Nel 2020 82 milioni di persone sono state obbligate a lasciare i loro territori per migrazione interna o esterna, nella maggior parte dei casi dovuta a conflitti armati e violenze locali.
Di rifugiati, profughi e più in generale si parla molto ogni giorno con esclusiva enfasi sulla loro capacità invasiva (rischio terrorismo, rischio importazione religione islamica, rischio competizione nell’accesso al lavoro, rischi trasmissione malattie infettive). Non uno di questi rischi è reale o perché è inesistente o perché è quantitativamente risibile. Ma di questo si parla e anche chi combatte questi stereotipi xenofobi e inaccettabili si limita troppo spesso a contestare la consistenza dei rischi che la propaganda enuncia, senza tuttavia riuscire a spostare il dibattito sulle vere questioni e, fra esse, certamente quella della salute. Infatti, non si parla della salute di quella categoria confusa di persone che chiamiamo a volte rifugiati, a volte profughi a volte genericamente migranti. Non se ne parla nei media nazionali e nel dibattito politico, come se la questione della salute fosse un problema che non ci riguarda e che soltanto loro dovrebbero risolvere. Tale disattenzione (a dir poco) fa parte delle crescenti manifestazioni di disumanità, di razzismo, di violenza verbale (e talvolta fisica) che si moltiplicano e lentamente ed inesorabilmente diventano accettabili e accettate.
Sarebbe invece necessario parlare di rifugiati e profughi e della loro salute, ma con dati alla mano e tralasciando propaganda e contropropaganda. Innanzitutto, si sarebbe potuto pensare che la pandemia di Covid 19 avesse funzionato come un freno al fenomeno della mobilità di profughi e rifugiati. Non è stato così. Secondo dati della agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR) nel 2020 82.4 milioni di persone sono state obbligate a lasciare i loro territori o per migrazione interna o esterna, nella maggior parte dei casi dovuta a conflitti armati e violenze locali. Questa gigantesca popolazione è raddoppiata in soli dieci anni perché nel 2010 il numero di rifugiati e profughi ammontava a 40 milioni ma con crescita costante (42 milioni nel 2012, 50 nel 2023, 60 nel 2014, 65 nel 2016) è oggi arrivata a più di 82 milioni (1).
Escludendo i movimenti migratori interni allo stesso paese, il paese che ha originato il più alto numero di persone costrette alla mobilità forzata è la Siria con quasi 7 milioni, seguita dal Venezuela con quasi 5 milioni, l’Afghanistan con 2.8 e il Sud Sudan con 2.2. I due paesi che hanno accolto più persone sono la Turchia con 4 milioni e la Colombia con 1.7 milioni. In Europa è la Germania il paese con il più alto numero di rifugiati e profughi: un milione e mezzo, di cui la metà provenienti dalla Siria (2). A beneficio di quanti costruiscono la propria propaganda politica sul tema dei migranti “invasori” dell’Italia, va ricordato che in Europa è la Svizzera che detiene un primato di migranti in rapporto percentuale alla propria popolazione, ossia il 30%. L’Italia è invece nella lista dei paesi europei con più bassa percentuale di migranti in rapporto alla popolazione: meno della Francia, del Regno Unito, dell’Olanda, della Spagna e della Grecia. Ma questo nessuno lo dice a voce alta perché si preferisce far credere che esista una emergenza migranti quando, ad esempio in Svezia la percentuale dei migranti rappresenta il 20% della propria popolazione: il doppio dell’Italia (3).
Dunque, quattro provvisorie conclusioni:
- Il numero di rifugiati, profughi e migranti cosiddetti economici è in drammatica crescita
- Conflitti e violenze sembrano essere il primo fattore che determina la mobilità dei rifugiati e profughi mentre povertà e disoccupazione sono i fattori che determinano la mobilità dei migranti cosiddetti economici.
- Sono soprattutto paesi extraeuropei quelli che hanno il peso maggiore del fenomeno della accoglienza, con la eccezione della Germania che è uno dei grandi paesi accoglienti del mondo
- L’Italia accoglie molto poco e si lamenta molto
E la salute di tutte queste persone?
