Scesa dal tram numero 3 in piazza della Repubblica a Torino, superate le bancarelle di abiti colorati, ecco l’edicola messa a nuovo. Antonio Damasco, direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare, mi aspetta seduto al tavolo di un bar accanto all’edicola per un caffè e l’intervista.
Da dove nasce l’idea di trasformare le edicole dismesse in portinerie di comunità?
L’idea nasce dalla Rete Italiana di Cultura Popolare che si è costituita a livello nazionale nel 2004 e si occupa di cultura e sociale che per noi sono la medesima cosa.
La nostra ricerca riguarda il welfare di comunità: come vivono e come cambiano. Ci siamo sempre interessati, e continuiamo a farlo, delle identità di un luogo. Tutti abbiamo delle nostre identità e quando non le abbiamo le cerchiamo. L’uguaglianza passa dal riconoscere le diversità: in questo momento siamo in pieno Ramadan, non occuparsi di identità vuol dire eludere il fatto che siamo immersi in una complessità da gestire.
Mentre ci occupavamo di tutto questo ci è stato richiesto di trasformare la ricerca in azione: individuare e attivare le competenze operative, in modo che queste comunità venissero in qualche modo reinventate. Siamo nel mezzo di comunità che hanno regole diverse: dal vestiario, al cibo, alla gestione dei figli, ai rapporti di coppia. Come interpretiamo le regole del gioco, dello stare insieme? Tutte le volte bisogna mettersi attorno al tavolo della cultura e ridefinire le regole. Questo per noi significa cultura.
In questo contesto, coerentemente con il nostro modo di intendere la ricerca, siamo partiti dalle biografie delle persone: capire chi vive sul territorio, le competenze, le storie. Sulla scia di una sensibilità all’ascolto è nato il Portale dei saperi, circa sei anni fa. Si tratta di uno strumento che, attraverso un algoritmo e un dizionario analogico, fa sì che le biografie si possano incrociare e si possano costruire delle corrispondenze.
Questo lavoro, un po’ come l’acqua, ci sfuggiva dalle dita, terminata la ricerca tutto finiva lì: Il Portale ci restituisce un flusso non una fotografia
Come nasce la portineria della comunità?
Si trattava di passare dalla ricerca all’azione. Abbiamo ingaggiato le persone attraverso il portale e poi le abbiamo convocate per una progettazione partecipata. Per noi la realizzazione di un intervento avviene dopo un anno e mezzo di lavoro sul territorio. Non succede il contrario: non si apre un luogo e poi si capisce chi c’è.
La portineria nasce il 9 luglio del 2020 con 200 persone, commercianti, artigiani, aziende, pubblica amministrazione, cittadini e terzo settore che firmano la sua costituzione: un patto sui beni comuni.
Questa è stata anche la svolta della Portineria che, nonostante il covid, è rimasta aperta, tramite un permesso della Protezione Civile, per il suo ruolo sociale, ad esempio per portare a casa delle persone le medicine, la spesa alimentare o andare a intercettate i molti ragazzi e ragazze che si erano disconnesse dalla scuola online.
Questo luogo è diventato anche un’occasione di lavoro: in due anni hanno trovato lavoro circa novanta persone. D’intesa con APL (Agenzia Piemontese per il Lavoro) e con la Lavazza, si è attivato un incontro fra offerta e domanda, fra bisogni e competenze presenti sul territorio. Con Lavazza, ad esempio, stiamo facendo un corso di formazione di giovani baristi: in questo settore il covid ha lasciato un 40% di disoccupazione e, attualmente, è difficile trovare ragazzi che vadano a fare i ristoratori e i camerieri.
Chi sono i protagonisti delle attività?
Qui la maggioranza è rappresentata da volontari. Gli Attivatori di Comunità invece sono professionisti formati: li formiamo attraverso dei percorsi, c’è una summer school tutti gli anni. I ‘Portinai’ sono operatori che sanno attivare e facilitare le reti di comunità. Arrivano da tutta Italia, quelli che formati fino ad ora lavorano tutti. Gestiscono anche l’organizzazione del volontariato. Si formano gruppi su tutto: dal sostegno ai senza fissa dimora, molto presenti su questo territorio, all’aiuto compiti per i ragazzi.
