il video del seminario sulla pagina FB del Coordinamento nazionale Salute Mentale
Sono intervenutiper il coordinamento SM: Stefano Cecconi, Fabrizio Starace, Pietro Pellegrini, Nerina Dirindin. Quindi: Francesco Enrichens (esperto Agenas), Tommaso Maniscalco (Coordinatore Gruppo interregionale salute mentale Conferenza delle Regioni e PA), Paolo Onelli (Ministero LPS – direttore generale per la Lotta alla povertà e la programmazione sociale). Ha coordinato i lavori Maria Grazia Giannichedda |
Oltre 400 persone, direttamente o indirettamente coinvolte nella salute mentale, hanno seguito mercoledì 26 gennaio il seminario di approfondimento su “La salute mentale, il PNRR e la riforma dell’assistenza sociosanitaria territoriale”.
Il report comunicato del Coordinamento Salute Mentale
La salute mentale non è meno importante della salute fisica
Il PNRR può offrire risorse importanti per riqualificare i servizi di salute mentale come servizi di comunità, capaci di intercettare le sofferenze personali e sociali, farsene carico e realizzare percorsi di ripresa e di integrazione: questo in estrema sintesi il messaggio del seminario La salute mentale, il PNRR e la riforma dell’assistenza sociosanitaria territoriale che si è svolto mercoledì 26 gennaio organizzato dal Coordinamento Nazionale per la Salute Mentale, un cartello di oltre 140 associazioni, enti e organizzazioni della società civile e del mondo sindacale che da anni sostengono i diritti delle persone con disturbi mentali e si mobilitano per servizi qualificati e accessibili.
Il Coordinamento ha proposto un confronto diretto con tre delle istituzioni che sono centrali in questa fase di messa a punto della progettazione per il PNRR: l’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali rappresentata da Francesco Enrichens; il gruppo interregionale per salute mentale rappresentato dal coordinatore Tommaso Maniscalco; il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rappresentato dal direttore della programmazione sociale e lotta alla povertà Paolo Onelli. Hanno partecipato al seminario oltre 400 persone tra operatori, dirigenti, esponenti del mondo associativo, amministratori ed esperti provenienti da tutte le regioni, un dato importante che testimonia l’esistenza in Italia di un vero e proprio movimento per la salute mentale, che si avvale della collaborazione di moltissimi cittadini e operatori che non si limitano a denunciare le povertà dei servizi ma si attivano per diventare interlocutori competenti, capaci di sostenersi a vicenda e di sensibilizzare i decisori.
Sono emersi sei punti fondamentali.
Primo. C‘è un grande lavoro culturale da fare: si tratta di superare i pregiudizi e i luoghi comuni che nella salute mentale continuano a imperversare ma soprattutto di condividere informazioni, esperienze, buone pratiche che esistono e resistono nonostante gli anni di tagli e il perdurare della pandemia.
Secondo. Dobbiamo imparare a riconoscere alla salute mentale il diritto a non essere discriminata, ovvero a poter contare sulla stessa attenzione riservata alla salute fisica e a non essere relegata al fondo dell’agenda delle priorità dei governi, ma soprattutto ad essere considerata una disabilità come tutte le altre tutelata dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (legge 18/2009). Deve essere chiaro che quando si parla, ad esempio, di non autosufficienza, di deistituzionalizzazione, di accesso al lavoro, di abitare supportato, si parla anche di persone con disturbi mentali.
Terzo. Deve succedere qualcosa, anche per la salute mentale! Non possiamo immaginare che, dopo lo schiaffo ricevuto dalla pandemia e l’imponente quantità di risorse disponibili, la condizione delle persone più vulnerabili non registri nei prossimi anni un cambiamento qualitativo e sostanziale. Non possiamo più permetterci enunciazioni di principio che non si traducano in concreti miglioramenti della vita delle persone, non possiamo più accontentarci di esperienze pilota i cui risultati non si trasferiscono poi in tutto il paese, non possiamo più limitarci a studiare il disagio e le diseguaglianze (e magari a produrre belle pubblicazioni scientifiche): occorre agire nel concreto, promuovendo un cambiamento graduale ma costante, in grado di sopravvivere al 2026, quando i fondi del PNRR saranno finiti.
Quarto. La strada maestra è l’integrazione: in primo luogo fra i diversi professionisti della sanità (perché la vera innovazione sta nel lavoro in equipe), fra sociale e sanitario (perché ognuno dei due settori ha bisogno dell’altro, nell’interesse delle persone fragili e degli operatori stessi), ma anche con altri ambiti (il mondo della scuola, del lavoro, dello sport, ecc.). Questa potrebbe essere, per lo meno per questo primo scorcio di secolo, l’ultima opportunità che abbiamo per imparare a lavorare davvero insieme. Facciamolo, lasciando da parte false identità professionali e gelosie personali. Per moltiplicare gli effetti positivi a vantaggio di tutti.
Quinto. La partecipazione. Un grande rinnovamento non può essere calato dall’alto, non può essere imposto ai potenziali beneficiari, ma deve essere realizzato ascoltando le persone che vivono quotidianamente i problemi, coinvolgendole nel processo di cambiamento affinché svolgano un ruolo di sorveglianza e di pungoli delle azioni da realizzare. A tutti i livelli: nazionale, regionale, comunale, delle aziende sanitarie, degli ambiti territoriali sociali, dei quartieri, delle comunità. Il confronto con la popolazione è necessario anche quando i tempi sono stretti, anzi proprio in questi casi è importante che i decisori si aprano ad altri punti di vista, evitando accuratamente pressioni ingiustificate e parziali. La partecipazione responsabile della popolazione può essere un potente antidoto contro l’inerzia dei vertici decisionali che sempre più frequentemente confidano solo sull’abnegazione degli operatori e sulla pazienza delle persone.
Sesto. Tutte le fasce di età possono essere interessate da disturbi mentali, compresi i giovani e gli adolescenti che sempre più mostrano segni di sofferenza e disagio. Il futuro si costruisce guardando ai giovani, al loro benessere e alla loro educazione. Per questo il disagio dei giovani non deve essere sottovalutato, né lasciato al solo clamore mediatico o a chi lo considera un mercato in grado di offrire sbocchi occupazionali a specifiche professioni.
Alla luce di tali considerazioni, è stato ribadito che l’obiettivo fondamentale deve essere quello di spendere bene (e non solo spendere) le risorse disponibili. A tal fine è necessario dare stabilità ai finanziamenti ordinari (e non solo agire nello straordinario), rendere possibile il potenziamento del personale (carente rispetto agli standard fissati del 1998, quando il disagio mentale era meno diffuso), formare nuovi professionisti e aggiornare gli operatori in servizio. E soprattutto potenziare e qualificare il welfare pubblico.
Per tutte queste ragioni il Coordinamento metterà a disposizione documenti, analisi, approfondimenti, organizzerà ulteriori momenti di confronto (anche a livello locale) e produrrà contributi contenenti elementi utili a promuovere e a sostenere una partecipazione attiva, dal basso, delle persone che hanno a cuore la salute mentale dell’individuo e delle comunità.