La pandemia ha messo in luce, infatti, non solo le carenze di risorse, ma anche la diversa efficacia e resilienza degli assetti che sono stati messi in atto in questo ambito del servizio sanitario nazionale.
È utile richiamare il confronto fra quanto è avvenuto in Lombardia e nel Veneto nel corso della prima ondata epidemica, che si è concentrata in queste regioni del nostro Paese. Una valutazione indubbiamente – e drammaticamente – interessante.
Quale fosse la rilevanza che si attribuiva in Lombardia ai medici di medicina generale (MMG) trova forse un’adeguata (e sincera) sintesi nelle parole pronunciate il 25 agosto 2019 da Giancarlo Giorgetti (all’epoca, vicepresidente della Lega) al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione: «Nei prossimi 5 anni mancheranno 45.000 medici di base. Ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? […] Tutto questo mondo qui, quello del medico di cui ci si fidava […] è finita anche quella roba lì».
Ma la pandemia rivela inevitabilmente le falle dei diversi sistemi sanitari regionali e il confronto fra le due regioni confinanti, per più aspetti analoghe come struttura per classi di età, reddito e orientamento politico, offre un possibile “caso studio”. In una lettera al New England Journal of Medicine, i medici degli ospedali della Lombardia descrivono la situazione ospedaliera, là dove “il morbo infuria” e il sistema territoriale non assicura alcun filtro; conseguentemente, l’ospedale «… è altamente contaminato e già oltre il punto di collasso [e gli operatori] costretti a operare ben al di sotto degli standard di cura».1
Poche settimane dopo, viene pubblicata una lettera su Quotidiano sanità, dove si mette in evidenza che tutti, in particolare in Lombardia, hanno rilevato il tema del “territorio abbandonato” e del “mancato governo del territorio”.2
Il confronto fra le due Regioni sottolinea che la Lombardia rappresenta un vero e proprio outlier,3 non solo in termini di incidenza, ma anche di percentuale di decessi sul numero di persone infette.
Vi sono più fattori che possono aver avuto un ruolo nel determinare la gravità del fenomeno pandemico nella realtà lombarda: la densità della popolazione, la ridotta capacità di individuazione dei contagi, un sistema basato sull’elevata specializzazione delle prestazioni ospedaliere (in alta percentuale private) e con un basso numero di posti letto in terapia intensiva (8,6 per 100.00 abitanti a confronto dei 10,1 del Veneto).
Uno degli elementi, e con ogni evidenza il fondamentale, ampiamente ripreso dalla stampa nazionale4 e da osservatori internazionali,5 è tuttavia rappresentato dalla diversa governance territoriale in atto nelle due Regioni.
Il problema non è quindi solo di risorse, ma della loro allocazione, della scelta delle priorità e della diversa politica sanitaria che le Regioni hanno attuato nei confronti della sanità territoriale. Appare evidente che gli ospedali hanno, per tradizione, per prescrizioni normative, per applicazione degli standard di accreditamento e di quanto indicato nei contratti di lavoro, per modalità di formazione e aggiornamento del personale, una maggiore omogeneità nel contesto nazionale. Al contrario, il territorio è una realtà meno definita ed è stata progressivamente destrutturata, oggetto di non differenti, ma opposte soluzioni organizzative, quasi che l’articolazione dei servizi territoriali, il rapporto con il privato e il privato sociale, l’entità e la tipologia di esternalizzazione dei servizi, il ruolo e la collocazione del MMG, il grado di interconnessione fra servizi sanitari e sociali non si dovessero inscrivere all’interno di un principio programmatico più ampio e possano essere considerati “neutrali” rispetto ai principi ispiratori del nostro Servizio sanitario nazionale. Il PNRR finanzia le strutture necessarie a un nuovo assetto organizzativo della medicina territoriale: entro il 2026, dovranno essere realizzate 1.288 Case di comunità (CdC), 602 Centrali operative territoriali, 380 Ospedali di comunità (OdC), e potenziata l’assistenza domiciliare, che dovrà essere disponibile per il 10% della popolazione over 65 anni.
Si tratta di una strategia positiva, che individua gli strumenti. Necessari sì, ma non sufficienti. Vi sono, infatti, elementi normativi e contrattuali indispensabili per configurare un assetto complessivo della sanità territoriale con un sistema di cure primarie che si basi su una fitta e frastagliata rete di servizi e professionisti che garantiscano tutto ciò che è essenziale per il mantenimento e la promozione del miglior standard di salute possibile della popolazione.6
In questo periodo, sono stati resi disponibili alcuni documenti volti a individuare la possibile organizzazione della sanità territoriale7 e la collocazione dei MMG individuando ipotesi diversificate. Manca, purtroppo, un quadro più ampio che definisca il profilo ideale, politico e programmatico all’interno del quale le diverse proposte e soluzioni acquisiscano un significato e possano essere valutate nella misura in cui concorrano a raggiungere obiettivi condivisi. Mi soffermo su tre questioni che, a mio parere, risultano le più rilevanti.