Tutto è gestito in quei dieci metri quadrati dell’edicola, un presidio, un inciampo dove la gente si incontra. Il nostro è un lavoro centrifugo e non centripeto: non portiamo la gente dentro, siamo noi che andiamo verso le persone.
Abbiamo un ottimo rapporto con il Comune, i Servizi Sociali, con il welfare di comunità. Questa portineria attualmente è diventata anche la sede di Croce Rossa e di diverse cooperative. Non deve esser il luogo della Rete Italiana di Cultura Popolare, ma il luogo di molti soggetti: più siamo e più riusciamo ad offrire servizi. Cambia proprio il paradigma del terzo settore, che cerca di mantenersi il proprio spazio, noi stiamo dicendo: Venite, aprite voi. Durante la settimana, in alcuni giorni, non ci siamo noi, ma le altre realtà con cui collaboriamo.
I cittadini possono aderire con un contributo di 10 euro l’anno: con questo hai diritto a avere presso la portineria un indirizzo di posta, altri benefit come la lista degli artigiani di fiducia che sono anche recensiti dagli abitanti.
Vedete quelle biciclette, sono a disposizione della comunità. Quando siamo partiti con questa iniziativa ci dicevano: Non dureranno una settimana, le ruberanno, verranno vandalizzate. Sono passati mesi e nessuno le ha toccate. Questo vuol dire che la comunità se ascoltata desidera prendersi cura dei beni comuni.
Fra poco nascerà anche una moneta di prossimità, con una offerta di sconti, per alimentare il commercio di prossimità e di qualità: gli abitanti che aderiscono avranno delle monete di ‘Spaccio Cultura’, che potranno utilizzare presso una rete di commercianti locali. In questo modo potremo misurare l’impatto economico sulla comunità locale.
Qui noi ci troviamo in una situazione particolare, siamo uno spartitraffico. Di qua inizia il quartiere Dora Aurora, con una composizione sociale assolutamente diversa da quella che troviamo verso il Centro: a cinquecento metri c’è il Comune e via Garibaldi. Quindi vi è veramente un mix sociale incredibile: le persone che chiedono servizi (persone delle pulizie, babysitter, …), ma allo stesso tempo persone che li offrono.
Sviluppi e diffusione dell’esperienza
Da oltre un anno, grazie a un Bando della Regione Piemonte, si sta lavorando su nuovi territori cittadini e non solo: Lungo Dora Savona, Borgo San Paolo, Madonna di Campagna.
Un appuntamento che non perdiamo mai è quello del lunedì alle 18.30 in cui incontriamo gli abitanti per la coprogettazione delle attività culturali, sociali, chi vuole fare il volontario, sono più di settanta le persone coinvolte.
Oltre a queste portinerie cittadine, proveremo ad aprirne almeno altre tre: una in val Susa, ad Avigliana e, con un partenariato con la cooperativa Pier Giorgio Frassati, ad Oulx, una realtà molto più piccola, ed una nel canavese, a Rivarolo. Stiamo cercando di capire se il modello regge: da alcuni indicatori che abbiamo, secondo noi, potrebbe andare addirittura meglio, perché in una realtà più piccola probabilmente la portineria ha una capacità attrattiva ancora più forte.
Mi piacerebbe che la Rete delle portinerie si diffondesse nei quartieri della città e oltre. Dopo quello che ci è accaduto abbiamo bisogno di creare spazi dove “iniziare a parlarci”, liberi, inclusivi e senza distinzione sociale.
Per saperne di più:
- È nata la rete delle Portinerie di Comunità, in: https://www.spacciocultura.it/
- Ci prendiamo cura delle comunità, in: https://www.reteitalianaculturapopolare.org/
A cura di Luisella Gilardi, DoRS – Centro di Documentazione per la Promozione della Salute, Regione Piemonte luisella.gilardi@dors.it
fonte: Disuguaglianze di salute
fonte immagine: repubblica.torino.it