Privi di una rappresentanza dei loro bisogni, le persone che hanno difficoltà o rinunciano a curarsi è più facile che si imbattano in qualcuno che gli spiega che la colpa è del “sistema”, un sistema ormai insostenibile: a causa dell’invecchiamento della popolazione, del costo crescente di farmaci e tecnologie, dell’aumento della spesa sanitaria non compatibile con la stabilità finanziaria. Si offre anche la soluzione del problema: trovare altre fonti di finanziamento, un altro pilastro, attraverso un sistema assicurativo e i fondi sanitari integrativi. Per smontare questa narrazione Marco Geddes ha scritto un libro, “La salute sostenibile”, uscito in questi giorni in una collana del Pensiero Scientifico Editore.
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0,52%. Questa è la percentuale di consensi elettorali raccolti dalla formazione politica nuova di zecca – “Civica Popolare” – costituita dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin (con tanto del proprio nome nel simbolo del partito) in vista delle elezioni del 4 marzo e presente nella coalizione di centro-sinistra. Il risultato è stato disastroso anche perché i (pochi) voti raccolti, non avendo superato la soglia minima dell’1%, sono andati dispersi. Ciononostante la Lorenzin ha conservato il suo seggio in Parlamento, grazie alla blindatura fornitale dalla coalizione in un collegio “sicuro” di Modena.
Fossero andate diversamente (molto diversamente) le elezioni del 4 marzo, la Lorenzin avrebbe potuto ambire a fare di nuovo il Ministro della salute e probabilmente l’avrebbero accontentata. Nella Legislatura appena conclusa Beatrice Lorenzin ha ricoperto la carica di Ministro per tutto il periodo, in tutti e tre i governi che si sono succeduti: Letta, Renzi e Gentiloni. L’avrebbero accontentata perché in fondo il suo compito l’aveva svolto con diligenza: assistere, senza battere ciglio, al progressivo affondamento del Servizio sanitario nazionale. Con un peso politico e un livello di competenza vicini allo zero, era il Ministro che ci voleva. Poco importava se le sue uscite e le sue iniziative fossero motivo di grande imbarazzo. Come quando andava diffondendo – nella guerra dei vaccini strumentalmente promossa dal governo – l’incredibile bufala secondo cui a Londra nel 2013 si erano verificati oltre duecento decessi a causa del morbillo (vedi video) oppure quando lanciò la discutibile campagna del Family Day, nel corso della quale fu diffuso un opuscolo razzista, suscitando proteste in varie città italiane e la presa di distanza dello stesso Presidente del consiglio (vedi articolo: Una campagna tecnicamente inguardabile) .
Ma l’atto politico della Lorenzin che resterà negli annali della sanità italiana è il “Patto per la salute”, siglato tra Governo e Regioni nel luglio 2014 e clamorosamente rimangiato tre mesi dopo. “Abbiamo messo in sicurezza il sistema sanitario italiano per le prossime generazioni”, affermò orgogliosa la Ministra. A ottobre la legge di stabilità approvata dal Governo (e quindi dalla stessa Ministra) trasformò gli incrementi di spesa promessi dal Patto in tagli severi, suscitando la protesta del presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino: “La manovra non è sostenibile”.
La sonora sberla elettorale alla Lorenzin è poca cosa rispetto alla disfatta del PD e alla sconfitta di Forza Italia, i due partiti che – da posizioni diverse – manovravano per costruire un solido pilastro assicurativo privato sulle macerie di un dissanguato servizio sanitario pubblico. Di questo non si doveva parlare in campagna elettorale, e non si è parlato. Ma gli elettori avevano gli occhi per vedere e hanno duramente punito il Partito Democratico anche per le sue scelte nella sanità. Così come gli elettori del Lazio hanno punito il candidato della destra, Stefano Parisi, che – alle elezioni regionali – aveva fatto della campagna a favore delle assicurazioni sanitarie private il suo cavallo di battaglia.
Della sanità italiana, del destino del servizio sanitario nazionale, del diritto alla salute sempre più sotto scacco, è necessario parlare e discutere apertamente. Per un dovere d’informazione e di verità e per vincere quel senso di rassegnazione e d’impotenza che attanaglia gli abitanti della società liquida di Bauman dove “privazioni e sofferenze sono frammentate, disperse e diffuse; e così il dissenso che producono. La dispersione del dissenso, la difficoltà di concentrarlo e ancorarlo a una causa comune, per poi dirigerlo contro un colpevole comune, rende le pene ancora più aspre” (Vedì articolo La sanità liquida). Così oggi è disperso – per la mancanza di una rappresentanza politica o sindacale – il dissenso dei milioni di persone che hanno enormi difficoltà ad accedere al Servizio sanitario nazionale e che alla fine rinunciano a curarsi per motivi economici, per gli infiniti tempi di attesa, per l’eccessiva distanza da un luogo di cura.
