In questa lunga stagione della pandemia da Covid-19 il Governo italiano, come peraltro anche altri governi dei paesi stranieri, hanno imposto delle misure coercitive ai comportamenti personali ed all’adeguamento di misure sanitarie, primo tra tutti l’obbligo vaccinale, peraltro per il momento limitato ad alcune categorie professionali.
La maggioranza della popolazione sta apprezzando questi provvedimenti anche verificandone l’efficacia, seppur parziale, ma molti hanno “urlato” definendoli frutto di una dittatura liberticida o per lo meno accusando il Governo di paternalismo.
Diamo le definizioni come tratte dal dizionario Treccani:
paternalismo – Termine divenuto di uso comune nella pubblicistica storico-politica alla fine del sec. 19° per indicare l’impostazione data all’attività di governo, dai sovrani degli stati europei, che si assunsero come proprio l’assolvimento complessivo dei compiti amministrativi e politici nei confronti di quanti vivevano nell’ambito del loro territorio, e in particolare l’atteggiamento per cui i governanti attuano una politica che, pur tendendo con sollecitudine paterna al progresso e al benessere dei governati, non li considera però capaci di perseguire tali fini in modo autonomo.
liberticida – Che, o chi, sopprime la libertà civile.
E subito richiamiamo i passi della Costituzione italiana che diversi commentatori hanno ritenuto violata dai provvedimenti del Governo:
Art. 13 – La libertà personale è inviolabile. […]
Art. 16 – Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza […]
Art. 32 – La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Per evitare fraintendimenti chiariamo subito la nostra totale adesione alla libertà personale che è un bene conquistato storicamente a fatica ed anche spesso con molto spargimento di sangue. Ma forse è bene intendersi sul concetto di libertà che di certo non vuol dire poter fare qualsiasi cosa la si voglia. Si è scritto molto su come intendere la libertà e non saremo certo capaci di dire qualcosa di nuovo in più ma ci basti ricordare quanto spesso si afferma e cioè che il confine della libertà è la libertà altrui, cioè nessuno deve sentirsi libero di limitare la libertà dell’altro.
C’è liberticidio nelle norme sanitarie?
Molte sono le norme che ci riducono la libertà in base a motivazioni di carattere sanitario. Si pensi al divieto di fumare in ambiente chiuso, all’obbligo di raccogliere le deiezioni dei cani per la strada, al divieto di toccare la merce nei mercati alimentari, ma soprattutto nessuno può diffondere consapevolmente delle infezioni, art. 438 del codice penale: ” Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. Nella relazione ministeriale ai Lavori preparatori del Codice penale e del codice di procedura penale del 1929, il guardasigilli Alfredo Rocco commentava: “(…) Si è riconosciuta la necessità di prevederlo nel Codice, in rapporto alla enorme importanza che ormai ha acquistato la possibilità di venire in possesso di germi, capaci di cagionare una epidemia, e di diffonderli”. Sui dubbi alla interpretazione giuridica di questa norma si veda il testo di Donato Castronuovo “Il diritto penale al tempo della peste“.
Ma se torniamo all’inizio dell’Ottocento, in pieno liberalismo classico, non troviamo nella legislazione amministrativa né il termine “sanità pubblica” né “igiene e prevenzione”, bensì il termine “polizia sanitaria”. Nella impostazione del liberalismo classico la salute è un bene strettamente personale di cui lo Stato deve limitarsi a difenderlo dalle aggressioni come fa con la proprietà privata, e come è legittimo proibire i furti così è legittimo proibire i contagi, entrambi sia dolosi che colposi o inconsapevoli.
È quindi sicuramente principio consensualmente acquisito che lo Stato possa, anzi debba, vietare ogni situazione che può causare aggressione alla salute altrui. Si deve anche dire che il principio non è di facile ed univoca applicazione e comunque lo si deve contemperare con altri valori. Ad esempio è ormai certo che il traffico automobilistico crei un inquinamento nocivo alla salute ma non sarebbe possibile vietare totalmente oggi l’uso dei mezzi di trasporto con motori a combustione, ma già da ora se ne vieta l’uso in aree urbane specifiche.
Non c’è quindi alcun dubbio che imporre misure per evitare o per lo meno ridurre la possibilità di contagi non siano misure liberticide bensì misure che limitano la libertà di contagiare per salvaguardare la libertà di non essere contagiati.
C’è paternalismo nelle norme sanitarie?
Ma se è acquisito che si debba limitare la possibilità di nuocere agli altri, ci si deve chiedere se sia anche lecito stabilire delle norme per non nuocere a se stessi.