L’organizzazione della sanità territoriale
Come già detto, l’organizzazione messa in atto dalle Regioni risulta fortemente differenziata. Basta, a questo proposito, scorrere il documento del Servizio studi della Camera dei Deputati8 e prendere atto della realizzazione delle CdC o degli OdC, strutture cardine per le attività dei MMG. In questo caso, non siamo di fronte a una disponibilità territorialmente differenziata, come avviene per esempio per i servizi e i posti letto degli ospedali; si osservano, invece, Regioni con diffuse realizzazioni e altre in cui vi è una totale assenza di questi presidi, per i quali nel corso degli ultimi due decenni i provvedimenti legislativi e normativi hanno previsto risorse, sono state emanate linee guida e definiti i requisiti con l’Intesa Stato-Regioni e il Patto per la salute 2014-2016.
Tuttavia, solo per fare qualche esempio, l’Emilia-Romagna ha 124 CdC, il Veneto 77, la Toscana 76, il Piemonte 71, la Sicilia 55, il Lazio 22, mentre – a dispetto dell’ampia stratificazione normativa – la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la Puglia e la Campania non ne hanno realizzata alcuna.
Ci troviamo, con ogni evidenza, di fronte a orientamenti organizzativi e strutturali che hanno a monte scelte politiche profondamente diverse, non certo una articolazione regionale del Servizio sanitario nazionale.
Le Case della comunità previste dal PNRR, per essere “di comunità”, dovranno avere caratteristiche strutturali e urbanistiche adeguate (accessibilità, relazione con i mezzi di trasporto pubblico quali autobus e tramvie, prossimità con altri servizi collettivi, integrazione con i servizi sociali del Comune eccetera) e in tale struttura dovranno trovare sede i medici di medicina generale, quale componente indispensabile delle unità complesse di cure primarie (UCCP), aggregazioni multiprofessionali/multidisciplinari che svolgono la loro attività, con un responsabile organizzativo e un responsabile clinico, garantendone l’apertura h 24 per 7 giorni la settimana.
Non si tratta di abbandonare gli ambulatori periferici; al contrario: questi dovranno essere riqualificati e in particolare connessi, non solo in termini informatici, ma funzionali e organizzativi, con le Case della comunità.
La formazione del medico di medicina generale
Come noto, attualmente la formazione del medico di medicina generale non è una specializzazione accademica, non è pertanto affidato all’Università. La medicina generale e l’Università non si sono mai parlati, con un reciproco danno: l’Università ha rinunciato alla conoscenza e alla formazione di un settore fondamentale della sanità,9 punto di acceso al SSN; la medicina generale si è accontentata di una preparazione di livello ridotto, senza un apporto dell’istituzione preposta alla formazione e alla ricerca, ma lieta di una gestione autoreferenziale.
La formazione, di durata triennale e sottopagata (11.000 euro annui rispetto ai 26.000 euro della specializzazione universitaria), è affidata a centri regionali di formazione con diverso statuto e denominazione, ma di fatto attuata dal sindacato, attraverso le sue emanazioni preposte alla formazione e aggiornamento professionale, promozione di eventi, fornitura software eccetera. Un intreccio fra formatori, docenti, sindacalisti, membri dei vari organismi di amministrazione su cui ha recentemente richiamato l’attenzione un’accurata indagine giornalistica10 e da cui non si evince, anche esaminando i siti di tali istituzioni, una trasparenza rispetto alle fonti di finanziamento, ai compensi dei vari soggetti, ai possibili (o evidenti) conflitti di interesse. Risulta, dunque, indispensabile inserire la formazione del MMG fra i compiti dell’Università avvalendosi anche di una rete di servizi territoriali accreditata.
La collocazione del MMG
Sulla collocazione del MMG si è aperto un dibattito, anche a seguito del documento della Conferenza delle Regioni,11 che prende in esame varie ipotesi.
Alcuni colleghi, vari giovani medici e una rappresentanza sindacale (CGIL medici) si sono espressi a favore della dipendenza, anche sulla base di esperienze di altri Paesi, quali il Portogallo. Una prospettiva che ha una sua logica, per inserire questa professione nel Servizio sanitario nazionale in modo organico. Un cambiamento complesso sotto il profilo organizzativo, finanziario, pensionistico, che appare difficilmente praticabile anche in relazione alle posizioni nettamente contrarie dei maggiori sindacati dei MMG.
L’ipotesi di una sostanziale modifica dell’attuale convenzione risulta indispensabile con la collocazione dei MMG all’interno delle Case della comunità, sottoforma di aggregazioni multiprofessionali/multidisciplinari (UCCP), il mantenimento della libera scelta del medico da parte dell’assistito e la revisione degli standard degli ambulatori periferici connessi alla CdC. Sarebbe possibile praticare anche un’ipotesi mista (convenzione e dipendenza) con l’inserimento dei medici che accolgono tale ipotesi in un rapporto di dipendenza. Si tratterebbe di sperimentare questa opzione, per esempio per un quinquennio, dando una risposta a molti giovani medici che propendono verso questa soluzione. I sistemi contrattuali differenziati sono peraltro diffusi anche negli ospedali in cui, ai livelli diagnostici e ambulatoriali (sempre più ampi e complessi), opera il personale dipendente in orario di lavoro, il professionista in libera professione intramoenia, lo specialista ambulatoriale convenzionato (il cosiddetto “sumaista”).
