La guerra fa male alla salute. di Eva Benelli, Maurizio Bonati

I bambini morti, il sangue, le donne violentate, le città devastate…a questa narrazione della guerra che ci viene proposta quotidianamente non possiamo sottrarci e forse nemmeno dobbiamo. Dovremmo però porci in modo attivo con il pensiero e, potendo, con il fare per costruire valori di pace. Ci sono altri effetti della guerra, meno evidenti di quelli che percepiamo da lontano, ma non meno devastanti e duraturi per la salute delle persone che li subiscono. Questa narrazione manca, eppure è (dovrebbe essere) cruciale per ogni discussione strategica sulle settimane a venire: la guerra compromette in maniera drammatica e prolungata la salute delle popolazioni anche per lungo tempo dopo la fine del conflitto e altera i sistemi sanitari spesso già precari nei paesi colpiti.

Il secolo scorso ha visto oltre 190 milioni di morti legati ai conflitti, ma se per la prima guerra mondiale solo 1 su 7 si contava tra i civili, con la seconda i civili rappresentavano già due terzi degli scomparsi, oggi, pur nella grande difficoltà di attribuzioni certe, il 90% dei morti va annoverato tra la popolazione civile. A questi bisogna aggiungere gli invalidi di guerra, i desplazados e i rifugiati.

I conflitti armati influiscono sulla salute non solo per gli effetti diretti della violenza ma per le conseguenze degli spostamenti forzati, dei danni alle infrastrutture, dell’insicurezza alimentare e della perdita dei mezzi di sussistenza, non ultimo per l’interruzione dei servizi pubblici essenziali che oltre a quello sanitario sono acqua ed energia.

La ricostruzione di questo tessuto lacerato non è scontata, né immediata dopo la fine della guerra.

«La pianificazione del recupero del sistema sanitario richiede un’attenta analisi dell’impatto del conflitto sui determinanti di salute, per esempio per analizzare in che modo lo spostamento della popolazione si riflette sull’accesso all’acqua potabile o sulla capacità economica», si legge in un documento OMS “Conflitto e salute1 che risale all’ormai lontano 2000. La pianificazione per la ricostruzione dovrebbe iniziare il prima possibile, ma nella maggior parte dei casi questo non avviene prima che la guerra sia finita, cioè «quando le capacità nazionali sono al minimo, i bisogni e la domanda (anche di aiuto) sono al massimo e il coordinamento è più difficile».

Un paese in difficoltà

Il profilo di salute dell’Ucraina già prima dell’invasione russa era, purtroppo, tra i peggiori del vecchio continente: l’indice di sviluppo umano la colloca al 40° posto sui 42 paesi europei e al 74° nel mondo.2 Dal 2014 il paese stava affrontando una crisi umanitaria a seguito dell’attacco in Donbass e Crimea che vedeva coinvolte 5 milioni di persone, di cui 3,8 milioni richiedevano servizi sanitari di emergenza.

Tra gli indicatori di salute, il tasso di mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni era tuttavia in miglioramento e nel 2020 aveva raggiunto l’8,1 ogni 1.000 nati vivi (pur sempre il doppio del valore UE di 3,9). Anche la copertura vaccinale di routine era andata gradualmente aumentando dal 2015, ciò nonostante era ancora largamente migliorabile. Per esempio, dopo l’epidemia che nel 2017-2018 ha registrato il più alto numero di casi in Europa, la copertura vaccinale contro il morbillo si collocava all’81,9%, ben lontana, quindi, dal 95% atteso come valore di sicurezza.

Anche la copertura vaccinale per la polio (84%) rimaneva drammaticamente al di sotto di valori accettabili per cui nell’ottobre 2021 si è registrato un focolaio circolante di poliovirus di tipo 2, in seguito della quale era stata pianificata una campagna di vaccinazione antipolio a partire dal primo febbraio 2022. Campagna che, inevitabilmente, il conflitto ha interrotto.

L’Ucraina ha il quarto più alto tasso di incidenza della tubercolosi tra i paesi della regione europea dell’OMS e la seconda più alta prevalenza di coinfezione da Hiv/Tb (26%), inoltre tra le nuove diagnosi la tubercolosi resistente ai farmaci rappresenta il 29%. La malattia, peraltro, richiede un trattamento prolungato, dai 6 ai 24 mesi e la complessità dello schema terapeutico da seguire rappresenta ancora una sfida per la sanità in diversi paesi, anche di quelli dell’intera area delle ex repubbliche sovietiche,

Per quanto riguarda l’Hiv l’Ucraina ospita la seconda epidemia per gravità della regione europea dell’OMS (37,5 per 100.000 nel 2020) con una copertura del trattamento che non supera il 57%, decisamente inferiore alla media UE dell’82%.

