La non-riforma della sanità lombarda. di Fulvio Lonati

Bisogna bloccare questa non-riforma che consolida un assetto di Servizio sanitario regionale in aperto contrasto con lo spirito e la sostanza della normativa nazionale istitutiva del SSN. Non si tratta infatti solo di un problema lombardo, ma è reale il rischio, sdoganandone la liceità, di lombardizzare l’intero SSN.

Era ormai già chiaro: il governo della Lombardia non aveva alcuna intenzione di osservare davvero le prescrizioni del Ministro della Salute che imponeva di riallineare il modello di Servizio Socio-Sanitario Regionale (SSR) ai criteri basilari nazionali. Infatti la Legge Regionale (LR) 22 adottata il 14.12.2021 [1] che modifica il testo unico delle leggi sanitarie della Lombardia (LR 33 del 30.12.2009) [2] ha sì recepito le indicazioni ministeriali del dicembre 2021, così come le opportunità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ma soltanto formalmente: nella sostanza, non solo ha confermato l’atipico assetto del SSR avviato sperimentalmente dal 2016, che con il Covid ha mostrato drammaticamente la sua preesistente fragilità e incongruenza, ma addirittura ne ha consolidato l’impianto.

In cosa consisteva il modello sperimentale di SSR lombardo avviato dal 2016?

Dagli anni ’90 regione Lombardia si è scostata dal panorama nazionale sviluppando un modello atipico di SSR: ha progressivamente separato la funzione di “Programmazione/Acquisto/Controllo”, attribuita alle ASL, dalla “erogazione” delle “prestazioni”, svolta indifferentemente da “erogatori” pubblici o privati, in competizione (apparentemente paritetica) tra loro. L’immagine sbandierata è stata quella della libertà del cittadino di scegliere a quale erogatore rivolgersi per ricevere le prestazioni (libertà peraltro garantita anche nelle altre regioni). Ma di fatto si è trattato di un’altra libertà, dei privati, di scegliere quali attività sviluppare in funzione della propria convenienza; purtroppo al di fuori di una programmazione regionale basata sull’analisi dei bisogni della popolazione nei diversi territori.

Il risultato è stato un sistema orientato ad erogare quante più prestazioni, specie se super-specialistiche e lautamente remunerate; un sistema con singole “eccellenze” osannate, tipicamente private; un sistema “ospedalocentrico” con servizi territoriali marginalizzati, benché la loro qualità e diffusione precedenti fossero buoni; un sistema con i propri ospedali pubblici, nonostante la secolare tradizione di capacità di cura-gestione-ricerca, in progressivo affanno a causa dell’impari competizione, aggravata dalle regole che solo il pubblico deve osservare per acquisire personale, strutture, attrezzature, materiali.

Tale china si è ulteriormente consolidata dal 2016: la LR 23/2015 [3] ha infatti tolto alle ex ASL (trasformate in ATS – Agenzie di Tutela della Salute) tutte le attività erogative e le ha affidate sia ai privati, ormai già ben consolidati, sia alle nuove ASST – Aziende Socio Sanitarie Territoriali, ovvero le ex Aziende Ospedaliere cui è stato assegnato anche il compito di erogare le attività territoriali. Tutto ciò, confermando da un lato la libertà per i privati di scegliere quali attività, ospedaliere e/o territoriali, svolgere; dall’altro, l’obbligo per i pubblici di fare tutto quanto necessario.

L’epidemia Covid ha reso evidente la confusione e l’inutile complicazione del modello. Basti pensare all’incredibile catena spesso necessaria per passare dal caso sospetto alla quarantena: il MMG segnala all’ATS che prescrive l’esecuzione del tampone ad un erogatore il quale fissa l’appuntamento, effettua il prelievo, lo esamina (talvolta conferendolo a laboratorio esterno), segnala l’esito all’ATS la quale aggiorna l’indagine epidemiologica e, finalmente, impone all’assistito (spesso con un sms) la quarantena. Tempo: una settimana se va tutto bene! E tutto ciò per rispettare la separazione tra “acquirente” ed “erogatore”.

Cosa prescriveva il ministero a fine sperimentazione?

Il Ministero della Salute, a conclusione del quinquennio sperimentale, nel dicembre 2020 trasmetteva la relazione di verifica dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) e prescriveva di introdurre entro 120 giorni il riallineamento del SSR lombardo ai criteri normativi nazionali. La prescrizione ministeriale dava indicazione di assegnare alle sole ASST, anziché alle ATS, sia le attività di produzione diretta dei servizi ospedalieri e territoriali, sia di programmazione e coordinamento di tutte le attività sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, relative al proprio bacino territoriale. Prescriveva in tal senso anche di istituire quali articolazioni delle ASST, riaccorpandone tutte le funzioni, il Dipartimento di Prevenzione, il Dipartimento di Salute Mentale ed i Distretti Socio-Sanitari, indicando peraltro come vincolante la figura del Direttore di Distretto.

Di fatto quindi il Ministero prescriveva a Regione Lombardia di rivedere radicalmente la ripartizione di funzioni tra ATS e ASST oltre a suggerire l’opportunità di costituire un’unica ATS regionale.

