Il mio intervento si basa su quelle esperienze personali legate al bisogno di cura, di ripresa, di salute mentale, che ho vissuto un per arco di tempo lungo più di trent’anni: infatti, già all’inizio degli anni ‘90, ho cominciato a essere curata con continuità dal Centro di Salute Mentale di Barcola, il primo dei CSM 24h istituiti in Italia, presso il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, addirittura in anticipo rispetto alla Legge 180.
Ricordo con vivezza il primo incontro con gli operatori del Centro. È stato un momento in cui, con molta pacatezza e umanità, sono stata messa in grado di parlare liberamente della mia sofferenza, e soprattutto di esprimere domande e richieste di aiuto concrete. Cosa assolutamente non facile, quando si è contratti, chiusi nel dolore, che impedisce di trovare le parole, e la vergogna blocca ogni strada di apertura verso il mondo esterno.
Ma, al di là della prescrizione di farmaci specifici, ho trovato subito delle risposte concrete, che mi aiutavano a cercare di vincere e superare fobie, isolamento, disperazione, abbandono: esse sono iniziate con l’invito a partecipare in gruppi di discussione; in gruppi di auto-mutuo-aiuto tra donne; in Associazioni femminili del Terzo Settore operanti con il DSM, e dunque tutti improntati alla medicina di genere, in anni davvero precoci. Tutto ciò ha avuto un valore terapeutico ancora maggiore dei colloqui individuali tradizionali.
Anche l’opportunità di partecipare attivamente a congressi e incontri sui temi della salute mentale, nazionali e internazionali, opportunità sempre condivisa con molti amici e amiche, afferenti come me al DSM di Trieste, mi/ci ha messo di fronte, in ogni occasione a esperienze formative di vario livello: non solo di conoscenze in senso stretto, ma anche pratiche reali.
Così già ben più di vent’anni fa ho/abbiamo sentito parlare di recovery; di resilienza, parola allora del tutto nuova, mutuata dalla lingua inglese; del valore sostanziale della riflessione sulle proprie storie di vita, raccolte in narrazioni ricche ed emozionanti; di costruzione di percorsi di recupero in accordo responsabile con gli operatori; e infine di possibilità di guarigione.
Ma anche, ho/abbiamo, imparato a prendere treni, aerei; a risiedere in alberghi; a vivere in campeggi; a incontrare persone e ad attraversare situazioni imprevedibili, ad affrontare il confronto pubblico; a gestire momenti di protagonismo individuale e corale davvero impegnativi, aiutandoci e sostenendoci reciprocamente …
E tutto costituisce e costruisce esperienza; bagaglio utile a conoscere e a confrontarsi con situazioni diverse. Ma soprattutto, costruisce da un lato, inclusione e socializzazione reali nel mondo non protetto, anzi tendenzialmente ostile verso le persone fragili; dall’altro, costruisce coesione e senso di appartenenza a un gruppo umano comunitario, attraversato da problemi e da difficoltà che reciprocamente si possono comprendere e ci si aiuta a risolvere.
In questo senso penso alle tante occasioni di partecipazione libera a seminari dipartimentali, frutto di co – progettazione, preparati per tempo con numerose riunioni operative, cui ho/abbiamo partecipato in tanti e in prima persona. Qui nascevano, si formavano possibilità di dialogo e di conoscenza reciproca più stretta e amicale tra operatori di tutti i livelli, familiari e persone con esperienza; sfumavano pregiudizi; si sperimentavano pratiche socializzanti fortemente terapeutiche; si apprendevano metodi di interazione medicale e di esperienze di cura effettuate sul campo anche in paesi stranieri.
Dunque, pratiche formative comunitarie, organizzate dal Dipartimento, a cui le persone con esperienza erano invitate e in cui erano coinvolte; proprio a esse si dava spazio, parola, libertà di presenza, sostegno per chi in quel preciso momento era più in difficoltà. Tutte forme e opportunità di crescita collettiva, di costruzione di saperi circolanti nella comunità.
La formazione, a mio avviso, deve essere altamente qualificata, ricettiva delle ultime raccomandazioni dell’OMS, aperta agli studi internazionali più aggiornati; e soprattutto deve essere permanente; e deve essere sostenuta e attuata non solo nelle sedi universitarie. Penso che essa deve essere rivolta non solo agli operatori; ma che anzi deve coinvolgere anche le persone che attraversano i Servizi, familiari e utenti, chiamati auspicabilmente a partecipare, apprendere, confrontarsi negli spazi appositamente istituiti dai Dipartimenti e dai Centri.
Perché proprio alle persone con esperienza deve essere offerta l’opportunità di mettersi in gioco; di provare la gratificazione che deriva dall’esperire le proprie possibilità, conoscenze, competenze, saperi, davanti e assieme a un gruppo umano accogliente ed empatico, in funzione di una crescita, di un cambiamento migliorativo personale e collettivo.
Così, molti anni fa è cominciato per me un percorso di formazione, non esclusivamente dottrinale, ma piuttosto pratico e fattuale: esso sta durando ancora oggi, quando mi trovo portata, sollecitata, a prendere parte attiva all’impegno comune di tanti altri soggetti, persone, associazioni, movimenti assembleari, gruppi sindacali e politici, in difesa e per la implementazione della Salute mentale di comunità. E non solo nel territorio giuliano.
fonte: Forum Salute Mentale