Due caratteristiche importanti della pandemia che stiamo vivendo sono l’incertezza e la complessità. Incertezza “radicale” perché non conosciamo il virus, le prove di cui abbiamo bisogno per prendere decisioni si formano nel tempo e i fatti si co-generano mentre li osserviamo e interveniamo. Ne risulta conseguentemente che le decisioni per ridurre la diffusione e l’impatto sulla salute e sul sistema cambiano nel tempo e devono essere costantemente aggiornate.
Complessità perché i diversi interventi messi a punto devono integrarsi tra loro: nemmeno il programma vaccinale, pur essendo di primaria importanza, basta da solo a portare a termine l’opera. Inoltre ogni scelta fatta per difendere la salute ha implicazioni economiche e sociali e pone questioni etiche che scuotono alla base i fondamenti delle nostre democrazie occidentali.
Queste caratteristiche mettono sotto i riflettori l’importanza di una consulenza scientifica radicata e autorevole per informare le decisioni pubbliche. Nei paesi anglosassoni si parla di science in policy ed esiste una tradizione che data dalla metà del secolo scorso con percorsi definiti e omogenei: istituzioni di scientific advisory system e figure di chief scientist hanno il ruolo di basare le scelte pubbliche sulle conoscenze offerte dalle diverse discipline. Pur con una serie di limiti, i modelli già esistenti e funzionanti hanno facilitato la gestione della pandemia. Negli Stati Uniti per esempio[1] Fauci ha catturato la fiducia dei cittadini con un atteggiamento autorevole ma mai autoritario, trasparente senza nascondere i contrasti e le negoziazioni; i Centers for Disease Control and Prevention sono costantemente premiati dai sondaggi come l’istituzione scientifica più apprezzata.
In Italia[2] mancano una cultura e una consapevolezza adeguate sia tra i decisori politici, quando attendono pareri “inconfutabili” probabilmente impossibili da fornire, sia tra molti scienziati, non abituati a distinguere il loro ruolo come ricercatori e come funzionari pubblici. Non è infatti sufficiente che un comitato tecnico scientifico fornisca le evidenze aggiornandole costantemente e che la politica le converta in leggi. Le decisioni pubbliche per la tutela della salute in casi di eventi totalizzanti come le pandemie richiedono anche una gestione politica, economica e sociale, con un approccio diverso, come quello descritto dalla post-normal science[3]. Sono ascrivibili alla scienza post-normale quelle situazioni in cui i fatti sono incerti, i valori in discussione, le poste in gioco alte, le decisioni urgenti. La pandemia da covid-19 presenta un’incertezza radicale, una difficile conciliazione tra libertà individuale e bene comune, lo scontro tra diritti fondamentali (salute, lavoro, istruzione), l’urgenza nella gestione degli eventi. Incertezza, complessità e urgenza delle decisioni richiedono flessibilità di pensiero e di comportamenti ad ogni passo. I temi come questi si dovrebbero affrontare con trasparenza, interdisciplinarietà, democrazia, sostenibilità, allargamento dell’expertise. Tutte queste caratteristiche devono essere proprie dei sistemi di policy e di comunicazione scientifica: un’interfaccia tra scienza e politica trasparente, dialogante e aperta è indispensabile per mantenere la fiducia dei cittadini. Nonostante la mancanze nel campo della scienza policy e della comunicazione, i cittadini italiani hanno dimostrato grande maturità (nel rispetto delle regole del lockdown, nell’adesione alla campagna vaccinale, …) e di poter essere un interlocutore serio per la scienza e la politica. È necessario inserire nei piani di preparedness una consuetudine di dialogo tra scienza, politica e cittadini che permetta un coinvolgimento attivo di tutta la società nell’attuazione delle buone pratiche anticontagio e nella gestione dei momenti di crisi[4].
Nella situazione corrente, gli strumenti di coercizione giuridica rischiano di non essere efficaci, mentre appare sempre più rilevante l’azione individuale responsabile. La sfida nel rapporto tra istituzioni, scienziati e cittadini che può fare la differenza nella pandemia, riguarda la capacità di mettere in atto comportamenti di volta in volta attenti e adeguati ai contesti concreti, in un dialogo che componga tutte le tessere di un complesso puzzle[5]. È una capacità che va costruita nel tempo e nella pratica, con volontà e consapevolezza.
[1] Forgione F. La science policy radicata: il science advisor negli Stati Uniti e l’esperienza Covid-19. Epidemiol Prev 2021;45(6):453-56.
[2] Tavernaro A. La science policy mancante: il COVID-19 in Italia e il dialogo tra istituzioni, scienziati e cittadini. Epidemiol Prev 2021;45(6):456-459
[3] Waltner-Toews D et al. Pandemie post-normali. Perché COVID-19 richiede un nuovo approccio alla scienza. Recenti Prog Med 2020;111(4):202-04.
[4] Tallacchini M. Preparedness e coinvolgimento dei cittadini ai tempi dell’emergenza. Per un diritto collaborativo alla salute. Epidemiol Prev 2020;44(2):114-19.
[5] Tallacchini M. Tessere nel puzzle della pandemia: per una comunicazione istituzionale secondo complessità. Epidemiol Prev 2021;45(3):135-39
fonte: Dors