Livelli di assistenza in territori capaci di garantirli
Da molti anni stiamo aspettando una rete nazionale di interventi e servizi sociali equamente distribuita nei territori. I bacini di popolazione hanno diverse capacità di affrontare i bisogni delle popolazioni. È più facile per gli ambiti territoriali dove la gestione intercomunale dei servizi sociali è associata e unitaria. Ma questa scelta in passato è stata lasciata alla discrezionalità dei comuni che hanno potuto disattenderla, senza condividere responsabilità necessarie per garantire ai diritti sociali risposte organiche nei propri territori. Lo hanno fatto per gestire insieme i trasporti locali, la sicurezza urbana, la raccolta dei rifiuti, altri problemi importanti per la vita delle persone. Non lo hanno fatto per le fragilità, per aiutare i più deboli, rinunciando a comporre infrastrutture professionali, organizzative ed economiche necessarie per la vita di tutti.
Tanti comuni hanno pensato di avere capacità sufficienti per poter fare da soli. Se dovessero documentare i risultati, i loro bilanci di giustizia sociale sarebbero in perdita. Le conseguenze peggiori si vedono nell’inadeguatezza dei servizi domiciliari e nell’affanno dei servizi sociali territoriali. I sostegni necessari per la non autosufficienza, la genitorialità, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro ne risentono pesantemente. I poveri stanno soffrendo i vuoti di risposta, lo spreco dei sussidi burocratizzati e non governati, le risposte fatte di prestazioni e non di soluzioni. Tutti fanno senza le infrastrutture sociali necessarie per affrontare i problemi. L’obiettivo non è garantire beneficenza pubblica ma livelli essenziali di assistenza sociale. La beneficenza pubblica ha prefigurato molte soluzioni assistenziali, la carità ha costruito la giustizia, ma i livelli di assistenza sociale sono ancora da costruire nelle comunità locali. Coesistono due idee di welfare, quella tradizionalmente intesa come assistenza pubblica, facilmente strumentalizzabile nello scambio tra sussidi e consenso politico, e quella che promuove dignità per ogni persona, aiutando per diritto e non soltanto per bisogno. Chi opera nel sociale lo sa, per questo lamenta intrusioni politiche nel lavoro di cura. Non è ragionevole affrontare queste criticità «come sempre», mentre problematiche sociali straordinarie stanno mettendo a dura prova il nostro sistema di protezione sociale.
Titolarità e gestione
Ogni amministrazione locale è chiamata a gestire in modi virtuosi il rapporto tra titolarità e gestione. Titolarità significa avere responsabilità sulle materie comunali riguardanti la cittadinanza, l’urbanistica, il commercio, la vita delle persone, la convivenza, i servizi sociali e molto altro. Chi è in difficoltà può chiedere aiuto per diritto e non per bisogno, ma come aiutare le persone senza confinarle nell’assistenzialismo? Come aiutarle con servizi esperti nell’aiutare ad aiutarsi? Non bastano buone amministrazioni e buoni amministratori, serve molto di più. Servono organizzazioni capaci di contribuire allo sviluppo sociale dei territori, oltre l’impegno dei singoli comuni. I risultati riguardano tutte le persone che hanno residenza in un comune e che vivono quotidianamente la propria cittadinanza sociale in spazi umani e lavorativi molto più grandi.
La gestione associata dei servizi sociali è il passo necessario per concretizzare l’incontro tra titolarità politica e gestione unitaria, per affrontare insieme i problemi. Il traguardo ha a che fare con servizi sociali di qualità, equamente distribuiti nei territori, con professionalità capaci di trasformare le erogazioni in soluzioni, con economie di scala, bilanciando i rischi, garantendo aiuto a tutti, anche ai più deboli. Gran parte delle amministrazioni comunali non è in grado di farlo, la crisi del nostro welfare diventerà irreversibile se i comuni non sapranno affrontare questa sfida insieme.
Una grande opera sociale
Abbiamo appena descritto una grande opera sociale, in attesa da troppo tempo. Altre grandi infrastrutture sociali, urbanistiche, energetiche, viarie, sanitarie, telecomunicative… hanno contribuito a migliorare la vita di tutti. Con la legge di bilancio 2022 è arrivato il momento dei livelli essenziali di assistenza sociale, mettendo fine a questa incertezza: «Al fine di garantire la programmazione, il coordinamento e la realizzazione dell’offerta integrata dei LEPS sul territorio, nonché di concorrere alla piena attuazione degli interventi previsti dal Programma nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) nell’ambito delle politiche per l’inclusione e la coesione sociale, i LEPS sono realizzati dagli ambiti territoriali sociali (ATS) di cui all’articolo 8, comma 3, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328, che costituiscono la sede necessaria nella quale programmare, coordinare, realizzare e gestire gli interventi, i servizi e le attività utili al raggiungimento dei LEPS medesimi» (Legge di Bilancio 2022, art. 1 comma 160).
I comuni e le regioni affronteranno insieme questa sfida? In passato si sono attribuiti la facoltà di non farlo, associandosi solo per alcuni problemi, per programmare e non per gestire unitariamente i servizi sociali. Le resistenze non mancheranno, ma l’incontro tra questi diritti e doveri può aspettare ancora? Le professioni sociali staranno a guardare? Il volontariato di impegno sociale cosa dirà? I cittadini staranno in silenzio? La carità che ha preparato la giustizia accetterà di coprire altre inefficienze? Qualcuno dirà alle persone in condizione di bisogno «potete appellarvi alla Costituzione». Più concretamente potranno appellarsi alla «legge di bilancio 2022» che, in tempi straordinari, ha configurato un cantiere nazionale dove aggregare tutte le responsabilità necessarie per l’innovazione sociale dei territori, con gestioni unitarie dei livelli di assistenza e cittadinanza sociale.