La pandemia da Covid-19 come nuovo rischio socio-sanitario e come stress test per la sanità italiana. Nota introduttiva. di Gianluca Busilacchi

  1. Premessa

La pandemia da Covid-19 rappresenta a livello globale uno degli eventi più drammatici degli ultimi decenni, con un impatto assolutamente straordinario, non solo sulle condizioni di salute degli individui, ma anche sulle attività economiche e su molti aspetti di vita quotidiana: a tale proposito, per indicare la portata multidimensionale dell’impatto pandemico, si è fatto ricorso al termine di «sindemia» (Horton, 2020; Favretto e al., 2021). Per questa ragione, sebbene il presente numero de «la Rivista delle Politiche Sociali» sia dedicato specificamente all’impatto del Covid sul Servizio sanitario nazionale (Ssn), ci pare utile aprire questa nota introduttiva inserendo tale tema all’interno di un ragionamento più vasto, vale a dire l’effetto che la pandemia sta determinando sul concetto stesso di rischio socio-sanitario, inteso come ambito di connessione tra la sfera sociale e quella più direttamente legata alla salute; in seguito verranno analizzate in sintesi le principali caratteristiche politico-istituzionali del Ssn che sono state messe «sotto stress» dall’evento pandemico, per poi concludere con la presentazione della struttura del fascicolo.

  1. Gli effetti della pandemia sulla natura del rischio socio-sanitario

Per comprendere se la pandemia abbia avuto un effetto sulla natura del rischio socio-sanitario, dovremmo tentare di collocare questo tema dentro un’analisi che attiene al processo di trasformazione strutturale dei rischi sociali più direttamente coinvolti dal Covid, non solo a quelli relativi alla sfera della salute: la pandemia sta contribuendo a mutare il tipo di rischio a cui i cittadini sono esposti? Non è possibile anticipare già oggi, in via assoluta, una risposta esaustiva a tale interrogativo, ma è possibile ipotizzare che il Covid abbia in effetti accelerato un cambiamento già in atto da qualche decennio e affrontato da Beck con il suo lavoro sulla «società del rischio» (1986). Una delle principali argomentazioni di tale teoria è che la trasformazione della natura dei rischi minasse le basi della modernizzazione: nella società moderna, infatti, i processi legati alla razionalizzazione dell’agire e all’impatto della conoscenza scientifica nelle varie sfere della vita quotidiana avevano coinvolto anche la natura dei rischi sociali, rendendoli fenomeni prevedibili e in qualche modo calcolabili sul piano matematico (Daston, 1987). Anche nel campo del welfare e della salute, nel corso dell’ultimo secolo, si sono fronteggiati in gran parte dei rischi «aleatori e circostanziali», vale a dire chiaramente definibili e statisticamente ponderabili (Rosanvallon, 1995). Negli ultimi decenni però il sopraggiungere di nuovi tipi di rischi, più imprevedibili e meno conoscibili, ha interrotto tale meccanismo di computabilità, esponendo gli individui a fenomeni ignoti, sia nella loro comprensione e misurazione, sia nella loro distribuzione probabilistica; è possibile che il Covid, con tutti i suoi effetti «sindemici», rappresenti uno di questi nuovi rischi post-moderni? Per quanto attiene al rischio più direttamente connesso alla pandemia, vale a dire quello sanitario, qui inteso come deprivazione della capacità di tutela della salute, è possibile ipotizzare una risposta positiva …leggi l’articolo completo su RPS

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