DM71. Quale Modello (per l’assistenza territoriale) ? di Fulvio Lonati

Da anni stiamo aspettando l’adozione di criteri attuativi nazionali sull’organizzazione dei servizi territoriali per la salute[1]. Nel 2015 il Decreto Ministeriale “DM70” aveva definito gli “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera[2]. Finalmente, grazie alla spinta del PNRR[3], il Consiglio dei Ministri ha adottato la delibera che recepisce il cosiddetto “DM71” “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale[4].

Vediamo i lati positivi

Innanzitutto si parla di Servizio Sanitario Nazionale (SSN), non regionale. Il decreto prevede infatti che le regioni adottino entro 6 mesi “il provvedimento generale di programmazione dell’Assistenza territoriale” secondo criteri uguali per tutto il Paese.

È poi significativo che l’introduzione del documento sia orientata ad un approccio sistemico, collaborativo e partecipativo, di promozione comunitaria della salute e di welfare generativo “secondo un approccio one health”.

Terzo aspetto positivo: si parla di “Distretto”. Benché un’assistenza territoriale incernierata sui Distretti Socio-Sanitari sia stata ben definita già da tempo nella normativa nazionale, la loro attuazione è stata incompleta e con ampie diversificazioni tra le Regioni, in alcune delle quali il Distretto di fatto non esiste. Il DM71 invece, entrando nello specifico di questioni organizzative ed attuative dettate a tutto il Paese, indica la volontà politica di attivare effettivamente i Distretti e di inserirli in una cornice istituzionale-organizzativa vincolante. Ad esempio, la Lombardia, che con il “modello sperimentale” introdotto dalla “Legge 23/2015” aveva reso i Distretti un’entità virtuale, già ne ha avviato la reintroduzione, già solo a seguito della messa in circolazione delle bozze del DM71.

Quarto aspetto positivo: vengono ricompresi in un unico atto, e ricondotti al Distretto e alla Casa della Comunità, tutti i servizi dell’Assistenza Primaria. Non si menzionano quindi solo medici e pediatri di famiglia, ma anche le attività di prevenzione, i servizi consultoriali, le farmacie, l’assistenza domiciliare e le cure palliative….  Peraltro sono indicati fattori organizzativo-comunicativi trasversali: la centrale operativa territoriale e delle emergenze, i servizi tecnologici, i sistemi informativi e di qualità.

Le zone d’ombra

Il DM71 appare tuttavia complessivamente orientato al “sanitario con erogazione di prestazioni”, anziché alla “salute e benessere dei singoli e della collettività”. Non si scorge il necessario passaggio dall’approccio ospedaliero (necessario ed efficace per rispondere alle acuzie gravi ma inadatto alla prevenzione e a gestire le cronicità) verso un modello proattivo di promozione e prevenzione della salute nei luoghi di vita, prevedendo il coinvolgimento attivo delle comunità e delle persone, che devono diventare esse stesse protagoniste della propria salute. In altre parole, manca la corretta visione di “Primary Health Care indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In verità tale impostazione è ben espressa nell’introduzione del DM71; purtroppo però non la si ritrova nello sviluppo delle indicazioni organizzative, specialmente per gli argomenti esposti di seguito.

Mancano l’idea e il processo di “territorializzazione” del SSN: il DM71 afferma infatti che “il Distretto è un’articolazione organizzativo-funzionale dell’Azienda sanitaria locale (ASL) sul territorio”; un modello cioè dove i servizi vengono “calati” secondo silos organizzativi, anziché venir progettati e costruiti a partire dai bisogni e dalle risorse del territorio. Non viene specificato che il Distretto è innanzitutto un territorio identificato sulla base di criteri geografici-sociali-esistenziali-organizzativi-epidemiologici, e che in/con/per questo territorio definito va sviluppata l’organizzazione distrettuale, finalizzata a “territorializzarvi” il Servizio Sanitario Nazionale.

Manca anche l’approccio comunitario: le attività previste sono infatti orientate alla diagnosi e alla cura dei singoli piuttosto che alla valorizzazione di tutte le risorse locali sociali, scolastiche, lavorative, associative, di vicinato, per promuovere salute nei luoghi di vita, per gestire le cronicità avvalendosi della collaborazione e cooperazione, per contrastare le diseguaglianze in salute con la promozione di una diffusa sensibilità sociale.

Si individua il medesimo limite nella sezione del DM71 dedicata alla “stratificazione della popolazione e delle condizioni demografiche dei territori come strumento di analisi dei bisogni, finalizzata alla programmazione e alla presa in carico”. Si prevede infatti una rilevazione dei bisogni fatta solo sulla base dei consumi sanitari: modalità certamente interessante e ricca di potenzialità, ma che andrebbe integrata attraverso l’apporto delle conoscenze di operatori responsabilizzati in percorsi di governo clinico e salute collettiva, attraverso la visione delle amministrazioni e dei servizi comunali, attraverso il recupero delle conoscenze che le varie componenti della “società civile” possono portare.