Preoccupa anche la situazione della pandemia di Covid-19, con un aumento assai significativo (+555%) dei casi tra gennaio-febbraio 2022, un tasso di mortalità del 2,2% e una copertura vaccinale non superiore al 35%.

Sul fronte delle cosiddette malattie non trasmissibili gli standard di salute sono altrettanto drammatici: in particolare le malattie cardiovascolari (67%) registrano un tasso di mortalità aggiustato per età per cardiopatia ischemica più di sei volte superiore rispetto ai paesi della UE e una prevalenza di diabete negli adulti del 7,1%.

Circa il 33% della popolazione ucraina soffre di qualche forma di disagio mentale nel corso della propria vita (soprattutto gli sfollati interni già presenti nel paese), con uno dei tassi di suicidio più alti del mondo e tassi di decessi legati all’alcol altrettanto elevati.

A completare il quadro di un paese già in seria difficoltà prima dello scoppio della guerra, qualche indicatore socioeconomico. L’Ucraina è seconda solo alla Moldavia per povertà tra i paesi europei: ha un reddito nazionale lordo pro capite di 13.216 dollari (in Italia sono 42.776) che si genera in buona misura grazie alle rimesse dei lavoratori ucraini all’estero.

L’aspettativa di vita alla nascita nel 2020 era di 72,1 anni (in Italia 83,5), 66 anni per la popolazione maschile 76 anni per quella femminile. Dagli anni novanta del secolo scorso la popolazione continuava a calare per l’effetto combinato di tre fattori: gli alti tassi di emigrazione, i bassi tassi di natalità (9,2 nascite ogni 1000 persone) e degli alti tassi di mortalità (15,2 morti ogni 1000 persone).

Prima dello scoppio della guerra il paese ospitava in orfanotrofio oltre 100.000 minori abbandonati, soli o in difficoltà familiare, con il conflitto questo numero è destinato a crescere e il processo di chiusura programmata degli orfanotrofi, avviato nel 2017 si è interrotto. A fronte di questa cronica condizione di diritti negati sin dalla nascita l’Ucraina è la realtà europea più permissiva nel consentire agli stranieri di stipulare contratti per la maternità surrogata coinvolgendo le donne in cambio di un compenso. Un’attività commerciale regolata anche legislativamente.3 Due estremi che dovrebbe far riflettere su diritti e interessi, anche economici, a prescindere dalla guerra.

Conflitti armati e salute pubblica

La guerra in Ucraina è purtroppo l’ultima delle 18 guerre attualmente in corso sul pianeta, alcune iniziate da decenni come quella civile in Myanmar,  in corso dal 1948, che ha causato sinora oltre 200.000 morti, 5.000 dall’inizio del 2022. «Il conflitto, acuto o prolungato, è uno shock per gli individui, le comunità e le società. Le persone vulnerabili sono quelle meno in grado di gestire gli impatti del conflitto, coloro che erano vulnerabili prima della guerra sono ancora più vulnerabili durante e dopo». Così scrivono Silvia Garry e Francesco Checchi in un articolo dedicato all’analisi del rapporto tra i conflitti e la salute pubblica.5

Un’analisi dettagliata che si avventura nel difficile compito di valutare gli impatti della guerra non solo diretti e indiretti, ma anche nel medio e lungo periodo. In effetti, l’orizzonte temporale più lungo, compresi i decenni durante i quali le popolazioni si riprendono dai conflitti, difficilmente fa parte della pianificazione di salute pubblica che segue alla guerra. Eppure gli effetti sulla salute possono durare per anni. Il costo della guerra è in gran parte mascherato dalla contabilità del Prodotto Nazionale Lordo, che ignora la perdita di vite umane e del capitale umano legato alla guerra. Inoltre, le risorse dedicate alla guerra sono trattate come beni o servizi finali invece che come costi di produzione.Le guerre ritardano la crescita del PIL di anni per i paesi vittime, che spendono meno per la salute e più per la difesa a guerra finita. Ricaduta diversa per i produttori di armi.

È quello che sta accadendo con il 2% del PIL da destinare agli armamenti da parte dei paesi UE. Spostare gli investimenti riducendo le risorse già limitate e insufficienti come quelle destinate alla salute, alla ricerca e allo sviluppo indica mancanza di lungimiranza, con il rischio di aggravare ulteriormente in alcuni paesi il benessere di intere collettività e in particolare, ancora una volta, per alcune fasce della popolazione. Per esempio, gli effetti sulle donne e sulla gravidanza possono riverberare attraverso le generazioni. Le conseguenze di una nutrizione inadeguata nei primi anni condizionano l’intero arco di vita di chi li subisce e questo avrà un impatto sul loro inserimento nella società a lungo termine. La salute mentale va “curata” e prevenuta sin dalla nascita, durante lo sviluppo e per tutta la vita. L’effetto dei conflitti sulla salute mentale delle vittime di guerra è ben conosciuto, sebbene colpevolmente ignorato.7

Il ruolo dei sanitari

Per questo, nel dibattito aperto in questi giorni, c’è chi si interroga su quale ruolo spetti ai sanitari per contrastare l’escalation bellica.

