseguenze psicosociali della pandemia di COVID-19, sebbene la ricerca su questo gruppo di popolazione in questo ambito rimanga limitata.
La mancanza di ricerca in questo campo desta notevole preoccupazione, date le disuguaglianze sanitarie preesistenti. Fattori sociali e strutturali possono aver contribuito a risultati peggiori (salute mentale, benessere e accesso all’assistenza sanitaria). La scarsità di prove è determinata dalla mancanza di dati raccolti di routine sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, probabilmente derivante dall’omofobia/bifobia/transfobia istituzionale che deve essere riconosciuta e affrontata. La raccolta di dati di routine sull’orientamento sessuale e l’identità di genere si conferma necessaria per esaminare la misura in cui COVID-19 sta ampliando le disuguaglianze sanitarie preesistenti, che hanno a che fare con la difficoltà di accesso a servizi sanitari dedicati, alla mancanza di formazione specifica per gli operatori sanitari per comprendere i complessi bisogni delle persone LGBTQIA+ e contribuire a ridurre gli atteggiamenti omofobi e stigmatizzanti.
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