Sanità e PNRR, il Governo punta su FSE, telemedicina e cloud: come evitare il flop. di Mauro Moruzzi

Grazie al PNRR, la Sanità sta vivendo un periodo di inedita progettualità che si concentra, soprattutto, su Fascicolo sanitario elettronico, telemedicina e cloud. Ma il disegno architetturale costruito con ingegno sulla carta ha un tallone di Achille e potrebbe trasformarsi in un fallimento. Come fare in modo che non accada

Alla domanda “cosa sta accadendo nella Trasformazione Digitale della Sanità italiana con i programmi del PNRR?” si può rispondere – sulla base delle informazioni disponibili, recuperabili dai diversi ‘tavoli’ – che dovrebbero accadere tre cose importanti:

  • l’implementazione di un nuovo fascicolo sanitario elettronico (FSE 2.0) in tutte le regioni con caratteristiche di sistema nazionale e di aggregazione dei dati di pressoché tutte le interazioni medico paziente;
  • la costruzione di una rete di telemedicina che partendo da una piattaforma nazionale dovrebbe penetrare in tutti i territori e costituire lo struttura d’appoggio di una nuova medicina di base e di comunità;
  • il passaggio al cloud computing in modo diffuso superando la miriade di CED aziendali di ASL e d’ospedale.

Vediamo allora quali sono gli organi centrali che stanno realizzando la programmazione PNRR in questi tre campi, come operano e come assicurare che la bella e inedita fase di progettualità che sta caratterizzando questo periodo non si trasformi in un clamoroso fallimento.

Indice degli argomenti

 

Gli organi al centro della progettazione

Questi tre passaggi sono stati in qualche modo impostati da diversi tavoli di lavoro istituiti nel secondo semestre del 2021 e oggi acquisiscono forma e consistenza progettuale attraverso documenti istituzionali, bandi, progetti e azioni di procurement. Si parla ovviamente anche di tante altre cose ma direi che il livello progettuale in altri campi è più confuso o comunque più arretrato.

Al centro di questa progettazione ci sono fondamentalmente:

  • il Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale diretto dal Ministro Vittorio Colao e dal suo ampio staff; il Ministero della Salute, soprattutto nell’articolazione operativa di AGENAS;
  • il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’onnipresente MEF, con la sua in-house SOGEI ben radicata, attraverso il sistema della Tessera Sanitaria e del controllo dei dati amministrativi, in tutta l’articolazione del mondo sanitario.

L’interlocuzione è con gli staff della Presidenza del Consiglio dei ministri e più debolmente con la Conferenza delle Regioni. Alcune società internazionali di consulting, ma con un business ben presente nella realtà nazionale e istituzionale italiana, sono ben rappresentate ai tavoli e svolgono un’azione importante di supporto, progettazione e forse anche di coordinamento.

Infatti, l’operazione PNRR – Sanità, anche se opera in un campo che è materia costituzionale delle Regioni, ha una direzione fortemente centralizzata perché parte dalla convinzione, per me soltanto parzialmente giusta, che i limiti della trasformazione digitale del sistema sanitario nazionale risiedono, come quelli di altri sistemi, nella frammentarietà dei livelli istituzionali e nell’incapacità delle regioni di dotarsi di sistemi efficienti di auto-coordinamento. La presenza poi, in modo fortemente marcato, delle consulting – un modello più americano che europeo – denota una scarsa considerazione del sistema delle in-house che le regioni hanno messo in campo a supporto della trasformazione digitale della sanità. Anche quest’ultimo aspetto si differenzia dal quadro europeo dove invece c’è una riscoperta e una valorizzazione del ruolo delle in-house pubbliche nel periodo della pandemia e anche in quello successivo, visto in maniera non concorrenziale con il mercato ma di governance dei fenomeni tecnologici complessi.

Fascicolo sanitario elettronico: limiti, punti di forza e prospettive

È noto che nei tre campi menzionati (FSE, telemedicina, cloud-computing) ha prevalso in Italia un diverso protagonismo e un diverso sistema di business nell’arco degli ultimi venti anni. Il fascicolo sanitario elettronico è un prodotto delle società in house delle Regioni che l’hanno inventato e a volte perfino imposto alle aziende sanitarie pubbliche e perfino alle istituzioni regionali, restie ad adottarlo. Prima in Emilia-Romagna e poi in Lombardia e via via in un’altra decina di regioni. La mancata diffusione in maniera omogenea del FSE su tutto il territorio nazionale non mette in discussione l’importanza dell’investimento fatto tra il 2010 e il 2020 dalle Regioni e molto apprezzato in periodo Covid19, quando decine di milioni di italiani hanno potuto comunque utilizzare un fascicolo che nel contesto europeo ha trovato tanti riconoscimenti.

