Con l’ordinanza 97 del 2021, la Corte costituzionale ha ribadito un suo antico orientamento, secondo cui la pena dell’ergastolo è legittima nella misura in cui la persona che vi sia condannata possa accedere alla liberazione condizionale. Conseguentemente, il cosiddetto “ergastolo ostativo”, cioè l’ergastolo che non ammette l’accesso alla liberazione condizionale in ragione di una preclusione assoluta, derivante da una presunta pericolosità sociale determinata dal tipo di reato commesso, è per la Corte costituzionalmente illegittimo. La Corte costituzionale però non ha voluto dichiarare immediatamente la illegittimità della norma e si è riconvocata per il prossimo 10 di maggio, lasciando in tal modo al Parlamento la possibilità di “ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti in campo, anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata”.
Come si sa, dopo la pronuncia della Corte c’è stato chi ha pensato di riproporre pari pari la normativa censurata e chi addirittura ha pensato di modificare direttamente la Costituzione, pur di conservare l’ergastolo ostativo. La scorsa settimana, finalmente, la Commissione giustizia della Camera ha approvato un articolato che in questi giorni è all’esame dell’assemblea di Montecitorio. L’ambizione di una riforma generale delle preclusioni, che le limiti effettivamente ai reati di criminalità organizzata, è rimandata ancora una volta. Ma il metro di valutazione del testo non può che essere quello della giurisprudenza costituzionale e del principio che ne è alla base: l’incompatibilità dell’ergastolo senza possibilità di revisione con l’ordinamento costituzionale. L’ergastolo è il “problema da risolvere” (Papa Francesco), come ricordiamo nel frontespizio di Contro gli ergastoli, curato con Corleone e Pugiotto (Futura 2021). E come lo risolve la Commissione giustizia? Un po’ malignamente e un po’ propagandisticamente.
Nel breve periodo è solo (maligna) propaganda l’innalzamento della soglia di accesso alla liberazione condizionale a 30 anni di pena scontata, visto che non potrà che applicarsi ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge, e quindi – nei fatti – non prima del 2060. Ai numerosi vincoli indicati dalla Corte costituzionale già nella sentenza 253/2019 che ha consentito ai condannati non collaboranti di richiedere permessi, la Commissione ne aggiunge qualcun altro, come il sibillino riferimento alla esclusione dell’attualità e del pericolo di ripristino di collegamenti con “il contesto nel quale il reato è stato commesso” e quello a “iniziative dell’interessato a favore delle vittime”. Deciderà, evidentemente, la giurisdizione come dovranno interpretarsi questi e quegli “elementi specifici”, “diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione” dall’organizzazione criminale di appartenenza, che consentano di escludere l’attualità e il pericolo di ripristino “anche indiretti o tramite terzi” di collegamenti con essa. Certo è che, se dall’istruttoria del giudice dovessero emergere indizi (inevitabilmente fumosi, considerate le premesse legali) di un’attualità o di un pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, sarà “onere del condannato fornire … idonei elementi di prova contraria”.
Il percorso a ostacoli delineato dalla Commissione giustizia della Camera, sommato alla cancellazione dell’unico canale di accesso alla liberazione condizionale attualmente a disposizione degli ergastolani ostativi (l’impossibilità o l’irrilevanza della collaborazione), potrà causare un ulteriore restringimento nell’accesso alla liberazione condizionale per gli ergastolani non collaboranti. Ma spetterà alla Corte, all’esito della udienza pubblica del prossimo 10 maggio, “verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni effettivamente assunte” dal legislatore.
fonte: Il Manifesto Fuoriluogo