Norme in tal senso ce ne sono a iosa! si pensi solo al divieto di far uso di droga, o all’obbligo del casco o delle cinture di sicurezza, o al divieto di balneazione in determinate situazioni, ecc. Sicuramente queste norme superano il concetto di pertinenza esclusivamente personale della salute individuale e consentono allo Stato, in talune situazioni, di farsene carico.
Spesso viene giustificata questa “ingerenza” dello Stato nella sfera individuale come provvedimenti per evitare dei costi al Servizio Sanitario Nazionale. In tal senso è notizia che in alcune nazioni straniere sia stata negata la gratuità delle cure per malattie da Covid-19 a chi abbia rifiutato di farsi vaccinare.
Questo principio è molto pericoloso perché potrebbe comportare la colpevolizzazione dei pazienti in molte altre situazioni. Mi ricordo quando, facendo parte della Commissione per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del Ministero della Sanità, allora non si chiamava ancora Ministero della Salute, mi opposi vigorosamente all’ipotesi di negare l’assistenza gratuita ai fumatori, nonostante propugnassi norme più rigide per vietare il fumo di tabacco. Il malato deve essere comunque guarito, possibilmente in modo totalmente gratuito, qualsiasi ne sia la causa che abbia determinata la sua infermità. Solo per fare un tragico esempio siamo convinti che si deve assolutamente curare anche il terrorista rimasto ferito da un attentato dove ha ucciso diverse persone!
Ma allora lo Stato può imporci di tutto senza alcuna limitazione? può dirci come comportarci, come mangiare, cosa fare … motivando le imposizioni come a salvaguardia della nostra salute? È chiaro che la risposta non è affermativa! Il primo responsabile della propria salute siamo noi stessi e siamo noi che dobbiamo innanzitutto decidere ciò che è bene o male per noi stessi.
Ci sono situazioni in cui viene però riconosciuta l’incapacità di badare a sé stessi e sono i casi di minorità o fragilità mentale o psichica: il TSO, trattamento sanitario obbligatorio, è tipicamente un provvedimento che si assume in situazioni di questo tipo. Ma molti sono i divieti ad avere comportamenti lesivi verso sé stessi, e prima si è citato i divieti all’uso di stupefacenti.
Crea però molte maggiori perplessità non il divieto a fare bensì l’obbligo a fare, ed è il caso appunto dell’obbligo a vaccinarsi. Chiediamoci ad esempio il perché dell’esistente obbligo a vaccinarsi contro il tetano, patologia non trasmissibile e quindi che non metterebbe in alcun pericolo la salute altrui! Come si giustifica? perché si ritiene che le persone non siano in grado di badare a se stessi? e in questo caso sarebbe gentile ma discutibile paternalismo. Perché allora si vogliono risparmiare i costi delle cure? ma i casi di tetano per fortuna sono pochi e forse i costi dei vaccini sono maggiori di quelli delle eventuali cure, ed in ogni caso questo sarebbe paternalismo economico.
La motivazione credo debba essere trovata nel rapporto tra individuo e società di cui l’individuo fa parte: la concezione liberista è stata storicamente, seppur ahimè non definitivamente, superata da una idea di integrazione reciproca tra società ed individuo: l’uno deve difendere come può l’altro reciprocamente. E come la società si fa carico dei costi per prevenire, curare rispristinare la salute, così l’individuo deve attivarsi per essere un elemento utile alla società.
Questo è il presupposto per cui lo Stato non solo può vietare ciò che lede la salute altrui o imporre ciò che è necessario per impedire l’insorgere di situazioni che possono ledere la salute altrui, ma anche può imporre provvedimenti necessari a che sia salvaguardata la propria salute in modo che il proprio contributo alla società non venga meno. Certamente questo principio è molto delicato e deve essere limitato a situazioni che riguardano o un’ampia parte della società o che comportano gravissime conseguenze per gli individui, e naturalmente deve garantire che i provvedimenti siano efficaci e non dannosi.
Imporre o convincere?
Se è legittimo imporre, di sicuro è meglio convincere. Si deve fare di tutto per riuscirci ben sapendo che ogni imposizione innesca forti reazioni e non sempre un obbligo ha efficacia maggiore di quella di un convincimento ben fatto.
Per questa ragione non considero paternalismo l’obbligo vaccinale ma ritengo che possa essere posto solo come ultima ratio dopo aver realmente attivato misure efficaci di convincimento. e dopo averne valutato la reale applicabilità sociale per ottenerne i risultati desiderati. Speriamo che finalmente la popolazione riesca ad accettare ciò che gli è stato dimostrato essere la soluzione più giusta per gli altri e per la società ma innanzitutto per loro stessi.
fonte: E&P