Si può senz’altro dire che il know how di realizzazione dell’FSE è da molti anni interamente detenuto da una decina di società in house delle regioni e dall’associazione che in modo consortile le coordina (Assinter Italia) e ne promuove formazione e studi scientifici (Assinter Academy) in collaborazioni con importanti università italiane. Non risulta che ci sia alcuna reale competenza invece nel sistema delle grandi consulting se non acquisita indirettamente.

FSE, obiettivo: cambiare tutto in 5 anni

Il tavolo del Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale ha avuto indubbiamente la leadership del FSE. Ha proceduto con l’individuazione di un gruppo di Regioni ‘per la sperimentazione’ del FSE 2.0 che sono entrate a far parte del ‘Gruppo di Lavoro’ (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Puglia). Ha scelto come partner portatori di know-how la Fondazione Bruno Kessler e due grandi consulting internazionali.

L’obiettivo posto è stato quello di creare un nuovo FSE omogeneo sul territorio nazionale per dati, contenuti, servizi offerti, semplicità di utilizzo, interfaccia utente e portabilità, in cinque anni. Non solo: ma anche nativo digitale, adottato e usato da tutti gli assistiti e i medici. I dati del FSE, ‘pseudo-anonimizzati’, dovranno confluire in un data lake centrale per analisi e ricerca clinico-accademica e in un repository clinico per supportare governance e modello predittivo delle malattie assieme al NSIS (il sistema ‘amministrativo’ tutt’ora vigente e gestito dal MEF). La grande maggioranza dei medici di medicina generale dovranno alimentare regolarmente l’FSE. Tutte le Regioni dovranno adottare e usare il nuovo sistema.

Condizione indispensabile sono il completamento dell’ANA (Anagrafe nazionale assistiti, un cantiere aperto da tanti anni); ottenere un uniforme processo di raccolta dei consensi per tutte le regioni e implementare un registry nazionale adatto tecnologicamente allo scopo.

Una nuova (complessa) architettura

L’architettura è cambiata e non è più quella federata del primo FSE ma si basa su un gateway che controlla e armonizza, secondo standard internazionali, tutti i documenti che escono da ogni azienda sanitaria e transitano verso un repository clinico centrale: il “repository per i dati clinici ai fini della prevenzione e della cura” che alimenterà anche un data-lake centrale per i fini della ricerca e della governance. Il sistema regionale potrà utilizzare i dati della salute di tutti I cittadini della regione attraverso la vecchia piattaforma di interoperabilità, però, volendo, potrà anche utilizzare dati strutturati regionali utilizzando sempre i gateway delle aziende. Un’architettura piuttosto complessa che, a una prima osservazione, significa sostanzialmente questo: il governo centrale si appresta ad aggregare in un repository centrale tutti i dati di salute degli italiani raccolti dai fascicoli sanitari in forma strutturata e codificata; le regioni potranno ottenere la loro “porzione di dati“ dal centro oppure, se riterranno di farlo, costruire dei sistemi di repository-data-lake di tipo regionale, però complessi da realizzare e certamente costosi.

Per la verità è bene ricordare che questo studio delle architetture è stato fatto, ancora prima che il tavolo del Ministero Colao si insediasse, da un altro tavolo, istituito nel gennaio 2021 dal Ministero della Salute in accordo con il sistema dell’in-house regionali-nazionali (Assinter e Cineca). Lo studio, poi consegnato al Ministero della Salute, era più o meno simile a quello qui esaminato e per certi aspetti molto più ampio perché descriveva anche un modello predittivo e un sistema di algoritmi per realizzarlo. Con una differenza significativa: si basava su un’architettura federata, dove il primo livello di aggregazione dei dati – sempre che il garante l’avesse autorizzato – avveniva con il diretto concorso delle Regioni e con la realizzazione di piattaforme regionali repository-data-lake. La Regione, infatti, non è soltanto un organo di governo del sistema sanitario ma innanzitutto un’istituzione che assieme alle aziende sanitarie si occupa direttamente della prevenzione e della cura della salute dei cittadini.

