A chi non è successo, almeno una volta nella vita, di emozionarsi e di piangere, guardando un film? Personalmente, mi è capitato molte volte, ma mai mi sono immedesimata nei panni della protagonista, come guardando il cortometraggio Nata Viva.
Si tratta di un corto di Lucia Pappalardo, tratto dalla storia vera di Zoe Rondini [“firma” spesso presente sulle pagine di «Superando.it», N.d.R.,], che appare nel filmato insieme a un ragazzo nel ruolo del suo alter ego. Questo confronto “allo specchio” è caratterizzato dall’ironia e, quindi, dà una certa leggerezza al racconto. Durante la narrazione intervengono anche voci di persone che fanno parte della vita reale della protagonista.
La mia grande emozione è dovuta al fatto che il vissuto di Zoe è molto simile al mio. Entrambe, infatti, al momento della nascita abbiamo subito un’asfissia, lei dopo essere nata non ha respirato per cinque minuti, io, a causa di un ritardo della nascita dovuto a una “negligenza” del ginecologo curante di mia madre. In seguito a ciò, nei primi mesi di vita, alle nostre rispettive famiglie comunicarono delle sentenze infauste: per noi non ci sarebbe stato nulla da fare, non avremmo avuto alcuna possibilità di movimento e, quindi, nessuna prospettiva di vita.
Grazie a chi ci è stato accanto con una particolare dedizione e alla nostra grande forza di volontà, siamo riuscite a sfatare questi terribili verdetti. Tutte e due, anche se camminiamo barcollando con movimenti e timbro di voce per nulla aggraziati, siamo due donne indipendenti, di temperamento forte, che ci ha portato avanti negli studi fino alla laurea, con la comune passione per la scrittura, dedicandoci prevalentemente ai temi legati alla disabilità. In poche parole, nonostante i nostri problemi motòri, e tutto quello che ne consegue, ci sentiamo due donne realizzate.
Nata viva mi colpisce sin da una delle primissime scene. A Zoe, mentre svita il dentifricio, sfugge il tappo dalle mani. Quante volte, specialmente in passato, quando i miei movimenti erano molto meno controllati di adesso, ho vissuto la stessa situazione… E mi sono ritrovata in molti altri passaggi. Come quando la protagonista parla dello stretto rapporto che ha instaurato con alcuni dei suoi terapisti, caratterizzato da un sentimento di “odio-amore”. In una scena un fisioterapista le dice che se percorrendo la stanza si fosse appoggiata ai mobili, sarebbe dovuta tornare indietro e ricominciare. Ho vissuto anch’io tali “ricatti”, non solo mentre facevo terapia, ma anche quando con estrema fatica imparavo, ad esempio, a leggere e a scrivere.
Sicuramente, però, l’elemento che più mi ha pervaso l’anima è stato il filo conduttore della pellicola: il conseguimento della patente di guida, conquistata dalla protagonista con molta fatica; e, mi si permetta di dirlo, anche con tante umiliazioni. In particolare, mi hanno toccato profondamente le parole della sorella. La ragazza, scoppiando a piangere, racconta che le lezioni di guida sono state la prima circostanza in cui lei ha realizzato che Zoe apparteneva al mondo della disabilità. Una cosa simile l’ho provata anch’io. Durante la prima visita a cui mi sottoposi, infatti, come ho già raccontato anche su queste pagine [“Patenti di guida e patenti di sensibilità”, N.d.R.], la commissione esaminatrice, dopo solo alcuni istanti sentenziò: «Lei la patente non l’avrà mai!», senza il minimo garbo. Avendo vissuto questa grande umiliazione, posso capire molto bene le parole della sorella di Zoe.
Parlando della patente, Rondini dice che è felice, sentendosi veramente libera quando va in giro da sola. Questa sensazione io la provavo nei primi anni in cui ho vissuto da sola a Milano, l’avere una casa tutta per me, il muovermi in modo autonomo in città e tutto ciò che questo comportava in eccitazione di libertà.
Infine, un punto di riflessione è la considerazione del maestro di teatro di Zoe, secondo il quale la mente e l’immaginazione della ragazza “corrono” più veloci del suo corpo, forse alludendo a una sorte di compensazione. Sinceramente, non avevo mai pensato a questo aspetto, ma, riflettendoci bene, la velocità del pensiero, delle reazioni e della fantasia, nel bene e nel male, è sicuramente qualcosa che mi riguarda. Forse Zoe Rondini ed io potremmo essere la dimostrazione del pensiero di Platone, un “corpo prigione dell’anima”.
Zoe Rondini, protagonista del corto Nata Viva di cui parla Anna Maria Gioria, è pedagogista, curatrice del portale Piccolo Genio.it e autrice dei libri Nata Viva (prima edizione 2011, Società Editrice Dante Alighieri) e RaccontAbili. Domande e risposte sulla disabilità (Erickson, 2021).
fonte: Superando