Ricordiamo che il 21% della popolazione di profughi e rifugiati è costituita da bambine e adolescenti (15% di età inferiore agli undici anni). I bambini rappresentano il 30% della popolazione mondiale ma costituiscono il 40% della popolazione di rifugiati e profughi! Anche le donne rappresentano la frazione maggioritaria fra profughi e rifugiati (diversamente che fra i migranti economici): il 54% dei rifugiati dell’Africa Centrale e dell’Ovest è costituito da donne e bambine. Tale alto numero di popolazione femminile determina un drammatico contesto di patologie materno-infantili e anche di abuso sessuale. Malgrado la falsa convinzione (anch’essa parte della propaganda xenofoba) di una associazione fra malattie infettive e migrazione non c’è alcuna evidenza di una associazione fra migrazione e importazione di malattie infettive. Infatti, rifugiati e migranti rappresentano soltanto il 6% di tutti i casi di Tubercolosi notificati in Europa.
Il rischio che i migranti siano responsabili della importazione di malattie esotiche gravi è bassissimo essendo la maggioranza dei casi che entrano in Europa costituita da turisti o operatori sanitari. Al contrario, invece, rifugiati e migranti sono esposti a un rischio aggiuntivo di resistenza antimicrobica a causa delle condizioni disastrose dei campi rifugiati e delle loro povere condizioni igienico sanitarie. Infine, anche il rischio di importazione dell’AIDS risulta basso (4). Se le malattie infettive sono assai scarsamente importate dai profughi e da rifugiati che, piuttosto sono esposti ad esse quando giungono in Europa, i radicali mutamenti degli stili di vita (alimentazione ipercalorica, sedentarietà, alcol, tabacco) espongono i rifugiati anche ad un aumento delle malattie croniche non trasmissibili quali l’obesità, il diabete, i disturbi cardiovascolari e i tumori (5).
La prevalenza delle malattie mentali fra rifugiati e profughi non differisce molto da quella riscontrata nelle popolazioni dei paesi di accoglienza. Fanno eccezioni le sindromi da stress post-traumatico che colpiscono rifugiati e profughi in misura decisamente superiore rispetto alla popolazione dei paesi di accoglienza: 9% rispetto all’1% prevalente nella popolazione generale del paese ospite. (6). Infine, le donne migranti, rifugiate e profughe che giungono in Europa, sono esposte a complicanze da parto e a patologie perinatali in misura decisamente superiore rispetto alle donne dei paesi di accoglienza: in Svezia, ad esempio, e migranti africane hanno un rischio di mortalità neonatale 18 volte superiori alle donne svedesi (7). Tale vulnerabilità è imputabile a fattori di rischio precedenti la migrazione. Anche i bambini sono particolarmente esposti a patologie di natura infettiva, a malattie dell’apparato dentario e anche a seri problemi di sviluppo psico-cognitivo (8).
La domanda che a questo punto viene naturale è semplice: cosa si fa in Europa per proteggere la salute dei migranti, rifugiati e profughi?
Ossia, quali sono gli interventi che i paesi mettono in atto per garantire un accesso equo agli interventi di prevenzione e, in generale, ai servizi sanitari? Come è ovvio la risposta non è né semplice né univoca in quanto ciascun paese europeo ha messo in atto politiche diverse e inoltre non è neppure semplice “classificare” i paesi in base alla quantità, all’articolazione, all’efficacia e equità delle risposte. Infatti, ogni paese europeo mostra contemporaneamente aree di eccellenza e aree di scarsissima qualità. L’esaustivo rapporto dell’ufficio europeo della OMS (in questo post ampiamente citato) costituisce un interessante “catalogo” di interventi e politiche che fornisce esempi dai diversi paesi europei. Viene messa in evidenza la estrema eterogeneità delle politiche e della qualità degli interventi. Per esempio, l’Italia è citata come un esempio virtuoso per quanto attiene all’accesso ai servizi sanitari, in quanto ne garantisce l’accesso a tutti gli stranieri e, grazie a un “codice” speciale, estende tale diritto anche agli stranieri irregolari. Simile alla politica italiana è quella del Belgio che garantisce un voucher di accesso ai servizi sanitari anche ai migranti in posizione irregolare.
A fronte di tale virtuosità l’Italia risulta meno attenta agli aspetti di de-stigmatizzazione dei migranti e alla educazione della popolazione generale a ridurre i sentimenti xenofobi. Non risultano esserci programmi italiani dedicati a questo scopo, contrariamente, ad esempio, alla Repubblica Ceca ove le autorità, preoccupate dai crescenti movimenti razzisti, xenofobi e islamofobici, hanno sviluppato progetti di educazione rivolti alla popolazione generale allo scopo di promuovere la integrazione sociale degli stranieri immigrati nelle comunità locali. Austria e Spagna hanno sviluppato interventi specificamente rivolti alle donne con speciale enfasi sulle madri e i bambini: programmi di supporto alle donne esposte a violenza e abuso sessuale sono promossi dalle autorità sanitarie austriache così come, in Catalogna, si sono sviluppate sinergie pubblico e privato sociale allo scopo di garantire accesso agli interventi a tutela della saluta materno infantile.
