La paura suscita in genere due possibili e opposte reazioni.
Una è quella della paralisi, si resta immobili incapaci di reagire di fronte alla minaccia con il risultato di diventarne quasi sempre docili vittime.
L’altra è quella della reazione inaspettata, quando, soprattutto se ad essere minacciati sono magari i nostri cari, scopriamo in noi doti di coraggio sconosciute e allora quella reazione può salvarci dal pericolo e in ogni caso non farà di noi vittime docili pronte al macello.
Queste due tipologie di comportamento umano mi sembra possano essere utili per capire quanto sta accadendo a fronte della nuova minaccia proveniente dalla variante “supermutante” Omicron, segnalata e sequenziata per la prima volta in Sudafrica nei giorni scorsi.
La reazione che i Paesi europei, e in generale “ricchi”, hanno avuto è la prima: la decisione di chiudere i collegamenti aerei diretti o indiretti con quella regione del pianeta è infatti figlia della paralisi di fronte al pericolo, sembra una reazione attiva ma in realtà non si discosta molto dal tentativo disperato quanto inutile di chiudere la porta quando i ladri sono già in casa.
Intendiamoci come misura contenitiva quella della chiusura degli accessi e delle porte è prassi ormai consolidata di fronte a un pericolo che viene dall’esterno delle “mura” (lo facevano anche i nostri avi quando c’era la peste) ma oggi, a differenza dei nostri avi, abbiamo a disposizione l’arma per fermare l’invasione e si chiama “vaccino”.
Sappiamo infatti che un’estesa e capillare campagna di vaccinazione globale può fermare il virus creando una barriera planetaria alla sua diffusione e alla sua replicazione, varianti comprese.
Il problema è che, mentre guardiamo ogni giorno ai numeri delle campagne vaccinali nostrane dimentichiamo, o meglio abbiamo messo in un cassetto lontanissimo della memoria collettiva, che i virus, per quanto ci si possa barricare in casa, non temono cancelli o green pass, prima o poi passano.
E così, preoccupati giustamente del fatto che qui nella UE non ci si riesce a schiodare da quel 70% o giù di lì di popolazione europea vaccinata, temendo giustamente i pericoli di quel 30% non vaccinato, facciamo finta di non ritenere sia anche un nostro problema il fatto che nei paesi poveri del mondo solo il 5,7% della popolazione (Our World in Data di oggi) abbia ricevuto una prima dose di vaccino e questo non perché da quelle parti siano più no vax di noi ma perché non hanno i soldi per comprarseli i vaccini.
Nei mesi scorsi, a più riprese, su spinta in primis proprio del Sudafrica e dell’India, si è provato a far passare al WTO (l’organismo mondiale di governo del commercio) la proposta per applicare un articolo di un trattato commerciale internazionale (approvato anni fa da tutti gli stati membri) che prevede la possibilità di ottenere dalle aziende farmaceutiche la licenza obbligatoria per consentire la produzione pubblica di farmaci salvavita, come in questo caso sono i vaccini per il Covid, in caso di emergenze sanitarie. E penso che nessuno possa sostenere che la pandemia Covid non lo sia.
Ebbene, reiteratamente, questa proposta è stata respinta in nome della libertà e salvaguardia della proprietà intellettuale e dei suoi profitti privati.
E questo nonostante quanto previsto da quell’articolo del WTO sia tutto tranne che un esproprio proletario, infatti quelle licenze obbligatorie sarebbero ben pagate e sarebbero solo temporanee fino al termine dell’emergenza, senza contare la quantità immensa di denaro pubblico che le aziende hanno già ricevuto per la ricerca e che stanno ricevendo ormai da un anno per l’acquisto di miliardi di dosi di vaccino.
Ecco, ora, di fronte alla paura per questa nuova variante “supermutante”, la speranza è che accanto alla paralisi (chiusura delle porte) scatti nei nostri governanti l’altra reazione, quella del coraggio, imponendo a big pharma l’applicazione di quell’articolo e ottenendo finalmente che i brevetti per questi vaccini siano patrimonio dell’umanità (per altro pagato profumatamente) come doveva essere fin dall’inizio.
fonte: Quotidiano Sanità