La sentenza 22 del 27 gennaio 2022 della Corte Costituzionale, redattore Francesco Viganò, sulla questione delle Rems e del superamento degli Opg è di grande valore e pone in maniera ineludibile questioni di importanza strategica. Vengono messe in luce contraddizioni nelle norme che hanno sostanziato una scelta rivoluzionaria, la chiusura del manicomio giudiziario che io ho definito subito una rivoluzione gentile, ma contemporaneamente emergono contraddizioni nella ricostruzione della vicenda e nella prospettazione di un intervento legislativo correttivo.
È fondamentale e costituisce un punto fermo la dichiarazione di inammissibilità delle questioni poste dal giudice di Tivoli per aberratio ictus, relativamente agli articoli del Codice Penale 206 e 222, ma anche rispetto alle questioni relative alla legge 9, alla luce dei risultati emersi dall’istruttoria deliberata dall’Ordinanza n. 131 del 24 giugno 2021 che chiedeva al Governo una relazione di chiarimento su quattordici punti. La Corte esplicita con nettezza che una dichiarazione della norma contestata avrebbe comportato la caduta integrale del sistema delle Rems «che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi Opg e produrrebbe non solo un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti», ma anche un aggravamento delle difficoltà denunciate sulla efficienza del sistema.
Tutto bene dunque? Non proprio, perché la Corte suggerisce dei correttivi sostanziali e richiama l’attenzione sul fatto che «non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati nella pronuncia». Infatti la Corte Costituzionale conferma la nuova linea adottata di dare indicazioni di modifiche legislative al Parlamento, in alcuni casi con tempi ultimativi, e indica la necessità di definire un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza, la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di Rems sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati rispetto alle necessità di cura e di quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività e dunque dei diritti fondamentali delle potenziali vittime dei reati che potrebbero essere compiuti dai soggetti sottoposti alle misure di sicurezza perché socialmente pericolosi e infine in un adeguato coinvolgimento del Ministro della Giustizia nell’attività di coordinamento e nel monitoraggio del funzionamento delle Rems esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura della libertà vigilata.
La Corte è perentoria nell’affermare che il ricovero in una Rems, per come è concretamente configurata nell’Ordinamento, «non può essere considerata come una misura di natura esclusivamente sanitaria», perché la misura di sicurezza è strettamente legata alla pericolosità sociale, seppure presunta. L’incapacità di intendere e volere al momento del fatto, attraverso il proscioglimento si riverbera dunque sul presente e sul futuro, con una incapacitazione permanente che si salda con la affermazione di possibilità della reiterazione del reato. Evidentemente scoppia l’insostenibilità denunciata già ora di un ruolo ambivalente di cura e custodia. La Corte condivide con assoluta chiarezza la scelta del superamento dell’Opg e dell’abbandono di una logica custodialistica, ma lega la finalità terapeutica a una tutela della sicurezza delle vittime.
È anche decisivo il giudizio sulla essenzialità dei principi cardine della territorialità e del rispetto del numero chiuso e in particolare del numero ottimale di 20 ospiti, come anche l’affermazione che non spetti alla Corte individuare la ragione della lunga lista d’attesa per l’ingresso in Rems. In ogni caso viene espresso un ventaglio di responsabilità che illuminano la realtà, dalla insufficienza dei posti disponibili a un eccesso di provvedimenti di assegnazione alle Rems da parte dell’autorità giudiziaria in conseguenza di una diffusa mancata adesione al nuovo approccio culturale sotteso alla riforma e al non rispetto dell’indicazione di extrema ratio, dalla assenza sul territorio di soluzioni alternative per salvaguardare le esigenze di salute del singolo e di sicurezza pubblica, al mancato esercizio di poteri sostitutivi: nomina di un commissario nei confronti delle regioni in difficoltà. La Corte Costituzionale invita a una decisione.
Che fare? Ci sono due strade alternative. Subire le indicazione della Corte intervenendo sulla legge 81 (magari eliminando la possibilità di ingresso in Rems per le misure di sicurezza provvisorie) con il rischio di consolidare una soluzione di piccoli Opg (ma bisognerebbe abbattere il bubbone di Castiglione delle Stiviere con i suoi 160 posti) e la conferma del doppio binario del Codice Rocco o mettere in campo la grande riforma radicale di eliminare la non imputabilità e stroncare alla radice le attuali contraddizioni. Discutere quindi la proposta 2939 presentata alla Camera dei Deputati da Riccardo Magi che ha raccolto l’elaborazione proposta dalla Società della Ragione e da molte altre associazioni e movimenti che scioglie i nodi legati a vecchi principi e afferma nuove categorie legate alla legge 180 per cui la libertà è terapeutica.
Il senso è chiaro: «Scegliamo la via del giudizio per le persone affette da gravi disabilità psicosociali, non per arrivare a una pena dura o esemplare, ma per riconoscere la loro dignità di soggetti, restituendo la responsabilità – e con ciò la possibilità di comprensione- delle loro azioni; e risparmiando lo stigma che il verdetto di incapacità di intender e volere e l’internamento recano con sé».