Il lavoro di qualità, ben retribuito, è essenziale per l’autonomia. Vorremmo poter festeggiare gli uomini che si interrogano sulla loro mascolinità, sul possesso, sulla complicità. Uomini che si mettono in discussione.
La violenza maschile contro le donne non è un’emergenza, è un fenomeno strutturale, che genera un’asimmetria di genere sistemica nelle nostre società. Questa consapevolezza è la lente con cui osservare come si celebra il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne. Perché in questi giorni molti e molte prenderanno parola e parte al dibattito pubblico, moltiplicando promesse di impegno, provvedimenti che improvvisamente a novembre diventano necessari e urgenti. Un’urgenza che porta con sé l’idea di emergenza: facciamo subito “delle cose”, che così sconfiggeremo il fenomeno, invece i numeri e l’analisi prodotta dalla Commissione Femminicidio ci dicono che non abbiamo davvero scalfito il fenomeno, nonostante i tanti provvedimenti.
La maggior parte delle donne molestate, che subiscono violenza, non denunciano, non raccontano, tengono per sé; questo ci dice l’analisi basata sui documenti giudiziari del 2017 e 2018. Per un verso non è una notizia, per un altro dovrebbe permetterci di uscire dalla ripetizione delle frasi sul silenzio, la reticenza, affermazioni che alla fine sottintendono la “colpa” delle donne che non denunciano. Non si può reagire con la colpevolizzazione, e nemmeno tacere del silenzio delle donne vittime di femminicidio, del silenzio delle donne di ogni età che tacciono e nascondono molestie, violenze, abusi nel contesto familiare e o amicale, come nei luoghi di lavoro.
Ma siamo davvero certe e certi del perché del silenzio? Ancora siamo sicure che quello che manca siano nuove leggi, nuovi codici, nuove pene? Questo approccio dimostrerebbe da un lato che scommettiamo sulla fiducia nelle istituzioni, o meglio sulla capacità di rispondere delle istituzioni e che le risposte date finora siano quelle giuste e necessarie. Purtroppo le cronache di questo giorni, come l’analisi delle carte giudiziarie, non inducono all’ottimismo, si può dire che la fiducia nelle giuste reazioni delle istituzioni, negli interlocutori, nella capacità di leggere i segnali è difficile da praticare.
Non credo che siano necessari nuovi codici, pene, leggi, serve applicarle a partire dalla Convenzione di Istanbul e dalla Convenzione 190 dell’Ilo; ma se non si va alla radice, all’origine del fenomeno, non si faranno davvero passi avanti. L’origine non è la mancanza di parità, quelle è la conseguenza, l’origine è l’asimmetria di potere.
Semplificando: l’asimmetria di potere tra donne e uomini è strutturata socialmente, è il patriarcato, è quella “consuetudine”, educazione, quell’apprendimento per cui la scena pubblica è dell’uomo, la casa, il focolare della donna, per cui è “legittimo” pensare che le donne siano proprietà di, non soggetti autonomi, ma appendici. L’asimmetria è quella per cui essere uomo bianco è condizione di privilegio, anche se per primi gli uomini lo negano e non lo vedono.
L’asimmetria è quella per cui la parola femminile non è autorevole, e spesso anche chi, uomo, in questi giorni condividerà questa affermazione non coglierà la sua condizione di privilegio. Spesso rispondiamo con l’affermazione: è un problema di “cultura”. Vero ma non sufficiente, in particolare parlando di violenza. Certo siamo ben lontani da quella necessità di formazione ed educazione al rispetto, al valore della diversità, all’affettività. Siamo tutte e tutti impregnati di pregiudizi e di stereotipi e li riproduciamo in continuazione.
L’intervento di Susanna Camusso a Smolestiamo
Molto si potrebbe, smettendo di subire quel vento di destra che, dietro l’aggressione al termine gender, nasconde l’offensiva per il ritorno alla famiglia tradizionale e unica, con ruoli precisi come hanno urlato dal congresso delle famiglie, ma come praticano nei Paesi dove governano. Riprendere coraggio e passione per i diritti universali, per la libertà di essere: uscire dalla logica che i diritti di qualcuno escludono quelli di altre o altri. Certo questa è la cultura che vorremmo, ma mi permetto di dire che non basta.
Potrei qui descrivere perché il lavoro di qualità, ben retribuito, scelto, sia per esempio essenziale per l’autonomia e quindi per non subire una condizione asimmetrica. Invece concluderei con il tema a mio avviso fondamentale che è dare senso alla richiesta che il contrasto alla violenza maschile contro le donne non sia agito solo dalle donne, ma anche dagli uomini. Vorrei dire: soprattutto dagli uomini, dal versante del carnefice. non della vittima.
Abbiamo salutato con piacere gli uomini che ci mettono la faccia. Vorremmo poter festeggiare gli uomini che agiscono, che non commentano e osservano ma capiscono che la violenza sarà sconfitta quando si saranno interrogati sulla loro mascolinità, sul possesso, sulla complicità. Uomini che partono da sé, e non dal racconto. Che si mettono in discussione, che iniziano un percorso che immagino faticoso e impegnativo. Che non si nascondono, che sanno di essere comunque coinvolti, anche se non hanno mai agito comportamenti indesiderati. Sono, purtroppo, pochi. Il desiderio è che la parola pubblica del 25 novembre diventi l’occasione per riconoscersi coinvolti.
Susanna Camusso, responsabile delle politiche di genere della Cgil
FONTE: Collettiva
Foto: Simona Caleo