Non riesco a scrivere di Giorgio al passato, perché le sue idee “sono” in vario modo, trasmesse alle persone che lo hanno amato e affiancato nei suoi ragionamenti.
In questi giorni in molti abbiamo salutato affettuosamente Giorgio Bert, morto dopo 88 anni di una vita curiosa, ricca, rigorosa e gentile, a volte divertita, a volte ironica, a volte caustica, sempre alla ricerca di soluzioni utili, di liberazione, alla vita delle donne e degli uomini, fra politica indipendente, lontana dalla logica degli schieramenti che dividono le persone in bianchi e neri e non risolvono, aggravandoli, i problemi, e sano pensiero indipendente, che pesca da molte esperienze nate dal pensiero contemporaneo e da quello antico, per cercare e trovare, situazione per situazione, un pensiero utile adesso per tutti,
Non riesco a scrivere di Giorgio al passato, perché le sue idee “sono” in vario modo, trasmesse alle persone che lo hanno amato e affiancato nei suoi ragionamenti, in quella scuola filosofica applicata alle mutevoli realtà della relazione che, assieme a Silvana Quadrino ed ai suoi amici e collaboratori più cari, ha messo assieme sotto il nome di “cambiamento”, appunto “Change”.
La bella sensazione che Giorgio mi dà ogni volta che leggo un suo intervento o ascolto la sua parola è quello di trovarmi in un crocevia di pensieri germinativi, antichi e moderni, che provengono da molte fonti, da molte persone anche diverse da lui, ma accomunate dalla stessa voglia di contribuire all’evoluzione di tutti, che aiutano a comporre i miei stessi pensieri in percorsi utili per gli altri, senza sentirmi obbligato a percorrerli se non per la mia stessa volontà. Un dialogo non manipolatorio, non strumentalizzante, un dialogo reciprocamente libero e corretto che punta sempre alla chiarezza su quanto siamo d’accordo, o non lo siamo e tende ad un’alleanza sulle cose da fare insieme. Era già l’impostazione della bella rivista “Sapere”, che divoravo da studente di medicina, sin dal 1974. La Rivista, rifondata da Giulio Maccaccaro, da Giorgio e altri, come Franco Basaglia, Franca Ongaro, Benedetto Terracini, Massimo Gaglio, Marcello Cini, Giovanni Jervis, Paola Manacorda, Hrayr Terzian, Cesare Cislaghi per citare le persone più conosciute, sostenuta e arricchita con i suoi contributi, cambiò direzione nel gennaio del ’74 e venne presentata con un sobrio editoriale firmato da tutti gli Autori del comitato editoriale, fra cui , appunto, Giorgio Bert.
Le frasi centrali dicevano:
“…..La nostra ipotesi è che la scienza – a due secoli dall’enciclopedia della rivoluzione borghese, dall’avvento del modo capitalistico di produzione – sia nell’esperienza attiva o passiva e sia nel discorso implicito o esplicito di tutti gli uomini: perché di scienza è ormai fatto il potere e di potere gli uomini vivono e muoiono. Così che “fare scienza” vuol dire, oggi e in ogni caso, lavorare “per” o “contro” l’uomo ed ogni uomo è raggiunto dalla scienza per esserne fatto più libero o più oppresso. L’organizzazione scientifica del lavoro ed il lavoro dell’organizzazione scientifica ripetono e diffondono, dalla fabbrica e dal laboratorio, un unico comando che si allarga a raggiungere ogni spazio ed ogni tempo della vita. .
Distinguere, allora, tra “addetti” e “non addetti” ai lavori della scienza – per riservare ai primi la proprietà del discorso da rivolgere ai secondi in modi benevolmente divulgativi – corrisponde ad una scelta di conservazione. La rifiutiamo per un’altra che riconosce soltanto “operatori” e “operati” della scienza, così come del potere e, dunque, della scienza che è potere.
Quando leggevo queste cose, avevo 22 anni, battagliavo per riuscire a fare l’esame di Patologia Generale, durissimo a Trieste, soprattutto per quelli che leggevano “Sapere” e da queste letture trovavano il coraggio per commentare le scelte didattiche dei nostri pur bravi professori, ponendo domande, raramente contestandole apertamente, tanto meno con violenza. Eravamo pacifici giovani studenti attivi e indipendenti già allora, nutriti, nella periferia dell’impero, dalle parole nuove che provenivano dal centro delle contraddizioni, oggetti relazionali concreti all’interno dei quali Basaglia ci stimolava a vivere ed operare. Ma davamo comunque fast-idio. Già allora eravamo “slow”, ma non lo sapevamo.
E, da allora, fu un continuo in-fast-idire gli ammuffiti e auto referenziali sistemi conservatori vigenti e, allora come oggi, fare consapevolmente la parte – lo abbiamo appreso molto dopo da Maturana, Varela, Capra e Luisi – delle “proprietà emergenti”, gli enzimi di cambiamento. Ogni tanto ci abbiamo preso, e le cose sono cambiate, provvisoriamente, in meglio per le persone e le comunità di cui ci prendevamo cura.
Il primo articolo di Giorgio su Sapere venne pubblicato nel febbraio ’74, Giorgio aveva 42 o 43 anni e faceva il professore universitario di cardiologia. L’articolo si intitolava: “Il Barone Ruspante, in margine al processo dei clinici torinesi”. Era successo che 4 clinici dell’Università di Torino erano stati beccati con le mani nel sacco: si erano appropriati di un miliardo e 212 milioni di lire, non sono riuscito a scoprire da dove (il tempo è passato molto, e Google sul fatto ha steso un velo pietoso). Dall’articolo si evince che furono condannati, non si dice in quale grado di giudizio, ma che comunque non furono cacciati dall’Università anche perché due di loro erano fuori ruolo.
