Perché i nuovi farmaci contro il SARS-CoV-2 non li possono prescrivere i medici di famiglia? Questione di fiducia?
La pandemia ha evidenziato le carenze delle Cure Primarie e, in particolare, dei Medici di Medicina Generale (meglio, credo, Medici di Famiglia, MdF). È stata scoperta l’acqua calda: bisogna ribaltare il modello ospedalocentrico a favore dell’assistenza sul territorio. Un buon livello di assistenza territoriale è indispensabile per curare bene le persone, in particolare coloro che sono affetti da malattie croniche, ma è indispensabile anche per mantenere efficienti gli ospedali. La pandemia non ha fatto altro che confermare questa realtà, ben conosciuta anche prima, ma mai pienamente realizzata. Senza voler entrare nelle numerose critiche e proposte, legate o meno al PNRR, non risulta finora alcuna discussione e approfondimento sulla evidente mancanza di fiducia manifestata nei confronti dei Medici di Famiglia dalle istituzioni a tutti i livelli.
Facciamo un esempio a partire da una notizia che sta riempiendo giornali e programmi televisivi negli ultimi giorni: la prossima commercializzazione di farmaci attivi sul SARS COV 2, questa volta, al contrario degli anticorpi monoclonali, somministrabili per via orale. Questi farmaci, compresi gli anticorpi monoclonali, sembrerebbero efficaci solo se somministrati precocemente a pazienti con COVID di gravità lieve moderata. Si tratta quindi di pazienti che vedono i MdF e non gli specialisti e le strutture ospedaliere, tanto è vero che ci sono state molte richieste ai MdF per la selezione dei pazienti e la segnalazione alle strutture ospedaliere per il trattamento con anticorpi monoclonali.
E di qui la domanda al Ministero della Salute e all’AIFA, ma anche alle Regioni e, più in generale, alle istituzioni della sanità pubblica: perché i nuovi farmaci anti COVID non vengono affidati ai MdF e si perpetua il percorso individuazione del caso -> segnalazione alla struttura specialistica –> trattamento e follow up da parte della struttura specialistica? Eppure, la gestione dei casi sarebbe molto più semplice sfruttando i MdF. E la domanda alle associazioni sindacali e professionali dei MdF: perché non si è alzata nessuna protesta per questa decisione e nessuna proposta per modificarla?
La risposta nessuno la dice ma è evidente: non ci si fida della capacità dei MdF di gestire un farmaco nuovo e poco conosciuto (del resto nuovo e poco conosciuto anche per gli specialisti del settore) e non ci si fida del meccanismo della formazione continua dei MdF. Eppure, dovrebbe essere obbligatoria. Un’altra possibile risposta sta nel fatto che per questi farmaci la commercializzazione avviene con un meccanismo di urgenza e quindi deve obbligatoriamente accompagnarsi ad una sorveglianza postmarketing particolarmente attenta: in fondo si tratta di una sorta di sperimentazione. Ma ci siamo tutti dimenticati che i MdF possono fare sperimentazione sui farmaci? Il DM 10/05/2001 (2001!!!!), reso esecutivo in Regione Toscana dalla Delibera di Giunta Regionale 658/2002 dopo il Parere del Consiglio Sanitario Regionale del 15/04/2002, ha dato il via a corsi di formazione specifici e poi alla costituzione di un registro dei MdF sperimentatori. Questo registro è stato a suo tempo costituito e poi abbandonato. Anche per questo inutile cercare le responsabilità, anche se forse dal 2001 il tempo c’era per organizzare la sperimentazione dei farmaci sul territorio.
Ma gli esempi della sfiducia delle istituzioni sanitarie nei confronti di professionisti che loro stesse pagano non si fermano qui e, naturalmente, a caduta questa sfiducia nei confronti dei MdF coinvolge anche i medici specialisti e ospedalieri e poi la popolazione: perché un paziente diabetico dovrebbe fidarsi della presa in carico del proprio medico se questo non può prescrivere i farmaci che ormai sono di prima scelta per la sua patologia? Se questi farmaci possono essere prescritti solo dallo specialista e non dal MdF qualcosa vorrà pur dire: e se il motivo è la spesa e l’appropriatezza della prescrizione, il problema della sfiducia resta, anzi si aggrava. Per non parlare dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), che per lungo tempo sono stati prescritti solo dai medici specialisti in numerosissime specialità, tranne che dai MdF: eppure si tratta di farmaci delicati per i quali l’aderenza alla terapia è molto importante ed è importante conoscere bene il paziente per una prescrizione in sicurezza. Eppure i NAO potevano essere prescritti in Pronto Soccorso (quale sarà mai la conoscenza del paziente in poche ore di contatto?) ma non sul territorio. Ci sono voluti anni e c’è voluta la pandemia da SARS COV 2 per eliminare i Piani Terapeutici degli specialisti e consentire ai MdF la prescrizione dei “nuovi” anticoagulanti e, prossimamente forse, dei “nuovi” antidiabetici, ma ormai il danno, in termini di immagine e di fiducia, ancora una volta è fatto.
