Caro Peppe*,
partecipo del tuo dolore e della tua angoscia per la condizione dei Servizi di salute mentale di Trieste, una condizione che nasce dalle scelte politiche della Regione Friuli Venezia Giulia. Purtroppo, in modi più o meno espliciti e clamorosi, lo stesso sta accadendo da tempo, talvolta da sempre, in altre Regioni dell’Italia, senza suscitare l’ interesse pubblico.
Secondo me, i problemi, le difficoltà che abbiamo nascono dal fatto che tutte le scelte di politica sanitaria, e di salute mentale quindi, sono pienamente legittimate da decisioni delle Giunte regionali condivise dalle maggioranze politiche che le sostengono. Le Regioni, infatti, sono titolari delle politiche sanitarie.
Il fatto è che nel tempo è accaduto che:
– I governi nazionali, e a cascata quelli regionali e locali, hanno abbandonato il metodo della programmazione, ossia la messa a punto di obiettivi dichiarati, la definizione dei modi per raggiungerli a partire dalla definizione degli standard di personale e strutture, del rapporto strutture/popolazione per arrivare all’assegnazione di risorse certe per il buon funzionamento;
– I Comuni hanno progressivamente rinunciato ad esercitare il loro ruolo di gestione delle politiche di sicurezza sociale, in specie, quelle dell’integrazione fra sociale e sanitario.
Ma principalmente, a mio avviso, quello che pesa maggiormente è che la gestione del Servizio sanitario è stata affidata a suo tempo ad Aziende (v. riforma De Lorenzo) che operano secondo logiche economicistiche e privatistiche da cui conseguono l’organizzazione gerarchica e, soprattutto, l’obbligo degli operatori al silenzio, pena sanzioni amministrative o licenziamento: nelle Aziende non c’è libertà di parola e spesso neanche di pensiero. Questo spiega il fatto che manchino le “voci di dentro”, che a parlare, criticare ad alta voce siano solo persone come noi che siamo in pensione.
Ecco, allora, secondo me, è prioritario, urgente ripensare alla gestione del Servizio sanitario nazionale, promuovere iniziative politiche per modificare la legislazione vigente e fare sì che, se proprio si vuole mantenere un impianto aziendale, le Aziende sanitarie locali diventino emanazione dei Comuni singoli e associati, non delle giunte regionali.
Un’altra grande questione è che mancano proprio fisicamente gli operatori, non solo per i servizi di salute mentale, ma per tutta la Sanità pubblica per il semplice fatto che gli accessi alle lauree sanitarie sono contingentati perché vige il numero chiuso. Abbiamo visto che in occasione della Seconda Conferenza nazionale per la salute mentale molte Società scientifiche, e fra queste la Società Italiana di psichiatria nella quale grande peso hanno i clinici universitari, si sono sfilate, hanno scelto di non partecipare, non confrontarsi, come se il problema del numero dei diplomati non le riguardasse.
Per queste ragioni credo che il nostro movimento italiano per la salute mentale abbia bisogno e urgenza di chiamare tutti alle loro responsabilità e di misurarsi con i problemi del funzionamento di uno Stato che sia democratico e competente.
Mantova, novembre 2021
*Peppe Dell’Acqua n.d.r
Con questa lettera di Luigi Benevelli, cominciamo a pensare che i caffè della piazza del Forum ricominceranno a essere frequentati da noi. Come sempre le analisi di Luigi sono illuminanti.