Gli arrivi dalla rotta orientale sono aumentati negli ultimi mesi. E i migranti si ritrovano ancora una volta ostaggi in una crisi tra la Ue e un regime autoritario ai suoi confini. Il problema è la politica migratoria che ha reso l’Europa una fortezza.
Gli arrivi dalla rotta orientale
Negli ultimi anni, la maggior parte dei migranti è arrivata in Europa partendo dalle coste del Nord Africa e passando per il Mediterraneo, per approdare in Spagna, Italia o Grecia (figure 1a-1b). A partire dall’inizio dell’estate, però, ha acquisito sempre più rilevanza mediatica la cosiddetta “rotta dei confini orientali”, finita al centro del più ampio conflitto diplomatico tra Unione europea e Bielorussia.
Secondo i dati di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, dal 2016 al 2020 c’è stata una media di 74 arrivi al mese tramite la rotta orientale. Da gennaio a settembre 2021, il valore medio è salito a 720, in particolare a causa di un’impennata di arrivi a partire da aprile; il massimo è stato raggiunto a luglio, con 3.234 ingressi (figura 1c). I dati di Frontex, però, considerano come distinti anche più tentativi di ingresso da parte della stessa persona, per cui parte dell’aumento potrebbe essere dovuto ai ripetuti tentativi di chi sia stato respinto.
Si tratta di un aumento considerevole, ma i numeri sono lontani da determinare una “crisi”, come quella avvenuta a cavallo del 2015 (figura 1c). Sempre secondo i dati di Frontex, nel 2021 ci sono stati 5.425 arrivi al mese tramite la rotta mediterranea centrale (quella che arriva in Italia), 1.465 al mese tramite quella orientale, 1.466 al mese tramite l’africana e 4.364 al mese tramite la via balcanica. I confini orientali si possono quindi qualificare come una rotta minore, nonostante l’aumento relativo della pressione migratoria (figura 2).
Quanto alla provenienza, il gruppo di migranti più numeroso (circa il 60 per cento) sulla rotta orientale proviene dall’Iraq, seguito da Afghanistan e Siria (figura 3). Ciò non è sorprendente in quanto si tratta di paesi relativamente vicini, ormai da anni lacerati da conflitti armati e da cui le persone cercano disperatamente una via di uscita. La provenienza dei migranti è simile alla rotta del Mediterraneo orientale, mentre i primi tre paesi di origine di coloro che nello stesso anno hanno attraversato la rotta del Mediterraneo centrale sono diversi: Tunisia, Egitto e Bangladesh. A riprova del fatto che il costo di migrare lungo rotte irregolari che si aprono a seconda di shock geo-politici conta.
Scenari già visti
Il regime di Lukashenko è accusato di favorire l’arrivo da questi paesi di migranti che poi spinge verso il confine europeo, con l’intento di “ricattare” l’Unione. La Bielorussia avrebbe facilitato le procedure per il rilascio di visti turistici a cittadini di paesi mediorientali e aumentato i collegamenti aerei con quei paesi, favorendo un sistema che, tramite forze dell’ordine e gruppi criminali di trafficanti, conduce i migranti al confine con la Polonia. Ma Varsavia li respinge, anche con la violenza, impedendo loro di chiedere asilo e contravvenendo quindi al diritto internazionale. Si tratta dunque di una crisi politica, più che migratoria, fra l’Ue e un dittatore ai suoi confini, in cui intere famiglie con bambini vengono usate come ostaggi nel freddo di una frontiera.
Purtroppo, è uno scenario già visto nell’Unione, anche se nessuno vorrebbe abituarsi a immagini di disumanità che si ripetono sistematicamente sui confini di una regione del mondo ricca, civile e avanzata. Scene brutali di donne, uomini e bambini che vengono respinti o che perdono la vita ai confini dell’Europa sono all’ordine del giorno nel Mediterraneo centrale, ma le abbiamo viste anche lungo la rotta occidentale, quella balcanica e sulle coste della Grecia e della Turchia. Sono rotte spesso “presidiate” e “sfruttate” da regimi autoritari di paesi terzi che, in collaborazione con i trafficanti, trasformano i migranti in un business ed entrano in trattativa con l’Unione europea: basta pensare agli accordi con Gheddafi, con la Libia del post-Gheddafi e con Erdogan. In nome del contenimento dei migranti, l’Unione europea dà credito a paesi terzi (in senso non solo figurato) per il controllo dei flussi, chiudendo gli occhi sui diritti umani e sul diritto di asilo.
La politica migratoria e di asilo in Europa negli ultimi anni si è tradotta pressoché esclusivamente in spese per la messa in sicurezza e l’esternalizzazione dei confini. Le risorse investite nella protezione dei confini europei ammontano al 2,1 per cento del budget pluriannuale 2021-2027, una quota in aumento rispetto al periodo precedente. I nuovi fondi vanno in misura preponderante alle agenzie decentralizzate che si occupano dei confini, le cui risorse sono salite da 2,7 a 10,6 miliardi di euro (+289 per cento). Analogamente, nell’ultimo decennio le risorse assegnate a Frontex sono aumentate quasi ogni anno, passando dai 118 miliardi del 2011 ai 460 del 2020 (+290 per cento), con un’accelerazione nel 2020.
Una politica restrittiva e “securitaria”, tuttavia, si espone inevitabilmente al rischio del ricatto lungo i confini europei. E consegna la grande domanda di mobilità esistente sul fronte meridionale del continente nelle mani criminali dei trafficanti, che fanno profitti. L’Europa non riesce a vedere oltre la sua “fortezza”, mentre appena fuori c’è un semicerchio di guerre, conflitti, tensioni, ma anche l’inarrestabile globalizzazione e crescita, che porta con sé una forte richiesta di mobilità e di scambio. La mobilità è un valore che può aiutare a creare equilibri più stabili, ma coloro che vorrebbero migrare e condurre una vita migliore continuano a trovare davanti a sé muri di disumanità, sempre più alti.
fonte: lavoce.info