La nuova malattia da Coronavirus 2019 (Covid-19) segnerà la nostra epoca e in futuro probabilmente parleremo di un prima e un dopo la pandemia. Per molti aspetti del vivere sociale, nell’economia, nella politica, nei rapporti commerciali, nell’educazione, nel sistema della comunicazione e anche nella promozione della salute individuale e collettiva vi è un prima e ci sarà un dopo la pandemia. È percezione di molti anche a livello individuale che stiamo vivendo infatti un periodo non comune perché più ambiti della nostra vita sono determinati dagli effetti della pandemia. Stiamo vivendo una fase di difficoltà e a volte di dolore collettivo per un nemico che ha aggredito la nostra salute ma ci ha anche costretto a modificare i nostri comportamenti: è forte l’attesa per un ritorno al vivere del passato, ma quel passato difficilmente tornerà, in particolare per ampi strati della società. Interi gruppi sociali, dai precari a diverse categorie di lavoratori – gli inoccupati, i disoccupati, i piccoli commercianti, i ristoratori, le fasce sociali già deboli – hanno subito in questi anni un processo di rapido impoverimento che non sarà facile rimuovere: tutti i parametri che vengono studiati indicano che la pandemia sta trascinando con sé un drammatico incremento delle diseguaglianze.
La comunità degli epidemiologi italiani ha avuto un ruolo importante durante la pandemia, producendo apporti metodologici, documenti, position papers, specie nella fase emergenziale. Epidemiologia e Prevenzione (E&P) – la rivista dell’Associazione Italiana di Epidemiologia – ha prodotto sino ad ora due monografie raccontando dal punto di vista epidemiologico i primi e i secondi sei mesi della pandemia. Covid-19 rappresenta una sfida globale senza precedenti dal dopoguerra, determinando trasformazioni di grande impatto su economia e società e causando rilevanti perdite di vite umane. Al 6 luglio 2021, in Italia erano stati registrati 4.247.053 casi e 126.720 decessi da Covid-19, per un case fatality rate complessivo del 3%; i mesi seguenti registreranno una ulteriore drammatica esplosione del numero dei casi e un ulteriore incremento del numero dei decessi, con l’arrivo di nuove ondate epidemiche sostenute da successive varianti genetiche del virus originariamente descritto. Il parametro più importante da osservare nell’andamento pandemico è la mortalità espressa non solo in termini di valori assoluti ma anche in termini di tassi per popolazione. Nell’anno 2020 in Italia il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 108.178 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019 (21% di eccesso). Le regioni che nel 2020 hanno riportano aumenti significativamente più alti del tasso standardizzato di mortalità (la misura che tiene conto della diversa struttura per età delle popolazioni) sono il Piemonte, la Valle D’Aosta, la Lombardia e la Provincia autonoma di Trento. Dai dati disponibili nel 2021, in termini di tassi standardizzati, l’eccesso di mortalità, sebbene drammatico, è risultato inferiore a quello registrato in altri paesi europei, tra i quali Spagna, Belgio e Regno Unito, e negli Stati Uniti. L’Italia è un paese con molti anziani, il rischio complessivo di morte è risultato inferiore a quello di altre nazioni mentre ha dolorosamente colpito le fasce di età più avanzate della popolazione: l’alto numero di decessi è stato determinato dall’incremento delle morti della popolazione con almeno 80 anni. La pandemia ha gravato in modo importante sull’offerta del Ssn e su diversi strati di popolazione.
Ricoveri ospedalieri.
La riconversione di reparti, la riduzione delle attività chirurgiche non urgenti e la sospensione delle attività ambulatoriali su prenotazione si sono affiancati alla necessità di proteggere da una possibile infezione i pazienti cronici non infetti, particolarmente suscettibili al contagio e ai suoi esiti più sfavorevoli. Durante le ondate epidemiche le attività di ricovero per patologie diverse dal Covid si sono marcatamente ridotte, sono diminuiti del 30% (così dai dati relativi a sette Regioni che hanno costruito un gruppo di monitoraggio) i ricoveri per malattie ischemiche del cuore acute, ma in aggiunta ai ricoveri per Covid‐19 sono continuati quelli per patologie rapidamente evolutive e per le urgenze ponendo sovente sotto stress intere strutture del sistema sanitario. Drammatico, almeno per quanto riguarda il Nord del paese sottoposto a studio, è risultato il minor controllo in età pediatrica dove le visite ambulatoriale si sono ridotte del 67%.
Gli screening.
La pandemia ha agito anche riducendo l’attività di diagnosi precoce: rispetto ai primi cinque mesi del 2019, nello stesso periodo del 2020 ci fu una riduzione del 55% dei test di screening per le tre sedi tumorali per le quale esiste un piano nazionale di controllo (tumore del colon, della cervice uterina e della mammella). Questa riduzione corrisponde circa a un milione e mezzo di esami. Il recupero degli esami mancanti è in corso e si prevede che durerà almeno durante tutto il 2022.
I farmaci.