Come la Giunta lombarda ha dato seguito alle prescrizioni ministeriali?

Oltre il termine dei 120 giorni, anche a causa dell’ondata epidemica concomitante, la Giunta Regionale Lombarda, con le deliberazioni 4811 del 31 Maggio [4] e 5086 del 22 Luglio [5], ha dato il via all’iter legislativo di revisione del SSR accogliendo sia le indicazioni vincolanti del Ministero sia i contenuti della “Missione 6 – Salute” del PNRR. Tuttavia, a fronte del recepimento formale delle prescrizioni ministeriali, nelle delibere è apparsa subito la volontà della Giunta di mantenere invariato l’assetto istituzionale-organizzativo avviato con la sperimentazione. Già il titolo del primo atto, “Linee di sviluppo dell’assetto del SSR delineato dalla LR n. 23/2015”, mostrava l’orientamento a “sviluppare”, anziché a “rivedere” il modello. Anche la scelta della formula giuridica adottata con il secondo atto, “Modifiche al Testo Unico delle leggi regionali in materia di sanità”, indicava la volontà di introdurre modiche puntiformi (sostituire la parola “x” con la parola “y”) ad un impianto che doveva rimanere invariato nella sostanza. Tale formula inoltre avrebbe reso particolarmente difficile la discussione e il confronto in Commissione e in Consiglio Regionale, oltre che con la cittadinanza e le forze sociali.

Ma anche nel merito risultava già chiara la volontà di confermare la separazione tra ATS e ASST, anche in funzione dell’apertura alla logica “di mercato”. Alcuni esempi:

  • Anziché collocare il Dipartimento Prevenzione nell’ASST, ha previsto di mantenere sdoppiate le funzioni tra “Dipartimento Funzionale di Prevenzione” presso l’ASST con compiti “erogativi” e ATS, responsabile della “programmazione delle attività dei dipartimenti funzionali di prevenzione delle ASST” (orientamento poi confermato nella LR definitiva).
  • Ripetutamene e in numerosi articoli ha previsto di assegnare al privato funzioni di ricerca, programmazione, pianificazione e gestione complessiva di intere reti di servizi (es. Casa della Comunità), anziché confermare il ruolo di governo locale dell’ASST (anche questo orientamento poi confermato).
  • Si prevedeva che le Case della Comunità, anziché sostituire i PreSST (Presidi Sosio-Sanitari Territoriali, versione ambrosiana delle Case della Salute), andassero collocate al loro interno come loro articolazioni; tale orientamento fortunatamente non è stato poi confermato.

La riprova si è avuta con la sordità della maggioranza ad accogliere, anche solo in minima parte, le richieste delle parti sociali audite e dell’opposizione, che si è trovata costretta nel solo spazio dell’ostruzione in Consiglio Regionale.

Quale modello di SSR definisce la nuova LR 22/2o21?

Partiamo dagli aspetti positivi: ricompaiono finalmente i Distretti SocioSanitari di dimensione compatibile con lo spirito della normativa nazionale (e del buon senso); PreSST e POT (Presidi Ospedalieri Territoriali) scompaiono per fare spazio a Case della Salute, Ospedali di Comunità e COT (Centrali Territoriali Operative) secondo quanto indicato dal PNRR. Tuttavia, è forte il sospetto che questi pochi aspetti positivi siano stati introdotti forzosamente solo per assicurarsi i finanziamenti del PNRR. Non è peraltro chiaro come si reperiranno le risorse umane necessarie, ne’ come saranno coinvolti medici e pediatri di famiglia.

Per il resto ecco le principali criticità. In tema di prevenzione, la LR sdoppia le funzioni, non rispettando la prescrizione ministeriale: infatti istituisce il “Dipartimento Funzionale di Prevenzione” presso l’ASST con compiti “erogativi” ma attribuisce all’ATS la “programmazione delle attività dei dipartimenti funzionali di prevenzione delle ASST”: mantiene cioè la stessa divisione che ha portato la confusione (e i conflitti) sperimentati drammaticamente con l’epidemia.

Più in generale, la LR conferma la separazione tra ATS e ASST, confermando un modello artificiosamente complesso, chiarissimo solo nei meccanismi di remunerazione delle singole prestazioni, erogate sia da enti pubblici (di fatto direttamente dipendenti dal governo regionale e solo apparentemente autonomi) che da enti privati (assolutamente liberi di agire: se/dove/come/quanto). Un modello quindi con un governo fortemente accentrato per gli enti pubblici (ATS e ASST) ma assolutamente liberalistico per gli enti privati. Peraltro, per quanto riguarda la salute pubblica (e l’orientamento verso obiettivi di salute della popolazione), la catena di comando-governo-coordinamento appare particolarmente lunga, articolata e complicata: plurimi i livelli decisionali “a cascata” (Assessorato > Agenzie regionali > ATS > ASST > Polo territoriale > Distretto > Casa della Salute) e “a intreccio” (Comitato di Coordinamento, Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive – Comitato di indirizzo cure primarie – Comitato di rappresentanza delle professioni sanitarie – …).

