PerugiAssisi . Facciamo nascere dal basso un gran movimento di pace. di Flavio Lotti, Marco Mascia

Caro direttore,

la guerra è mostruosa, è bestiale, è orripilante. In Ucraina come nel resto del mondo. Ogni giorno di guerra in più vuol dire più massacri, più devastazioni, più sofferenze per donne e uomini, bambini e anziani. Per questo dobbiamo fare l’impossibile per fermarla!

Per salvare la vita degli ucraini non dobbiamo fare altro: lavorare senza sosta per ottenere l’immediato cessate il fuoco. Gli ucraini stanno resistendo all’invasione e ogni giorno chiedono nuove armi sempre più pesanti. Sognano di vincere l’invasore russo. Ma, in assenza di una seria iniziativa diplomatica, fino a quando potranno resistere? A che prezzo? Con quali conseguenze? Nessuno sa quanti morti, feriti, mutilazioni, traumi, sofferenze, devastazioni abbiano già provocato quaranta giorni di guerra. Sappiamo che più di quattro milioni di persone sono riuscite a fuggire abbandonando tutto. Ma altre centinaia di migliaia di persone restano sotto le bombe. L’unico modo per salvarle è creare le condizioni per un immediato cessate il fuoco. Eppure molti non vogliono sentire.

Lo spirito della guerra sta avendo il sopravvento alimentando una spirale di azioni, reazioni e controreazioni il cui solo effetto perverso è l’aumento progressivo della violenza. Il peggio deve ancora venire e noi gli stiamo andando incontro senza che qualcuno tenti di scongiurarlo. Chi, come noi, si preoccupa delle tante guerre che da decenni stanno insanguinando il mondo sa che in Ucraina il mostro della guerra si sta muovendo a passo lento e che è capace di una ferocia ben più grande. Nel profondo più buio delle sue viscere c’è, questa volta, persino quella bomba atomica che può scrivere la parola fine sulla storia dell’umanità. Eppure molti sono convinti di poterlo domare facendogli ingoiare sempre più armi e sanzioni che innalzano e allargano lo scontro.

Un azzardo drammatico che in altri tempi nessuno si è sognato di sfiorare. Dicono che dobbiamo prepararci ad una lunga guerra. Pazzesco! Anziché delineare una strategia per fermarla, quelli che dovrebbero difenderci si sono già arresi alla logica della guerra. Cosa vuol dire che ‘sarà una lunga guerra’. Lunga quanto? Un anno? Dieci anni? Venti anni come in Afghanistan? Non lo sanno neanche loro. Perché una volta entrati nel tunnel della guerra, nessuno sa come uscirne. Con quali risultati? Con quali conseguenze? Non sanno neanche questo.

O meglio, quello che si sa non viene detto perché è terribile. Parlano di ‘vittoria’, ma noi già sappiamo che ormai le guerre non finiscono e non si vincono più. Troppe sono le armi, troppa è la loro capacità distruttiva. L’unica fine prevedibile è la fine di tutti. Ed è angosciante. Per fermare la guerra e la sua escalation deve crescere un grande movimento di cittadini per la pace. Deve crescere ‘dal basso’ – come anche lei, direttore, chiede – in ogni quartiere, in ogni città, in ogni scuola, in ogni luogo di lavoro. Per questo stiamo organizzando per il prossimo 24 aprile, vigilia della nostra Festa della Liberazione, una Marcia della pace straordinaria da Perugia ad Assisi.

Per aiutare tutte e tutti, e in particolare le giovani generazioni, ad aprire gli occhi sul pericolo che incombe e a reagire finché si è in tempo. L’escalation della guerra non è inevitabile. L’alternativa esiste ed è un serio negoziato politico. Bisogna solo volerlo. Per questo invitiamo tutti a partecipare alla marcia PerugiAssisi per dare voce al bisogno di pace degli ucraini, che è anche il nostro e di tutti i popoli martoriati dalle guerre nel mondo. Non ci dobbiamo limitare a chiedere pace. Dobbiamo essere disponibili a farla. Ogni giorno. Tutti i giorni. Prendendoci cura gli uni degli altri e del mondo in cui viviamo. «L’arcobaleno, questa volta, lo vogliamo prima della tempesta, non dopo. La pace deve precedere, impedire la guerra, per non essere soltanto un doloroso bilancio di rovine». (Gianni Rodari).

Comitato promotore Marcia PerugiAssisi Centro Diritti Umani ‘Antonio Papisca’ Università di Padova

FONTE: L’Avvenire Lettere al Direttore

Avvenire

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