Qualche considerazione conclusiva
La sanità italiana, in conseguenza dell’esperienza pandemica e grazie al PNRR, è senza dubbio a un bivio che può portare a esiti opposti.
L’obiettivo che dobbiamo proporci è quello di una profonda riforma della sanità territoriale, che accompagni la realizzazione di quanto finanziato dal PNRR, superando le posizioni sindacali che ipotizzano i MMG organizzati in micro team, esterni e indipendenti dal Distretto e dalla CdC, con personale infermieristico ancillare al medico. Si tratta di una visione affetta, per utilizzare il neologismo di Zygmunt Bauman, da “retrotopia”, in un’ottica che guarda all’indietro per arginare il cambiamento. È, invece, indispensabile attuare una riforma coerente con gli obiettivi che il PNRR si pone: realizzazione di CdC e OdC; potenziamento dell’assistenza domiciliare; informatizzazione della sanità per costruire una rete fra persona assistita (fascicolo elettronico), presidi territoriali, ospedali.
Ciò comporta, fra l’altro, una forte e autorevole governance nazionale, che vada oltre – non solo in termini temporali – ai piani finanziari previsti dal PNRR, anche attraverso un coordinamento e un potenziamento delle istituzioni centrali, quali Agenas, Istituto superiore di sanità, Aifa, ricerca finalizzata eccetera. Questa prospettiva implica una stretta collaborazione fra Governo centrale e Regioni, escludendo il tema della sanità dall’eventuale attuazione dell’autonomia regionale differenziata.
Se, invece, si costruiranno Case e Ospedali di comunità, senza assumere il personale necessario e non collocandovi i MMG, sarà come costruire una rete ferroviaria, metterci i vagoni, ma senza le locomotive e i macchinisti! Un possibile fallimento di un ingente investimento pubblico; un incremento delle disuguaglianze territoriali, già marcate, a causa di politiche sanitarie fortemente differenziate fra Regione e Regione; un diffuso ricorso al privato, a cui verranno affidate – un unicum nel panorama mondiale – le strutture fondamentali della rete territoriale e l’accesso a un servizio sanitario sostenuto, attraverso la fiscalità generale, dalla popolazione.
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Bibliografia
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- Sessanta medici di medicina generale. Il territorio abbandonato. Quotidiano sanità, 02.05.2020. Disponibile all’indirizzo: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=84767
- Bonati M. Perché la Lombardia è outlier: un’anomalia evidenziata dalla Covid-19. I Lombardi dalla prima all’ultima crociata. R&P 2019;36:1-6. Disponibile all’indirizzo: https://www.agite.eu/images/COVID-19/LOMBARDIA_OUTLIER.pdf
- Gabanelli M, Ravizza S. Coronavirus, perché tanti morti in Lombardia? Le 6 domande inevitabili. Corriere della Sera, 14.04.2020. Disponibile all’indirizzo: https://bit.ly/3dvhPTD
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- Campagna Primary Health Care. Il Libro Azzurro per la riforma delle cure primarie in Italia. Applicare il modello della Primary Health Care. 2018. Disponibile all’indirizzo: https://2018phc.files.wordpress.com/2021/09/libroazzurro_1v.pdf
- Agenas. Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale. Seconda Bozza. Disponibile all’indirizzo: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato6571804.pdf
- Servizio studi della Camera dei Deputati, XVIII Legislatura. Case della salute ed Ospedali di comunità: i presidi delle cure intermedie. Mappatura sul territorio e normativa nazionale e regionale. Documentazioni e ricerche n.144 del 01.03.2021. Disponibile all’indirizzo: http://documenti.camera.it/leg18/dossier/testi/AS0207.htm?_1638798886511
- Maciocco G. Come si diventa medici di famiglia. Salute internazionale, 27.07.2015. https://www.saluteinternazionale.info/2015/07/come-si-diventa-medici-di-famiglia/
- Gabanelli M, Gerevini M, Ravizza S. Dataroom. La lobby che governa i medici di famiglia. Corriere della Sera, 21.09.2021.
- Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome. Proposta di documento recante “Prima analisi criticità e possibili modifiche nelle relazioni SSN/MMG in particolare nella prospettiva della riforma dell’assistenza territoriale determinata da PNRR”. 07.10.2021. Disponibile all’indirizzo: 446_edit4.pdfhttp://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato7650793.pdf
autore:
Marco Geddes da Filicaia Medico epidemiologo, esperto di sanità pubblica
Corrispondenza: Marco Geddes da Filicaia; marco.geddes@gmail.com,
fonte: E&P