Tale modello tende peraltro a spostare verso il livello regionale, o dell’agenzia regionale periferica ATS, i momenti decisionali, disautorando le comunità locali dalla possibilità di partecipare fattivamente alla promozione generativa della salute:

  • Il Distretto è affidato all’ASST, che però non ha strumenti per governare gli altri attori (è l’ATS che “firma” i loro contratti!), di fatto concorrenti; inoltre l’ASST non cede al Distretto l’autonomia gestionale-finanziaria, prevista dalla normativa nazionale, chiave indispensabile per “territorializzare” il Servizio Socio-Sanitario.
  • I Comuni rimangono ai margini, in assenza di precisi meccanismi di collegamento-cooperazione, in particolare per i servizi assistenziali e per le funzioni comunali che possono incidere sulla salute dei singoli e della comunità.
  • Il coinvolgimento dell’associazionismo è di rilievo solo nei tavoli regionali, non nelle comunità locali.

La LR estende e consolida poi il preesistente squilibrio del rapporto pubblico-privato: assegna al privato funzioni di ricerca (anche sui modelli istituzionali-organizzativi e di governance del SSR), programmazione, pianificazione e gestione complessiva di intere reti di servizi (es. Casa della Comunità); conferma inoltre la libertà dei privati di scegliere quali attività erogare, al di fuori di alcuna programmazione regionale basata su una congruente valutazione epidemiologica dei reali bisogni complessivi e attenta alle peculiarità-risorse territoriali.

Si conferma e rafforza quindi una concorrenza che farà crescere ulteriormente il privato, libero dalla frammentazione dei momenti decisionali cui soggiace il pubblico, sempre più profit e più facilitato nel muoversi.

Infine, tralasciando altre numerose criticità della LR, si conferma l’impossibilità di avere una regia delle Cure Primarie: l’ATS condurrà i negoziati con medici e pediatri di famiglia mentre la gestione concreta sarà affidata all’ASST.

Quali iniziative ha già messo in atto la Lombardia?

Con DGR 5697 del 15/12/2021 [6] Regione Lombardia ha bruciato i tempi, verosimilmente per non rischiare di perdere i finanziamenti PNRR, definendo precipitosamente l’intero piano di realizzazione delle strutture Case e degli Ospedali di Comunità: purtroppo con una decisione verticistica, sentiti solo taluni (!) sindaci, senza alcuna idea circa il coinvolgimento delle comunità locali, senza aver prima definito quali saranno i bacini territoriali. Con tale premessa: come si potrà “territorializzare” il SSR? Come si potranno realizzare vere Case della Comunità?

….e allora che fare?

Due le possibili linee di azione:

  1. A livello nazionale bisogna tentare di bloccare questa non-riforma che consolida un assetto di SSR evidentemente in contrasto con le prescrizioni ministeriali e, soprattutto, con spirito e sostanza della normativa nazionale istitutiva del SSN. Non si tratta infatti solo di un problema lombardo, ma è reale il rischio, sdoganandone la liceità, di “lombardizzare” l’intero SSN.
  2. Attivare battaglie dal “basso”, forti dell’opportunità offerta dal PNRR che impone la realizzazione delle Case della Comunità: rivendicare l’effettiva presenza di servizi per la salute nei territori, spingere i comuni a farsi parte attiva nell’attuazione delle Case della Salute, sperimentare forme di collaborazione nei quartieri-frazioni-comuni, iniziando a “connettere” medici e pediatri di famiglia, farmacie, volontariato locale…, dal basso.

E’ ancora aperta la sottoscrizione della petizione “Il Ministro della Salute blocchi la non-riforma sanitaria della Lombardia Moratti-Fontana” [7] e si possono sostenere le proposte dell’Agorà Democratica “Lombardizzare il Servizio Sanitario Nazionale: un rischio da scongiurare. Come?” [8].

Fulvio Lonati, Medico di sanità pubblica, Brescia.

Riferimenti principali:

  1. Legge Regionale 14 dicembre 2021 , n. 22 – Modifiche al Titolo I e al Titolo VII della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)
  2. Legge Regionale 30 dicembre 2009, n. 33 – Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità 

Altri riferimenti:

  1. Legge Regionale 11 agosto 2015, n. 23 “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo”
  2. DGR 4811 del 31.5.2021 – Determinazioni in ordine alle linee di sviluppo dell’assetto del sistema socio sanitario lombardo delineato dalla legge regionale 11 agosto 2015, n. 23
  3. DGR 5068 del 22.7.2021 – Proposta di progetto di legge recante: “modifiche al titolo i e al titolo vii della legge regionale 30 dicembre 2009, n. 33 (testo unico delle leggi regionali in materia di sanità)” –
  4. DGR 5697 del 15/12/2021 – Programma degli interventi prioritari sulla rete viaria regionale – aggiornamento 2021 – Piano Lombardia –

Link alle petizioni

7. Il Ministro della Salute blocchi la non-riforma sanitaria della Lombardia Moratti-Fontana

8. Le proposte dell’Agorà Democratica “Lombardizzare il Servizio Sanitario Nazionale: un rischio da scongiurare. Come?”

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