Non esiste, in questo momento, un pensiero di pace: con il fondo per la pace, stiamo comprando le armi da mandare in Ucraina, come se non ci fossero alternative alla guerra contro la guerra. Abbiamo aperto le armerie, poi piangiamo di fronte alla morte dei civili, soprattutto dei bambini.
Ma non ci commuovono più i bambini afgani: solo due settimane fa piangevamo per loro, ma oggi li lasciamo morire di freddo e di fame, lasciati fuori dall’Europa. L’Afghanistan da 40 anni ci insegna che la guerra non porta la pace, perché 20 anni di conflitto sono costati 4 trilioni di dollari e non hanno portato niente di buono nel Paese: il numero di morti tra i civili è molto più alto di quello tra i combattenti, le donne hanno conquistato qualche diritto grazie alle Ong, ma solo nelle grandi città, mentre sulle montagne la presenza occidentale non ha portato alcun beneficio e si è ampliata la forbice tra zone urbane e zone rurali. In Afghanistan non c’è stato mai un vero investimento sulla pace e il risultato è che in questo momento i talebani, approfittando della distrazione dell’occidente, sono tornati a terrorizzare la gente.
La lezione dell’Aghanistan, però, sembra non averci insegnato nulla, se in questo momento, in questa gravissima crisi ucraina, di nuovo sembra che l’unica strategia sia la guerra: ai tavoli delle trattative, ci sono solo uomini che parlano di guerra, non c’è nessuno a parlare di pace. Dirò una cosa solo apparentemente scontata ed evidente: la guerra è brutta, in guerra si muore male. Ho passato tantissimo tempo in Afghanistan, sulle nostre teste volavano missili da 150 mila dollari e mi veniva da tirar fuori la calcolatrice: mentre faticavamo per trovare i 50 centesimi che ci bastavano per nutrire un bambino, venivano spese cifre incredibili per armamenti che avrebbero ucciso forse quegli stessi bambini. Oggi il rammarico è che non si impara mai: solo ad agosto, gli espatri dall’Afghanistan ci hanno permesso di portare in salvo 5 mila persone: ci siamo tutti commossi, ma questo non ha innescato un vero ragionamento sulla pace. Ed è brutale vedere che quegli afgani ‘tanto amati’, ora vengono lasciati morire al confine polacco. Sono pensieri che mi turbano, vedo ripetersi in Ucraina gli stessi errori che, evidentemente, sono stati commessi per anni in Afghanistan: le truppe, le armi, la guerra contro la guerra.
La pace, ancora una volta, non viene considerata un’opzione reale: anzi, è diffusa, in questo momento e anche all’interno del mondo un tempo pacifista, l’idea che la pace sia dei codardi. Si glorifica il presidente ucraino, che chiede ai suoi concittadini di andare a morire. Si glorificano gli uomini e le donne che combattono: ma chi imbraccia un mitra, dentro di sé spera che l’altro muoia per primo. La guerra, non la pace, è dei codardi. Qualcuno mi chiede cosa farei io: io mi siederei in Ucraina, come ha insegnato Gandhi. Sedersi richiede molto più coraggio e può essere molto più efficace: Gandhi ha mandato via gli inglesi e non c’erano neanche i social. Se qualcuno proponesse di andare i Kiev e sederci tutti, in massa, questo sì che sarebbe un pensiero pacifista e io partirei subito. Ma un pensiero pacifista oggi non c’è, non c’è nessuno che dica chiaramente che per costruire la pace bisogna fare la pace. Esiste il divieto di mandare armi in zone in guerra, ma noi mandiamo le armi pagate con il Fondo della pace europea. Nella guerra non vince nessuno, lo sappiamo bene noi che l’abbiamo vista e vissuta in molti posti del mondo. Ho visto con i miei occhi quanto è brutta la guerra, forse non è abbastanza chiaro a chi non l’ha mai vista. Noi, qui in Italia, non possiamo immaginare come si muoia in guerra: possiamo aver visto morire un parente, ma era bello nella bara, pulito e ben vestito. I morti in guerra sono un’altra cosa. In questi giorni, mi tornano in mente immagini che non riesco a dimenticare e che mi fanno dire: come si fa a pensare che la guerra sia la soluzione?
Dobbiamo alzare una forte voce pacifista, andare a supporto dei tanti pacifisti ucraini e russi, che in questi giorni vengono arrestati in migliaia, mentre protestano contro la guerra. Mentre le nostre manifestazioni per la pace sono sempre più folcloristiche: “Se piove non ci vado”, diciamo. I movimenti pacifisti si stanno spegnendo, dobbiamo rianimarli, dobbiamo opporre un forte pensiero pacifista al pensiero di chi – anche tanti di sinistra, un tempo pacifisti – glorifica l’orgoglio di morire per la patria.
Luca Lo Presti è presidente di Pangea onlus
fonte: Redattore Sociale