La quarta ondata. di Gavino Maciocco

La quarta ondata della pandemia sta confermando l’incapacità dell’occidente nel difendere la salute della popolazione, con alcune differenze sostanziali tra paesi. L’arrivo di una nuova variante dal Sudafrica dimostra ancora una volta che nessuno si salva se non si salvano tutti.

La prima ondata della pandemia di Sars-CoV-2 originata dalla Cina si abbatté come uno tsunami prima in Europa e poi nel resto del mondo a partire da gennaio/febbraio 2020. Dure e prolungate misure di lockdown consentirono di ridurre al minimo la circolazione del virus all’arrivo della stagione estiva. In Europa (perché le ondate di cui stiamo parlando si applicano soprattutto in questa area) ad agosto 2020 sembrava che la pandemia avesse esaurito il suo corso. Sembrava, ma così non era. La ripresa delle attività sociali, lavorative e scolastiche, l’allentamento (o l’abbandono) delle misure di contenimento e di controllo, l’arrivo della stagione autunnale (con l’aumento della vita al chiuso) produssero una rapida, drammatica riaccensione della pandemia.

La seconda ondata ebbe effetti più gravi della prima perché nella circolazione epidemica il virus originario di Wuhan fu sostituito da varianti che provenivano da Sudafrica, Brasile e soprattutto dalla Gran Bretagna. La variante inglese del coronavirus, dotata di una trasmissibilità superiore del 37% rispetto ai ceppi non varianti, divenne rapidamente predominante provocando per questo un forte incremento dei casi di contagio e di decesso.

In Europa il picco dei casi della seconda ondata si registra nei mesi di novembre e dicembre 2020/gennaio 202, quando prende il via la vaccinazione anti-COVID dapprima in Israele e in USA e subito dopo in gran parte dei paesi europei. Anche grazie all’avvio delle vaccinazioni si registra una riduzione nella circolazione della variante inglese (e dei casi e dei decessi), ma la copertura vaccinale nei primi mesi del 2021 è ancora troppo bassa per impedire lo sviluppo di una nuova variante, proveniente dell’India, denominata “Delta” che sosterrà la comparsa della terza ondata.

La variante Delta si dimostra subito particolarmente temibile per alcune caratteristiche: la prima è un minore tempo di incubazione: quattro giorni in media dall’esposizione e non sei, come in passato: la prova che la variante di Delta si replica più in fretta. La seconda è una carica virale fino a 1.260 volte più elevata nelle persone contagiate dalla variante Delta rispetto a quelle colpite dalle versioni originali di coronavirus. In conclusione, la variante Delta del coronavirus –ha una trasmissibilità due volte più elevata rispetto ai ceppi non varianti, ma – aspetto fondamentale – ancora suscettibile all’azione del vaccino.

Le Figure che seguono mostrano per ognuno dei 18 paesi presi in considerazione – in tre immagini sovrapposte – i dati settimanali del numero dei casi di contagio (immagine alta), del numero dei decessi (immagine intermedia) e del numero delle dosi di vaccino somministrate (immagine bassa). Il periodo di osservazione va dal gennaio 2020 al 25 novembre 2021 (fonte: Johns Hopkins Center for System Science and Engineering. Il numero giallo posto all’estremità destra dell’immagine intermedia si riferisce al numero medio di decessi giornalieri per milione di abitanti nella settimana precedente il 27 novembre 2021 (fonte: Worldmeters). Il numero bianco posto all’estremità destra dell’immagine bassa si riferisce alla percentuale di popolazione (sul totale della popolazione) completamente vaccinata al 25 novembre 2021 (fonte: Our World in Data).