Privi di una rappresentanza dei loro bisogni e delle loro sofferenze, questi milioni di persone è più facile che si imbattano in qualcuno che gli spiega che la colpa è del “sistema”, un sistema ormai insostenibile: a causa dell’invecchiamento della popolazione, del costo crescente di farmaci e tecnologie, dell’aumento della spesa sanitaria non compatibile con la stabilità finanziaria. La spiegazione va oltre la definizione del problema e punta direttamente alla sua soluzione: trovare altre fonti di finanziamento, un altro pilastro, attraverso un sistema assicurativo e i fondi sanitari integrativi. Se, chi può, in base al reddito, ricorre ad un sistema parallelo, alleggerisce il carico di prestazioni che il Ssn deve erogare, che si potrà così orientare verso chi non può permettersi un’assicurazione.
Per smontare questa narrazione, apparentemente di buon senso, Marco Geddes – storico autore di questo blog – ha scritto un libro – “La salute sostenibile” (vedi Risorse) – uscito con mirabile tempismo in questi giorni in una collana del Pensiero Scientifico Editore.
La prima parte del libro è dedicata all’analisi della spesa sanitaria italiana, comparata con quella degli altri paesi, delle sue proiezioni future, alle dimensioni e alle cause del definanziamento del servizio sanitario nazionale. Ma al centro di questa parte sta lo studio delle ragioni che spingono così potentemente verso la soluzione del secondo pilastro assicurativo e su quali sono gli attori e gli interessi in campo (vedi anche Tutti pazzi per il secondo pilastro). Infine la risposta alla domanda: il secondo pilastro serve davvero a garantire la sostenibilità del sistema?
Le seconda parte del libro è dedicata a come mantenere la sostenibilità nel futuro: dalle strategie per contenere la crescita della spesa sanitaria alla riduzione degli sprechi e la riduzione dei bisogni, con un ampio focus sugli interventi di prevenzione.
Si arriva infine all’undicesimo e ultimo capitolo dove ai lettori viene presentata una linea di confine, ovvero la scelta della società che vogliamo. Perché è vero e fondato tutto ciò di cui si è scritto e dibattuto nei dieci precedenti capitoli, ma alla fine la sostenibilità del sistema sanitaria è una questione culturale e politica. Al riguardo l’Autore cita una famosa dichiarazione di Roy Romanow, presidente della commissione incaricata di predisporre un rapporto sul futuro del Servizio sanitario canadese (2002), che richiamava l’attenzione dei cittadini e dei politici sul fatto che “non vi è alcun standard su quanto un Paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno pertanto il sistema è tanto più sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia”. Ritornando quindi al titolo di questa pubblicazione il problema vero non è tanto la sostenibilità finanziaria, ma la sostenibilità culturale e politica del sistema sanitario e delle politiche di welfare nel loro complesso. La questione rimanda a quale società, e a quale futuro, noi vogliamo.
Il tipo di società a cui guarda l’Autore è ampiamente spiegato nel testo e esemplificato nelle parole che Adriano Olivetti rivolse ai propri dipendenti in occasione del Natale 1955: “(…) E’ altrettanto importante adoperarsi per far sì che la potenza e il potere della fabbrica raggiunti in virtù della dinamica del mondo moderno, siano rivolti oltre che ai fini del vostro benessere, al civile progresso dei luoghi dove siete nati e in cui vivete. Perché a nessuno di noi deve sfuggire un solo istante che non è possibile creare un’isola di civiltà più elevata e trovarsi a noi tutt’attorno e ignoranza e miseria e disoccupazione”.
Ma nell’attuale dibattito politico esiste un’idea di società di segno opposto che “si accompagna al definanziamento del sistema di welfare: quella dell’opting out dal servizio sanitario e dai suoi oneri contributivi da parte di coloro che contraggono un’assicurazione alternativa. Scelta questa che configura non solo un abbandono esplicito della ricerca dell’eguaglianza dei risultati, ma anche della visione liberal, quella di tradizione anglosassone, di eguaglianza delle opportunità, di estensione delle chances di vita dei vincenti a tutti gli altri. Tale proposta politica e finanziaria che si accompagna ad esempio a un’ipotesi di flat tax, intende di fatto cristallizzare normativamente le diseguaglianze, far sì che non si acceda alle stesse prestazioni, non si usufruisca delle stesse tecnologie, non si condivida lo stesso cardiologo oggi e, un domani, lo stesso insegnante nella stessa scuola. Su questo credo che si debba essere chiari e che sia necessario, in altri termini, tracciare una linea di confine”.
Nonostante l’intrinseca complessità dei temi trattati “La sanità sostenibile” si legge con facilità e anche con piacere. E si deve essere grati all’Autore per aver fornito ai lettori una marea d’informazioni utili alla conoscenza e alla discussione in forma chiara e attraente, attraverso un ricco corredo di tabelle, figure e box esplicativi. Con approfondimenti originali come quello intitolato: “Il clavicembalo di Mozart e l’orologiaio di Vienna”. Curiosità? Leggetelo.
Risorse:
• Indice [PDF: 81 Kb]
• Introduzione [PDF: 123 Kb]