Quello che colpisce di questa ricca ed eterogenea collezione di programmi e interventi è una apparente mancanza di coordinamento sia a livello europeo sia a livello nazionale dei singoli stati. Sembra che le iniziative virtuose siano lasciate alle singole amministrazioni locali o regionali o, in molti casi, ad azioni promosse da organismi non governativi. Non si coglie un disegno programmatico né a livello nazionale né a livello europeo e la salute di rifugiati e profughi non sembra essere una priorità strategica dei governi. Non c’è dubbio, invece, che rifugiati, profughi e migranti economici continueranno ad affluire in Europa e la loro salute, sia in termini di prevenzione sia in termini di cura e riabilitazione, costituirà sempre più un test etico e politico per tutti i governi, nazionali e locali. Infatti, la salute dei migranti incrocia al tempo stesso questioni di natura diversa: politica, di salute pubblica, di diritti e di cultura. Tuttavia, la comprensione e accettazione della salute come un diritto fondamentale, per tutti, è probabilmente più immediata e condivisibile anche dalle fasce di popolazione più prevenute o addirittura ostili nei confronti degli stranieri. La solidarietà nei confronti delle madri, dei bambini e, in generale, verso tutte le persone fragilizzate dalla malattia, è probabilmente più “naturale” rispetto ad “altre” solidarietà nei confronti di reali o presunti competitori nell’accesso alla occupazione o alla casa.
È probabile che, a partire dal pieno accesso alla salute, e ben oltre i soli interventi di urgenza, si possano costruire esperienze che non soltanto aumentano i diritti dei migranti ma anche cambiano la percezione degli operatori della sanità, ne elicitano le spinte morali e professionali più generose e così contribuiscono alla creazione di una importante massa critica di cittadini italiani che si convincono che l’aumento dei diritti dei più deboli non è una minaccia ma, anzi, un motivo di orgoglio collettivo. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) assegna 20 miliardi per la Missione 6 “Salute” e 13 miliardi per la Missione 5 “Inclusione e Coesione Sociale”. L’utilizzo saggio e innovativo di questi fondi sarebbe stata una occasione storica per una revisione radicale, nazionale, coordinata e visionaria delle normative e delle pratiche di assistenza sanitaria ai rifugiati, profughi e migranti, siano essi legali o clandestini.
Non ci pare che tale occasione sia stata colta.
Benedetto Saraceno, Segretario Generale, Lisbon Institute of Global Mental Health
Bibliografia
- Global Trends: Forced displacement in 2020. UNHCR, 2021, Geneva.
- The Global Report 2020. UNHCR, 2021, Geneva.
- Health of refugees and migrants. Regional situation analysis, practices, experiences, lessons learned and ways forward. WHO European Region, 2018, Copenhagen.
- Migration and health: key issues. In: Health topics [website]. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe; 2015 (http://www.euro.who.int/en/health-topics/health-determinants/migration-and-health/migrant-health-in-the-european-region/migration-and-health-key-issues, accessed 12 April 2018).
- Patel JV, Vyas A, Cruickshank JK, Prabhakaran D, Hughes E, Reddy KS et al. Impact of migration on coronary heart disease risk factors: comparison of Gujaratis in Britain and their contemporaries in villages of origin in India. 2006. 185(2):297–306).
- Fazel M, Wheeler J, Danesh J. Prevalence of serious mental disorder in 7000 refugees resettled in western countries: a systematic review. 2005. Lancet. 365(9467):1309–14.
- Essén B, Bödker B, Sjöberg NO, Langhoff-Roos J, Greisen G, Gudmundsson S et al. Are some perinatal deaths in immigrant groups linked to suboptimal perinatal care services? 2002. BJOG. 109(6) :677–82.
- Stubbe Østergaard L, Hjerne A. Migrant children in Europe: entitlements to health care. 2016. European Commission. (http://www.childhealthservicemodels.eu/wp-content/uploads/2015/09/20160831_Deliverable-D3-D7.1_Migrant-children-in-Europe.pdf, accessed 12 April 2018).