La rapida diffusione della variante Delta, che al pari di quella inglese diventa dominante, genera nella primavera del 2021 la terza ondata della pandemiaIn Italia (Figura 1) la terza ondata sembra esaurirsi verso i primi di luglio quando si contano mediamente 750 casi e 15 decessi giornalieri  grazie alla concomitanza di due fondamentali fattori:

  • un crescente livello di copertura vaccinale (con il 44% della popolazione completamente vaccinata e il 60% della popolazione vaccinata con una sola dose, ma con l’88% degli ultra80enni completamente vaccinato);
  • l’arrivo della bella stagione e della vita sociale all’aperto. Nell’intento di rafforzare il livello di protezione collettiva e incoraggiare il ricorso alla vaccinazione alla fine di luglio viene introdotto il Green Pass.

Alla fine di luglio 2021 in quasi tutti i paesi europei si realizza una situazione simile quella dell’anno precedente a conclusione della prima ondata, con minimi livelli di casi e di decessi. Ma con una differenza fondamentale: la disponibilità del vaccino. Se nei primi mesi del 2021 esso veniva dispensato dalle industrie farmaceutiche con ritardi e interruzioni ora i vaccini abbondano mentre si registra un rallentamento della richiesta di vaccinarsi (attribuito alla stagione estiva). Prevale comunque l’ottimismo: con il vaccino i paesi potranno riprendere la vita normale: nelle scuole, nei luoghi di lavoro e in quelli di svago. E i segnali provenienti dall’economia, in decisa ripresa, sembrano confermare.

Tuttavia, già a partire da agosto 2021, in Europa la pandemia riprende vigore: parte la quarta ondata che avrà traiettorie differenti a seconda dei paesi interessati. La diversità delle traiettorie è legata a una serie di variabili.

  1. La prima e più importante variabile è il livello di copertura vaccinale della popolazione. All’inizio della pandemia l’obiettivo per limitare al massimo la circolazione del coronavirus era stato fissato all’80%, ma a causa della maggiore trasmissibilità della variante Delta l’obiettivo viene spostato al 90%.
  2. La durata della copertura del vaccino. Dopo i sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale si osserva una forte diminuzione dell’efficacia vaccinale nel prevenire il contagio, che scende al 50,2% mentre prima dei 6 mesi è in media del 75,7%. Mentre resta alta la protezione dalla “malattia severa”, cioè del rischio di finire in ospedale, che dopo 6 mesi è dell’82,1, mentre prima dei 6 mesi è mediamente del 91,8%. Di qui la necessità di una terza dose di richiamo dopo 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale (dopo 5 mesi negli over40).
  3. L’adozione di misure pubbliche per limitare la circolazione del virus, dall’obbligo dell’uso delle mascherine all’introduzione del Green Pass, fino all’imposizione di chiusure e coprifuochi nelle situazioni ad alto rischio.
  4. I comportamenti individuali per prevenire il contagio.

La quarta ondata è stata affrontata con minori danni per la popolazione dai paesi del sud Europa, in particolare Italia, Francia, Spagna e Portogallo (vedi Figure 1 e 2), dove il numero medio di decessi giornalieri per milione di abitanti nella settimana precedente il 27 novembre è rispettivamente 8, 6, 3 e 9. Gli alti livelli di copertura vaccinale (vedi Spagna e Portogallo) e l’uso esteso del Green Pass (vedi Italia e Francia) sono alla base di questo risultato.

 

Molto peggio vanno le cose nei paesi dell’Europa continentale come Germania, Austria, Olanda e Belgio (Figure 3 e 4) dove la quarta ondata ha fatto registrare un numero di casi giornalieri superiore alle ondate precedenti e dove numero medio di decessi giornalieri per milione di abitanti nella settimana precedente il 27 novembre è stato rispettivamente 21, 39, 18 e 23. Bassi livelli di copertura vaccinale (soprattutto in Germania e Austria) e abbandono di ogni forma di controllo della circolazione del virus sono alla base di questa catastrofe. Lo scorso 26 novembre in Germania si sono registrati dati elevatissimi sia nel numero dei casi (76mila) che di morti (357) con un’incidenza settimanale di casi di 438 x 100mila abitanti (con un picco di 1.100 casi x 100mila in Sassonia): nelle regioni più colpite – Sassonia, Baviera e Turingia – l’esercito è dovuto intervenire per trasferire i pazienti critici nelle terapie intensive di altri Lander. In questi 4 paesi sono state introdotte severe misure di contenimento. In Austria dal 22 novembre è scattato un lockdown per tutta la popolazione e dal 1° febbraio 2022 sarà imposto l’obbligo vaccinale. In Olanda è entrato in vigore un coprifuoco dalle 5 della sera alle 5 del mattino.