Alcuni farmaci che si sono rivelati non efficaci per il trattamento del Covid-19, come l’idrossiclorochina e alcuni antivirali (per esempio lopinavir/ritonavir) o immunosopressori, c’è stato un aumento importante di consumo nei primi mesi dell’epidemia, che è successivamente rientrato nel corso del periodo successivo. Fa eccezione l’azitromicina, un antibiotico della classe dei macrolidi che è stato ampiamento utilizzato, anche se in assenza di prove di efficacia, sia durante la prima sia la seconda ondata epidemica. Il consumo ospedaliero di eparina e glucortisonici è aumentato nella seconda fase dell’epidemia, mentre a livello territoriale l’uso dei cortisonici è rimasto simile o inferiore al 2019. Dall’inizio della pandemia nel giro di alcuni mesi, sono stati messi a punto vaccini che, in condizioni non emergenziali, sarebbero stati sviluppati nel corso di 5-10 anni. La campagna vaccinale rappresenta uno sforzo immane per la sanità pubblica che si è fatta carico della scelta dei vaccini, delle modalità di somministrazione, e deve mantenere la responsabilità della verifica degli effetti positivi delle vaccinazioni e degli eventuali effetti collaterali. Sono emersi nella società problemi nella relazione tra scienza e democrazia, si tratta di riconoscere e affrontare l’incertezza nella conoscenza scientifica e investire nella somma di ritardi che si sono accumulati nell’ambito della educazione sanitaria e soprattutto nella costruzione di una medicina partecipata. L’avvento della pandemia e il suo superamento come elemento emergenziale indicano aree dove si evidenzia più fortemente la necessità di un rilancio del Ssn: il mondo infantile e adolescenziale, l’organizzazione familiare e il disagio mentale, il mondo del lavoro. Si tratta però di considerare che i temi emergenti frutto indiretto del dramma pandemico vanno affrontati con un approccio sindemico. C’è infatti una forte relazione tra malattie croniche non trasmissibili e Covid-19. Uno studio condotto sulla popolazione dell’Ausl Toscana, per esempio, ha osservato che diverse patologie o condizioni croniche, come l’ipertensione, l’insufficienza cardiaca, i tumori, il diabete, il Parkinson e la broncopneumopatia cronica ostruttiva, sono fattori di rischio per ammalarsi di Covid-19. In un editoriale su Lancet Richard Horton usa il concetto di sindemia perché si affronti la pandemia tenendo conto della interazione tra Covid-19, malattie croniche e disuguaglianze sociali.
Bambini e adolescenti.
Le lunghe fasi in cui le scuole sono state chiuse (sostituite da una complessa e non facile attività di didattica a distanza) hanno creato diffusi problemi di difficoltà di apprendimento, disturbi caratteriali e disagi psicologici nell’infanzia e nell’adolescenza, specie nelle fasce più svantaggiate della popolazione. Le prove Invalsi 2021 hanno riscontrato risultati più bassi in Italiano e Matematica nel 2021 rispetto al 2019, per le scuole secondarie di I e II grado; per le fasce economicamente più deboli della popolazione si è aggiunto un lungo periodo di ridotta possibilità di attività fisica extrascolastica: tutti elementi tali da richiamare la necessità di piani specifici di recupero e riscoperta della attività di medicina scolastica.
Le famiglie e il disagio mentale.
Diversi elementi testimoniano come la lunga fase di misure per il controllo della pandemia abbia agito nei rapporti familiari e nelle relazioni sociali, gravate da un forte ridimensionamento delle relazioni interpersonali, effetti più rilevanti per anziani e persone con difficoltà fisiche o sensoriali. In molte famiglie Covid-19 è stato direttamente vissuto per isolamento, contagio, talvolta per ricoveri tra componenti dell’unità famigliare e per casi di decesso: associati a queste condizioni, studi testimoniano l’insorgere e l’aggravarsi di condizioni individuali in ambito psichiatrico.
I lavoratori.
In Italia non si è mai giunti ad un lockdown completo: le condizioni economiche nazionali non lo hanno permesso. Accordi tra sindacati e organizzazioni datoriali hanno costruito protocolli di lavoro che contenessero il rischio di diffusione della malattia. Il rischio nel mondo del lavoro è attestato dalle 165.000 denunce di malattia professionale da Covid-19 e da stime Inail che indicano che circa il 30% delle denunce di decesso per cause di lavoro erano associate a esposizione al virus. Conclusioni. È necessario predisporre ora una organizzazione sanitaria che sappia globalmente affrontare l’evento pandemico per superare la fase ancora in corso, facendo tesoro dell’esperienza degli avviati Centri territoriali Covid e delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) e della professionalità di molti addetti alla salute. Si tratta di predisporre il sistema a un grande piano preventivo basato sul rafforzamento pubblico che preveda forme stabilite di partecipazione di cittadini, organizzazioni di volontariato e pazienti anche in relazione con le autorità locali.
Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2021 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: RPS 2/2021
Gli Autori: Andrea Micheli, sociologo e statistico medico, ha diretto una struttura complessa di epidemiologia presso la Fondazione Irccs Istituto nazionale tumori di Milano. Francesco Forastiere, laureato in medicina e PhD in epidemiologia, è esperto di epidemiologia ambientale. Lorenzo Richiardi è professore ordinario di Statistica medica presso il Dipartimento di Scienze mediche dell’Università di Torino, direttore della struttura complessa universitaria di Epidemiologia dei tumori dell’Aou Città della salute e della scienza di Torino e coordinatore del Centro di riferimento per l’epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte.
Fonte: RPS La Rivista delle Politiche Sociale