Gentile Direttore,
quando si mette mano ad una riforma poderosa, come quella dell’assistenza territoriale con il Dm 71 in via di approvazione, bisogna partire dal presupposto che se cambia il sistema, anche gli operatori che vi lavorano devono cambiare l’organizzazione e le modalità di svolgimento delle loro attività: se ognuno continua a fare le stesse cose che faceva prima evidentemente cambiano le etichette ma non cambia l’efficacia e l’efficienza del sistema.
Il Dm 71 è sostanzialmente ben strutturato, indica un modello chiaro di nuovo assetto della assistenza territoriale. Rappresenta una straordinaria implementazione e modernizzazione di tutto il SSN. Si prospetta una sanità che va dal cittadino in base ai suoi bisogni, e non viceversa, dove girano le informazioni non le persone. E’ dignitosamente finanziato con i fondi del PNRR e con i previsti incrementi del FSN. Ha quindi tutte le premesse per un buon risultato.
Tuttavia manca del coraggio dell’ultimo miglio, che è quello che poi è alla base della distanza che si sta registrando tra Governo e Regioni nelle richieste di queste ultime: maggiori risorse per garantire la possibilità di assumere personale per gestire le Case di Comunità, Ospedali di Comunità e le altre strutture territoriali previste; e una riforma urgente della medicina generale con un aggiornamento del percorso formativo ai nuovi standard territoriali definiti.
E’ evidente che le richieste delle regioni siano legittime, ma sono una scelta subordinata alla rimozione del problema principale. Non è al MEF che si risolve il problema ma al Ministero della Salute. E’ qui che si deve decidere di intervenire con coraggio nell’assetto della medicina generale.
Il nodo irrisolto rimane la mancata integrazione organizzativa delle figure professionali mediche operanti in convenzione con quelle, mediche e non mediche, operanti nei servizi territoriali sotto la regia distrettuale.
Basterebbero tre misure per spianare la strada alla concreta realizzazione dei nuovi standard di assistenza territoriale. Altrimenti neanche maggiori risorse garantirebbero l’obiettivo.
1) Definizione del ruolo unico per tutti i medici del territorio: Medico Territoriale (analogo al medico ospedaliero). Ogni categoria professionale mantiene la sua specificità e la sua autonomia, ma rientra in una organizzazione unitaria distrettuale.
2) Superamento delle convenzioni e definizione di specifico rapporto di dipendenza dei medici di famiglia (pediatri e specialisti ambulatoriali).
Bisogna prendere atto che i medici convenzionati non hanno più senso al di fuori dei servizi distrettuali, e che i servizi territoriali, senza i medici attualmente convenzionati sono penalizzati. E si è visto chiaramente durante la pandemia.
3) Superamento della figura del medico di continuità assistenziale facendolo diventare a tutti gli effetti quello che è, un MMG.
E’ incredibile che una parte della categoria che ha lo stesso titolo di MMG debba essere mantenuto in sostanza nella riserva indiana della ex guardia medica. Oltre ad una ingiustizia, è uno spreco di risorse professionali, e comunque incompatibile con il nuovo assetto delle cure territoriali.
Disponendo oggi di circa 42.500 medici di famiglia e 13.700 medici di continuità assistenziale, avremmo complessivamente 56.000 medici per 51 milioni di cittadini di età superiore ai 14 anni, da impegnare appieno nell’assistenza territoriale.
Con questi provvedimenti avremmo insomma sufficienti risorse affinché il medico di famiglia possa mantenere il suo ambulatorio e diventare medico del Distretto, contribuendo così a dare sostanza al nuovo assetto delle cure territoriali. Si ottimizzerebbero le risorse professionali, si ridurrebbe la necessità di ulteriori finanziamenti e si salverebbe la categoria dei medici di famiglia.
E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, lo stillicidio di competenze e funzioni che questa categoria sta cedendo ad altri soggetti, con perdita di ruolo e identità.
Bisogna solo decidere se inchinarsi ai veti di una lobby o realizzare effettivamente i nuovi standard di assistenza territoriale del Dm 71, e dare futuro e prestigio alla stragrande maggioranza di medici di famiglia oggi convenzionati.
fonte: QS Lettere al Direttore
l’Autore Nicola Preiti è Medico. Coordinatore Provinciale Italia Viva Perugia