Dall’episodio Giorgio si esprime con la consueta franchezza, ma anche con una serie di ragionamenti interessanti sul significato di essere “scienziati” e “docenti”, chiedendosi ancora una volta che tipo di scienza questi professori esercitavano, che tipo di docenza ( esiste la “docenza” ed esiste la “formazione”….) offrivano agli studenti, e poi, illuminante, la prima intervista, nella letteratura che conosco, dei pazienti ricoverati, alcune semplici domande sul rapporto fra le pazienti ricoverate e “il direttore”. Pazienti consapevoli e arrabbiate. L’articolo si conclude con alcune riflessioni sui rapporti fra scienza, medicina e potere, valide tutt’ora a proposito di disuguaglianze nella salute. Le persone delle classi inferiori venivano considerate oggetti e non persone portatrici di diritti, la cui malattia, spesso dovuta a cause ambientali o di lavoro (già allora lo si sapeva) viene mercificata. Se, quando mi fossi laureato – cosa che successe puntualmente alla II sessione del VI anno – avessi voluto fare il medico tradizionale, dopo la lettura di quell’articolo non potevo certo più farlo, anche perché a Trieste, in quegli stessi anni, arrivò Basaglia, e la vita di molti di noi cambiò radicalmente.
Eh, si, perché l’effetto da enzima di Giorgio e dei suoi amici continuò incessantemente, divenne un faro, un esempio, mostrandoci, senza pietà, quello che non avremmo mai voluto diventare e quello che bisognava diventare insieme.
E per tutta la vita in tanti ci impegnammo con orgoglio ad essere diversi, più “bravi”, per la nascita e lo sviluppo del Servizio Sanitario Nazionale, nato il 23 dicembre 1978, l’anno d’inizio del nostro impegno civile e professionale nella Sanità Pubblica, quella universale, per e con tutti gli esseri umani del Paese e, se necessario, del Mondo. Nel corso di questo tempo l’attività di Giorgio è continuata senza pause, dalle date dei suoi scritti più rilevanti, battente: maggio 1974: “Il medico Immaginario e il malato per forza”, giugno 1975: “I diritti del malato”, con Del Favero, Gaglio, Jervis, Rossi e Viviani; 1978: Prefazione a “ Il Mito del Bambino Iperattivo”, di P. Schrag e D Divoky, 1980: la cura di “Medicina di Carta” di Coleman, un bilancio critico della ricerca biomedica; 1982: “Medicina Sociale”, 1984 “ Interventi e criteri di valutazione nelle USL, con Giustetto, la bella avventura negli anni ‘80 della conduzione della Rivista “Scienza e conoscenza” che riprendeva, in altro formato le tematiche di “Sapere”. Scoprire Bateson e la prospettiva sistemica, i rapporti fra la relazione, la comunicazione e la cura è stato un passaggio fondamentale nell’opera di Giorgio e di molti di noi, a volte in maniera indipendente, a volte in maniera da lui stesso – e da Silvana Quadrino, sua compagna di vita e di avventure intellettuali – indotta. Ma non gli è bastato occuparsi di medicina e di cura. La sua presenza attiva in Slow Food, a fianco di Carlo Petrini e dei suoi amici, è stata importante, sin dai primi passi, a partire dall’idea del diritto al piacere per un cibo Buono, Pulito e Giusto per tutti: il cibo buono è un importante determinante della salute.
Giorgio ha continuato nella sua ricerca indipendente, letteralmente portando in Italia l’idea della medicina narrativa, su cui ha scritto tre libri, con Silvana Quadrino. Insieme hanno portato avanti l’idea del counselling sistemico, una competenza relazionale utile a chi si prende cura degli altri, e che, migliorando la comunicazione e la relazione nei sistemi può far diventare “cura” la medicina.
E’ qui che ci siamo incontrati 10 anni fa. Chi si era fin lì occupato per anni di qualità della cura ed aveva scoperto con tristezza che la “degenerazione burocratica della qualità genera strumenti tossici” ha cercato nuove fonti di alleanza in chi fino ad allora si era impegnato a migliorare la comunicazione e la relazione fra gli operatori sanitari e i cittadini. Insieme avevamo bisogno di passare dal riduzionismo meccanicista del paradigma biomedico alla visione sistemica del paradigma della complessità.
Abbiamo così fondato Slow Medicine.
Insieme abbiamo concordato questa definizione: “Slow Medicine nasce dall’incontro di persone che, con esperienze e culture diverse, hanno operato ed operano all’interno del mondo delle cure per la salute e che negli ultimi trent’anni hanno prodotto pensiero e ricerca sul sistema sanitario dal punto di vista organizzativo, strutturale, metodologico, economico, comunicativo. L’idea che i fondatori di Slow Medicine condividono è che cure appropriate e di buona qualità e un’adeguata comunicazione fra le persone riducano i costi dell’organizzazione sanitaria, riducano gli sprechi, promuovano l’appropriatezza d’uso delle risorse disponibili, la sostenibilità e l’equità dei sistemi sanitari, migliorino la qualità della vita dei cittadini nei diversi momenti della loro vita. Sobria, rispettosa, giusta sono le parole chiave che sintetizzano questa idea di cura basata sulla sostenibilità, sull’equità, sull’attenzione alla persona e all’ambiente”.
Da allora ne abbiamo scoperte, di cose, insieme, abbiamo persino scritto due libri sulla Slow Medicine: “Perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile” e “Le parole della medicina che cambia. Un dizionario critico”.
Continuiamo con Giorgio nelle nostre radici.
Andrea Gardini, medico, è co-fondatore e segretario nazionale di Slow Medicine
fonte: saluteinternazionale.info