Peraltro il volontariato ed il terzo settore, quando citati nel DM71, sono considerati in chiave eminentemente prestazionale: non se ne riconoscono le potenzialità di innovazione, di anticipazione, di capacità di incarnarsi nella comunità locale; appare anche una possibile confusione tra terzo settore locale e privato profit (che se di grandi dimensioni sovrasta il livello distrettuale-comunitario). In particolare, il “privato” viene considerato a prescindere dal fatto che sia profit o non profit, locale o sovra-locale, proprio perché concepito nel solo meccanismo di prestazioni erogate da enti in competizione, anziché di servizi attuati in collaborazione. Anche il sostanziale non coinvolgimento dei Comuni pare corrispondere al non riconoscimento del potenziale apporto alla salute dei singoli e delle comunità di ciò che è esterno ai servizi propriamente sanitari.

Tali orientamenti del DM71 trovano ulteriore conferma nella mancata indicazione della centralità e necessità del lavoro in equipe multiprofessionali e soprattutto di come queste debbano funzionare. Solo così si possono garantire risposte globali e personalizzate, orientate a produrre salute e benessere anche quando si deve convivere con disabilità e cronicità. Solo così è possibile evitare che siano le persone, le famiglie, i gruppi sociali, a doversi “arrangiare” per ricomporre le prestazioni delle diverse figure professionali e delle diverse forniture di prodotti sanitari. Il DM71 invece prevede settori-professioni tra loro separati, autonomi e tendenzialmente autosufficienti. Come questi (medici di famiglia o specialisti, infermieri di famiglia e comunità, assistenza domiciliare, ospedale di comunità, cure palliative, consultorio famigliare, attività psicologiche, attività di prevenzione, …) si connettano all’interno delle Case della Comunità non risulta chiaro. Si rende ipotizzabile che addirittura possano funzionare come entità appaltabili all’esterno. La strutturazione prevista per ciascuno appare rigida, di tipo ospedaliero, non in una prospettiva territoriale. Manca cioè il come la Casa della Comunità diventi perno di tutti gli attori nel territorio di riferimento. E non sembra casuale che l’obiettivo principale indicato nel DM71 sia la riduzione del numero di accessi al pronto soccorso e al ricovero, non il produrre salute.

È significativo in tal senso che il DM71 dedichi uno specifico capitolo solo all’Infermiere di famiglia o di Comunità (perché “o” e non ”e”?), peraltro senza indicare come questi si connetta nelle equipe multiprofessionali, mentre le tante altre professioni sono solo marginalmente e parzialmente menzionate.

Soprattutto non è esplicitato come i medici (ed i pediatri) di famiglia si connettano all’insieme: non è disegnato il loro ruolo benché, attraverso il loro compito di prescrivere farmaci e indagini, sia in posizione baricentrica, principale chiave di accesso al Servizio Sanitario. In particolare, il DM71 non dice come si connettono alle equipe multiprofessionali. Il rischio è che rimangano ancora di fatto esterni, addirittura controparte, al sistema distrettuale, quand’anche svolgano la propria attività in toto o in parte all’interno della Casa della Comunità.

Infine rimane del tutto aperto il come garantire l’inserimento di tutti gli operatori previsti secondo gli standard prescritti dal DM71, considerata l’attuale carenza di operatori in servizio, frutto dei progressivi “tagli” degli anni passati e delle massicce uscite pensionistiche, nonché l’attuale carenza di operatori formati e, non ultimo, la fuga verso il privato e l’estero, certamente favorita da condizioni economico-contrattuali-lavorative assolutamente inadeguate.

Che fare?

Innanzitutto “tenere stretti” gli aspetti positivi prima esposti: uniformità dei criteri a livello nazionalecentralità del Distrettoriconduzione di tutte le attività territoriali alla Casa della Comunità. Sarà importante chiedere e pretendere che siano presenti, quando si andranno ad attuare diffusamente nel Paese anche dietro la spinta dei finanziamenti del PNRR, i contenuti del DM71, soprattutto nelle regioni dove i Distretti sono realtà solo virtuali. Sarà anche importante richiamare la corretta e più ampia visione esposta nell’introduzione del DM71, puntando a che siano tenuti in giusta considerazione in tutte le fasi attuative.

Discorso a parte credo debba essere fatto per le regioni che invece hanno saputo dar vita ad una vera organizzazione distrettuale: per queste il rischio è che il DM71 freni il percorso di trasformazione delle Case della Salute realizzate in Case della Comunità. Con coraggio e determinazione devono essere sostenute tutte le esperienze (e ci sono!) che hanno avviato il “cambio di paradigma”: da “sanità” a “salute”; “da “prestazione” a “prendersi cura”; da “eccellenza” a “equità”; da “efficienza” a “efficacia”; da “accentramento” a “decentramento”; da “economia di scala” a “partecipazione”.