C’è da chiedersi perché sia stato inventato questo meccanismo barocco: probabilmente per limitare le prescrizioni, tanto è vero che i piani terapeutici riguardano farmaci costosi e potenzialmente molto diffusi. A questo proposito, mi piacerebbe che qualcuno facesse un conto di quanto si pensa di aver risparmiato nel costo dei farmaci e di quanto invece si è speso nelle centinaia di moduli elaborati, nei meccanismi amministrativi complessi inventati e nel conseguente spreco di personale e, soprattutto, nella perdita di tempo prezioso dei professionisti della salute, tempo che dovrebbe essere dedicato a curare ed assistere i pazienti invece di compilare fogli e litigare fra loro. Non bisogna infatti dimenticare che questi meccanismi comportano quasi automaticamente un aumento della conflittualità fra i professionisti dell’ospedale e quelli del territorio, dovuto alla deresponsabilizzazione degli uni rispetto agli altri. Ma questo conto, questa valutazione non mi risulta che nessuno l’abbia fatta.
Alla fine, quindi, i farmaci anti SARS COV 2 li prescriveranno e li seguiranno gli specialisti ospedalieri e universitari, magari chiedendo ai MdF di chiedere ai loro pazienti eligibili al trattamento di poterli segnalare agli specialisti. Alla fine i Piani Terapeutici dei farmaci anticoagulanti e antidiabetici saranno sospesi e, se sarà commercializzato sul territorio un farmaco nuovo, ci inventeremo un nuovo Piano Terapeutico. E resterà il problema di recuperare i rapporti di fiducia fra organizzazione sanitaria e MdF, problema che è forse il più importante e interessante nell’ambito della persistente distanza fra Ospedale e Territorio: ma ora c’è da discutere dell’assegnazione dei fondi del PNRR e purtroppo non ci possiamo occupare delle relazioni interne dei professionisti e delle organizzazioni sanitarie.
Cosa possiamo pensare e proporre per migliorare la qualità e l’autorevolezza della Medicina di Famiglia all’interno di un sistema di Cure Primarie efficiente, che in questo modo garantisca un funzionamento ottimale delle strutture specialistiche ed ospedaliere? Il meccanismo fondamentale per raggiungere questi obiettivi non può che passare da una formazione continua che renda il MdF capace di rispondere in modo adeguato alle necessità di una sanità moderna, una formazione che deve avere alcune caratteristiche:
- Deve essere multiprofessionale e multidisciplinare (nessuno nei moderni sistemi sanitari può più permettersi di lavorare da solo), coinvolgendo gli specialisti, non come docenti ma come partecipanti alla pari. E deve coinvolgere anche e soprattutto i professionisti che lavorano con i MdF nell’ambito delle Cure Primarie: infermieri, assistenti sociali, fisioterapisti, dietisti….
- Deve essere rivolta ai problemi veri della professione di MdF, che sono molto diversi da quelli della medicina specialistica ed ospedaliera
- Deve prevedere elementi di deprescrizione (data la bassa aderenza dei pazienti cronici alle terapie attualmente consigliate), di semplificazione della diagnostica, deve prevedere un “atteggiamento palliativo” [1], deve far riferimento a questo scopo a Slow Medicine e Choosing wisely
- Deve, quindi, evitare il finanziamento, diretto o indiretto, delle aziende del farmaco
- Deve prevedere seri meccanismi di valutazione
Tutto questo può essere la base per una reale valutazione della qualità del lavoro e per meccanismi premianti, non obbligatoriamente economici, per i (tanti) MdF che lavorano bene. La parte variabile della retribuzione dei MdF, prevista dalla ACN, non è mai stata realmente utilizzata allo scopo di distinguere in modo netto chi lavora bene da chi lavora peggio e, quindi, ridurre la grande disomogeneità di comportamento, che è una delle caratteristiche che devono essere corrette. Non c’è dubbio che tutto questo comporterà una fatica ed un aggravio di lavoro per i MdF e questo non è certamente il periodo migliore per proporre, sic et simpliciter, un ulteriore carico di lavoro sulle spalle di una categoria provata, come tutta la sanità del resto, dalla pandemia e che non ha attualmente l’organizzazione necessaria per cambiare il proprio modello di lavoro. E questo paradossalmente vale in particolare per i MdF che lavorano meglio e con maggior entusiasmo e che, proprio per questo, sono particolarmente in crisi da superlavoro.
Quindi, è assolutamente necessario cominciare subito a semplificare i meccanismi amministrativi che ormai da molto tempo stanno rendendo il lavoro dei professionisti sanitari (non solo quelli del territorio ma anche gli ospedalieri) sempre più inconcludente e improduttivo: questi meccanismi negli anni si sono rivelati sempre più intrusivi nel quotidiano di medici ed infermieri, riducendo sempre più il tempo dedicato allo svolgimento della loro professione e, soprattutto, alla comunicazione col paziente.
E’ veramente paradossale e ironico, in questo quadro, ricordare che la legge 219/2017, una legge emanata dal Parlamento Italiano, recita all’articolo 1 comma 8 “il tempo della comunicazione fra medico e paziente costituisce tempo di cura”.
Alessandro Bussotti, Medico di Famiglia in quiescenza. Agenzia di Continuità Ospedale Territorio, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi
Nota 1.: “Atteggiamento palliativo” significa maggior attenzione al benessere del paziente e alla risoluzione dei suoi problemi piuttosto che alla correttezza del procedimento diagnostico-terapeutico, significa semplificazione della terapia farmacologica in accordo anche con le preferenza del paziente, significa evitare accertamenti diagnostici che non siano finalizzati ad una variazione del percorso del paziente, secondo i principi di una medicina “sobria, rispettosa e giusta” (Slow Medicine). Tutto questo non si applica solo al momento della vita del paziente che richiede cure palliative, di base o specialistiche, ma si dovrebbe applicare a tutta l’attività del Medico di Famiglia
fonte: saluteinternazioale.info