Venti anni fa uscì un volume sulla mia esperienza di sottosegretario alla Giustizia. Era intitolato “La giustizia come metafora” e il capitolo sul carcere era arricchito da una introduzione di Sandro Margara ricca di suggestioni e di analisi. Ho ripreso in mano questo testo che raccontava una stagione di riforme, fondamentale l’approvazione del nuovo Regolamento di esecuzione all’Ordinamento penitenziario: “portato in porto da Corleone – non credo che il Regolamento ci sarebbe arrivato senza di lui – con qualche ferita non indolore (l’eliminazione della affettività sopra tutte)”, così annotava Margara.
Con questa autorità, o almeno responsabilità, mi sento obbligato a intervenire nella discussione che è nata dopo la pubblicazione dei risultati della Commissione per l’innovazione della vita nelle carceri, nominata dalla ministra Cartabia e presieduta dal prof. Ruotolo.
Con ironia Margara metteva in luce il fatto che troppo spesso riforme che non cambiavano nulla, erano definite come elementi di positive contraddizioni, ma che in realtà si trattasse di equivoci.
Facciamo chiarezza dunque. È lodevole che dopo ventun anni, il Regolamento risale al 2000, si individuino elementi di adeguamento per aspetti importanti ma preliminarmente occorre denunciare la non applicazione di tante norme essenziali, al limite del sabotaggio.
In un momento crudele determinato dalla pandemia che ha reso il carcere un luogo ancora più chiuso e isolato con l’utilizzo della quarantena e con l’eliminazione di colloqui, incontri, corsi bisogna evitare il rischio del riformismo senza riforma, dell’imbellettamento su volti deturpati.
Alcuni suggerimenti sono preziosi, per ragioni di spazio in questa sede è impossibile citarli, sarebbe però decisivo che fosse previsto un termine perentorio per la realizzazione.
Benissimo, dunque, ma non basta e soprattutto è preliminare risolvere alcune nodi che costituiscono vere e proprie precondizioni perché qualcosa cambi. In questo senso sono imprescindibili le Proposte della Conferenza dei Garanti territoriali per la riforma del carcere.
La mancanza di direttori ed educatori ha ormai caratteri grotteschi. Non sarebbe il caso per i direttori di ricorrere alla mobilità nel settore pubblico con incarichi temporanei? Per il personale trattamentale si dovrebbe discutere l’opportunità del passaggio alle Regioni con maggiore legame con il territorio. Anche l’organico della magistratura di Sorveglianza va adeguato e il suo ruolo va riconosciuto come indispensabile.
E veniamo al sovraffollamento. Non sopporto più l’ipocrisia di chi lamenta il fenomeno senza indicare le cause. La legge antidroga determina almeno il 30% delle presenze per violazione dell’art. 73 (detenzione e piccolo spaccio) e il Governo almeno deve fare propria la proposta Magi sui fatti di lieve entità.
Così per il diritto alla affettività e alla sessualità occorre che il Governo sostenga il ddl 1876, predisposto dai garanti e presentato dal Consiglio Regionale della Toscana al Senato. Su queste due scelte si misura la discontinuità e l’immagine di un carcere dopo il Covid. Un decreto legge rispetterebbe le condizioni di necessità e urgenza e corrisponderebbe alla richiesta di Mauro Palma di voltare pagina. Anche una misura di ristoro, ad esempio la liberazione speciale anticipata, per sanare anche simbolicamente violenze e restrizioni sarebbe indispensabile.
È ora di concepire soluzioni originali per il lavoro, per la cultura, per l’isolamento, per l’uso della forza, per le mense e i piccoli spacci, per le misure alternative e per la salute. La salute mentale in particolare richiede una cura particolare con misure terapeutiche in luoghi fuori dal carcere. Inutile ripetere che i consumatori di sostanze stupefacenti non dovrebbero stare in galera.
Infine, sperimentare istituti secondo il modello spagnolo senza polizia penitenziaria e adottare il numero chiuso.
Follia? No, prova di intelligenza e ragione.
fonte: Il Manifesto – Fuoriluogo