In generale sarà importante sviluppare quante più esperienze attuative significative, che possano aprire la strada alla loro diffusione così come al progressivo perfezionamento del DM721 stesso. La direzione verso cui tendere è ben indicata nelle proposte, richiamate di seguito, della “Alleanza per La Riforma delle Cure Primarie In Italia[5], ispirate da “Il Libro Azzurro per la riforma delle Cure Primarie in Italia[6], cui aderiscono Campagna Primary Health Care Now or Never, ACLI, AIFeC, APRIRE, Prima la Comunità, Salute Diritto Fondamentale, CARD, EURIPA Italia, Istituto Mario Negri, Movimento Giotto, Slow Medicine:

     1. Definire un’unica cornice istituzionale-organizzativa delle Cure Primarie

Proponiamo che il modello istituzionale-organizzativo delle Cure Primarie sia uniforme in tutte le Regioni, basato su una cornice istituzionale-organizzativa vincolante del Distretto Sociale e Sanitario, della Casa della Comunità e delle “Microaree” (livello organizzativo dei servizi per la salute di prossimità), all’interno di un governo rigorosamente pubblico. Proponiamo che il Distretto Sociale e Sanitario abbia una dimensione di circa 100.000 abitanti e che coincida con l’Ambito Territoriale Sociale.

  1. Sostenere le comunità locali perché generino salute e benessere

Proponiamo che si attivino politiche pubbliche capaci di far crescere il capitale sociale e di promuovere la resilienza e l’empowerment delle comunità mediante la loro effettiva partecipazione. Questo passa attraverso un cambiamento culturale radicale da promuovere in tutti gli ambiti educativi, formativi e lavorativi, a partire dai livelli primari di istruzione. Proponiamo in tal senso che sia vincolante il coinvolgimento dei Sindaci e delle rispettive organizzazioni comunali.

  1. Territorializzare il Servizio Sociale e Sanitario

Proponiamo che le attività del Servizio Sociale e Sanitario siano pensate e strutturate a partire dalla individuazione dei bacini territoriali per bisogni-risorse e non dai “silos” professionali e di patologia.

  1. Organizzare il lavoro delle Cure Primarie in equipe interdisciplinari e in rete con territorio e ospedale

Proponiamo di organizzare il lavoro delle Cure Primarie in equipe interdisciplinari con la presenza di tutte le figure professionali della salute (sanitarie e sociali) adeguatamente formate, in numero congruo, operanti su definiti segmenti di territorio e opportunamente organizzate su tre livelli (Distretto, Casa della Comunità, Microarea), integrate con i professionisti ospedalieri, in rete con il territorio e partecipate dalle comunità.

  1. Adottare metodologie che rendano i servizi costantemente e dinamicamente adeguati al contesto e alla domanda di salute

Proponiamo di adottare metodologie di lavoro in cui la clinica, la ricerca e la programmazione dialoghino in maniera costante per rendere il Servizio Sociale e Sanitario flessibile e resiliente rispetto alle esigenze mutevoli e diversificate dei territori; questo è possibile con la decentralizzazione della pianificazione e della gestione dei servizi, attraverso processi partecipativi e inclusivi, nonché tutelando e programmando nell’attività lavorativa dell’equipe spazi e tempi dedicati a formazione e valutazione.

  1. Dotare le Cure Primarie di professionisti adeguati in numero, composizione, formazione e forma contrattuale

Proponiamo di attivare le misure opportune per superare l’attuale carenza di risorse umane nelle Cure Primarie, acquisendo i professionisti della salute adeguati per numero e competenze, specificamente formati per agire in equipe nelle comunità locali: sblocco assunzioni nel pubblico; semplificazione e razionalizzazione dei rapporti contrattuali di tutte le figure professionali territoriali nel quadro della dipendenza pubblica (superando le diversificazioni contrattuali in atto); adeguamento stipendiale; ulteriore razionale adeguamento degli accessi ai diversi percorsi pre- e post-laurea.”

l’Autore Fulvio Lonati, Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete – Salute a Km 0

Bibliografia

[1] Articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988

[2] Decreto Ministeriale 2 aprile 2015 n. 70 Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera – https://www.camera.it/temiap/2016/09/23/OCD177-2353.pdf

[3] PNRR – M6C1-1 “Riforma 1: Definizione di un nuovo modello organizzativo della rete di assistenza sanitaria territoriale”.

[4] Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale –  https://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=1650560930.pdf

[5] Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia – https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc/alleanza-per-le-cure-primarie-in-italia

[6] Il Libro Azzurro per la riforma delle Cure Primarie in Italia – https://sites.google.com/view/il-libro-azzurro-della-phc/home

 

fonte: saluteinternazionale.info

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