Già nel lontano 2003, nell’imminenza della guerra in Iraq, la docente di politiche ambientali e sanitarie Carolyn Stephens “in nome e per conto del personale, degli studenti e dei laureati della London School of Hygiene and Tropical Medicine” si rese protagonista di una lettera aperta a Tony Blair, che, pubblicata sul British medical Journal raccolse migliaia di firme (si può trovare in italiano qui). Tra le tante considerazioni in merito a quel conflitto si poteva leggere anche questa: «I professionisti in campo sanitario di tutto il mondo sono consapevoli di dover rimediare ai danni provocati dalla guerra. Ciononostante la nostra responsabilità consiste anche nel cercare di prevenire la violenza e nel sostenere l’importanza di una soluzione pacifica dei conflitti».

In questa stessa direzione va la presa di posizione dell’epidemiologo Pirous Fateh-Moghadam:

«la prevenzione della guerra è compito dell’intera società, ma chi esercita una professione sanitaria ha una scusa in meno per non impegnarsi in quanto la guerra rappresenta un importante fattore di rischio per la salute pubblica mondiale. Da un punto di vista di sanità pubblica, militarismo e guerra devono essere considerati almeno al pari di altre cause prevenibili di malattie e morte».8

Purtroppo alcuni rappresentanti della comunità scientifica sono poco critici e scelgono posizioni di comodità politica, come è il caso della Società europea di cardiologia che suggerisce alle società nazionali di settore di non invitare cardiologi russi a convegni e a partecipare a collaborazioni scientifiche.9 Pubblicare o boicottare gli articoli scientifici che arrivano dalla Russia è tema di discussione anche delle riviste medico-scientifiche.10 Una cecità culturale per chi del benessere della vita di tutti ha fatto (anche) una professione. La pace la si fa in due: occupanti e occupati ed è un processo attivo e partecipato, una condizione da raggiungere a garanzia dei diritti di tutti, in particolare per ridurre le vittime future. Inviare armi alimenta la guerra, difensiva e offensiva, aumentando le vittime nel tempo, compromettendo il futuro dei popoli.

Mentre scriviamo, la discussione si sta vieppiù polarizzando, stimolata anche dalle affermazioni di Papa Bergoglio contro il ricorso alle armi. Alla guerra c’è un’alternativa: la pace.11 Le guerre si fanno con le armi. Le armi fanno male alla salute… di tutti.

Bibliografia

1. World Health Organization. Conflict and health. June 2000. https://www.who.int/hac/techguidance/hbp/Conflict.pdf.

2. Marchese V, Formenti B, Cocco N, Russo G, Testa J, Castelli F, Mazzetti M. Examining the pre-war health burden of Ukraine for prioritisation by European countries receiving Ukrainian refugees. The Lancet 2022. https://doi.org/10.1016/j.lanepe.2022.100369

3. Motluk A. Ukraine’s Surrogacy Industry Has Put Women in Impossible Positions. The Atlantic, 1 March 2022. https://www.theatlantic.com/health/archive/2022/03/russia-invasion-ukraine-surrogate-family/623327/

4. The Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED). 2022. https://acleddata.com/#/dashboard

5. Garry S, Checchi F. Armed conflict and public health: into the 21st century. Journal of Public Health, 2019;  42: e287–e298

6. Thies CF, Baum CF. The effect of war on economic growth. Cato Journal. 2020; 40. DOI:10.36009/CJ40.1.10.

7. Frounfelker RL, Islam N, Falcone J, Farrar J, Ra C, Antonaccio CM, Enelamah N, Betancourt TS. Living through war: mental health of children and youth in conflict-affected areas. International Review of the Red Cross. 2019; 101: 481-506.

8. Fateh-Moghadam P. La guerra in Ucraina: un punto di vista sanitario. Il punto, 18 marzo 2022. https://ilpunto.it/la-guerra-in-ucraina-un-punto-di-vista-sanitario/

9. European Society of Cardiology. ESC Statement on the War in Ukraine. 10 March, 2022. https://www.escardio.org/The-ESC/Member-National-Cardiac-Societies/ESC-Statement-on-the-War-in-Ukraine

10. Holly E. Ukrainian researchers pressure journals to boycott Russian authors. Nature, 14 marzo 2022

11. Tognoni G. Non c’è alternative alla Guerra? Il punto, 23 marzo 2022. https://ilpunto.it/la-pace-e-la-alternativa-alla-guerra-in-ucraina/

fonte: Scienza in Rete

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