Telemedicina, ancora troppo appannaggio dei private. Cosa farà il Governo

La telemedicina, a differenza del fascicolo sanitario elettronico, invece è un prodotto di innovazione del mercato privato e della miriade di sperimentazioni che sono state prodotte nelle partnership pubblico-privato finanziate soprattutto dalla comunità europea. Purtroppo, la diffusione della telemedicina ha coperto soltanto alcuni segmenti B2B (raramente B2C) della sanità italiana a causa della sua organizzazione gerarchica-funzionale e della sua struttura verticale che la rende inadatta a lavorare per progetti “orizzontali“. Un fenomeno che si somma ovviamente, in negativo, alla mancata riorganizzazione della medicina di base e della medicina di comunità.

Obiettivo: incentivare l’adozione della telemedicina durante tutto il percorso di cura

Il piano della telemedicina ha un’impostazione per certi versi simile a quello del fascicolo anche se è caratterizzato diversamente. L’obiettivo è quello di promuovere e finanziare lo sviluppo e la diffusione di nuovi progetti e soluzioni di telemedicina all’interno dei sistemi sanitari regionali. Si propone di incentivare l’adozione della telemedicina durante tutto il percorso di cura, con particolare attenzione ai casi cronici; di assicurare che le soluzioni di telemedicina si integrino con l’ecosistema digitale sanitario e in particolare con FSE; di misurare gli interventi e incentivare quelli migliori perché estendano i loro servizi a più Regioni del SSN. AGENAS, come si diceva, è il soggetto istituzionale responsabile dell’implementazione che redige le linee guida per i progetti, valuta le proposte, sovrintende le procedure regionali, riceve e verifica i report inviati dalle regioni.

La struttura abilitante del progetto

La struttura abilitante del progetto è composta da una piattaforma centrale (Piattaforma/e abilitante per la telemedicina) che utilizza standard internazionali per la gestione dei dati; produce Integrazione e interoperabilità con i sistemi nazionali e regionali e prospetta diverse soluzioni di telemedicina (verticali): Telemonitoraggio, Telecontrollo (soprattutto del paziente con patologie croniche), Televisita, Teleconsulto e Teleassistenza.

Quindi tre sono gli aspetti fondamentali del progetto:

  • struttura centrale come piattaforma abilitante per tutte le regioni;
  • certificazione dei dati e standard predefiniti;
  • integrazione con il FSE.

Dopo la piattaforma centrale il passo successivo è quello di favorire la realizzazione dei sistemi verticali e dei sistemi regionali di telemedicina.

La considerazione che si può fare su questo progetto di indubbia consistenza – e sostenuto da una forte volontà attuativa, cosa da non sottovalutare – è ancora una volta riferita a un sistema fortemente centralizzato, in sostanza top down. È purtroppo vero che la frammentazione e lo spreco di risorse che le esperienze della telemedicina italiana hanno generato – affiancati agli scarsi risultati ottenuti – portano inevitabilmente a valorizzare un sistema di uniformità e di forte governance centrale.

E la Sanità di comunità?

Di converso però c’è l’impianto della sanità di comunità proposta dal PNRR ed è chiaro che la telemedicina dovrà ruotare attorno alla nuova dimensione che si viene a creare tra sistema ospedaliero e case di comunità e strutture intermedie. In altre parole, la TMC dovrà essere qualcosa di radicato nel territorio, messo a disposizione delle comunità locali per curare le persone innanzitutto “da casa“. Tutto questo è compatibile con una piattaforma centrale e con un sistema che si sviluppa a cascata verticale dal nazionale al regionale al locale? O non sarebbe meglio prevedere uno strato centrale di forte indicizzazione e normativa, lasciando alle realtà locali la scelta delle tecnologie più appropriate?