 

Se ci spostiamo nell’Europa dell’est e nei Balcani la situazione è ancora più grave. Bulgaria, Romania e Slovenia (Figura 5) presentano insieme a bassi livelli di copertura vaccinale molto elevati livelli di mortalità: il numero medio di decessi giornalieri per milione di abitanti nella settimana precedente il 27 novembre è stato rispettivamente di 126, 59 e 58.  La Russia è un caso singolare nella sua gravità (Figura 6): nonostante abbia prodotto in casa un vaccino (Sputnik V), esportandolo pure, il livello di copertura nazionale è tra i più bassi in Europa (37%) con una mortalità che cresce a ogni ondata, raggiungendo nelle ultime settimane un numero medio giornaliero di 1.250 decessi.

 

Ci siamo più volte interessati al COVID nel Regno Unito (leggi quiqui e qui), perché il governo di Boris Johnson ha ingaggiato con la pandemia una battaglia tutta particolare. Prima la decisione di far dilagare il virus per raggiungere l’immunità di gregge, poi la retromarcia. La variante inglese affrontata con un lockdown durissimo, con la riapertura completa della socialità (nessun Green Pass, neanche le mascherine in metropolitana) di fronte alla variante Delta. Inevitabile l’aumento dei casi di contagio che dal luglio scorso si è mantenuto costante intorno ai 40-50mila casi giornalieri per milione di abitanti (Figura 7). Da allora il paese ha registrato oltre 15mila morti. Di fatto il Regno Unito ha deciso di convivere per mesi con una media di 150 decessi al giorno.  Relativamente bassa la percentuale della popolazione completamente vaccinata (67,7%), ma molto alta – 25% – la percentuale di popolazione che ha ricevuto il richiamo con la terza dose (dietro Israele – 43% – ma davanti agli altri grandi paesi europei – intorno al 10%, come Germania 10,2% e Italia 9,5%). 

La situazione degli USA, rappresentata dalla Figura 8, è alquanto instabile e non coincide con l’andamento delle ondate europee. Nonostante gli USA siano stati tra i primi ad avviare le vaccinazioni, l’attuale livello nazionale di copertura è decisamente insufficiente (57,9%). Colpiscono le differenze tra i vari stati sia in termini di copertura vaccinale che di mortalità: da una parte Vermont e Maine con coperture di 72,6% e 72,1%, dall’altra West Virginia e Alabama con coperture di 41,5% e 45,8%.  I dati ci dicono anche che dove si vaccina di meno si muore molto di più.

Completamente diversa la situazione in Cina e in altri paesi asiatici come Tailandia e Vietnam. La Cina dopo l’esplosione della pandemia nell’inverno del 2020 ha rigorosamente tenuto sotto controllo la circolazione del virus, bloccando le frontiere, attuando un rigoroso monitoraggio e intervenendo con lockdown mirati ogni volta che comparivano anche pochi casi. Come si nota nella Figura 9, la linea epidemica è piatta, nessuna ondata dopo la prima, neppure con la variante Delta. Alto il livello di copertura vaccinale. Un po’ diversa la situazione in Tailandia e Vietnam dove  la variante Delta si è fatta sentire: i due paesi hanno infatti iniziato a vaccinare tardivamente, lo scorso maggio, in concomitanza con l’arrivo della variante dall’India.

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