Il cloud computing in Sanità

Il cloud computing è invece un prodotto generale della trasformazione della rete Internet e dei suoi nodi e si afferma come condizione essenziale di gestione aggregata dei dati ai tempi dell’intelligenza artificiale del machine learning. La dimensione regionale della sanità e il sistema dell’in-house hanno avuto coscienza negli ultimi anni dell’importanza di questa trasformazione e si sono efficacemente misurati, in non pochi casi, con importanti partner di mercato nell’ottica di non mettere i dati della salute dei cittadini nel mercato ma di proteggerli per il valore e la privacy. Si può quindi affermare che il cloud computing in sanità è un campo di interazione tra iniziativa pubblica e iniziativa di mercato dove peraltro hanno operato grandi multinazionali in modo piuttosto aggressivo, come è ormai noto.

Sinergia pubblico-privato per il cloud in Sanità: l’azione propositiva delle in house regionali

Nell’attuazione del piano nazionale della sicurezza dei dati e del cloud-computing non si può però non rilevare come la situazione del sistema sanitario italiano presenti una forte arretratezza, con una miriade di sistemi CED locali e aziendali che hanno ostacolato più che favorire la diffusione dell’eHealth nazionale e del FSE. Anche in questo campo c’è un’azione propositiva svolta del sistema delle in house regionali (Assinter) che propone un progetto di rete allo scopo di proteggere e razionalizzare i dati di salute degli italiani nel sistema pubblico, senza rinunciare a un’interlocuzione forte con le tecnologie di mercato, e quindi anche con i grandi vendor.

Il sistema proposto, a differenza di quello delineato in più occasioni delle strutture centrali di governo, è di tipo federato, cioè mette in conto una stretta collaborazione tra le strutture regionali per garantire una soluzione a tutela del dato di salute in ogni regione.

Il rapporto tra centro e territori è il vero nodo da sciogliere

Dall’ analisi dei tre capisaldi di attuazione del PNRR in sanità (Missione 6, in parte 5 e 1), cioè nel campo più importante, la salute, per il quale, a seguito del Covid, è nato il piano europeo, emerge un aspetto che se sottovalutato rischia di creare un ostacolo insormontabile alla realizzazione di questo grande investimento tecnologico di trasformazione digitale e sociale. Si tratta del rapporto tra governo centrale, regioni e comunità, tra centro e territori. L’intera storia economica industriale italiana ha sofferto di questo problema e in più occasioni ha costruito inutili ‘cattedrali nel deserto’ partendo da input di una programmazione centralizzata che sottovalutava l’articolazione istituzionale e la complessità sociale e culturale del paese.

Le esperienze del fascicolo sanitario elettronico, della telemedicina e del cloud-computing vanno in qualche modo armonizzate più che centralizzate, attraverso soluzioni che devono favorire la cooperazione tra regioni e territori. C’è tanto di nuovo in quello che si è costruito in molte regioni italiane nella trasformazione digitale della sanità. Portiamolo a sistema efficacemente facendo in modo che i protagonisti diventino a tutti gli effetti gli attori nella costruzione di quest’ultimo miglio.

Alcune proposte rendono meglio questo concetto: tra la nuova architettura proposta del fascicolo sanitario elettronico e il suo sviluppo nelle singole regioni, occorre favorire momenti forti di cooperazione tecnologica tra i soggetti in campo. In questo caso è quanto mai auspicabile che il ‘consorzio’ di tutte le aziende ICT in House delle Regioni, che detiene il vero know how tecnologico del sistema, possa costituire lo strumento di snodo e di autogoverno tecnologico per completare la realizzazione di questa imponente opera europea. Qualcosa di analogo va anche pensato per la telemedicina nel rapporto con le istituzioni locali, massima espressione di una sanità di comunità. Il piano nazionale del cloud-computing non può non tenere in attenta considerazione le proposte di grande interesse che esprimono gli interlocutori tecnologici delle regioni.

Conclusioni

Si stanno facendo cose importanti; c’è una bella progettualità che il nostro paese difficilmente ha vissuto nelle epoche passate. La posta in gioco è enorme; è quella del ‘cambio del medium’ che noi tutti abbiamo utilizzato per un secolo nel sistema a tutela della nostra salute. Sarebbe un errore imperdonabile non aver consapevolezza che questo disegno architetturale, costruito con ingegno sulla carta, ha un tallone di Achille e potrebbe trasformarsi in un clamoroso fallimento se non è partecipato direttamente dai protagonisti reali dell’innovazione. Facciamo in modo che ciò non accada.

l’Autore Mauro Moruzzi è Responsabile scientifico Assinter Academy

fonte: Agenda Digitale

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