Stefano, innanzitutto raccontaci perché il rugby in carcere.
In generale il rugby, in quanto sport di alta disciplina e di valori particolarmente forti, aiuta ad affrontare le cose della vita in modo appropriato. Nelle dinamiche di squadra si cementano rapporti interpersonali ed una propensione all’impegno sociale di riguardo.
A maggior ragione, avvicinare a questa disciplina sportiva ed alla sua pratica persone che pagano i loro errori con la privazione della libertà aiuta a migliorarsi.
L’obiettivo non è tanto formare dei campioni, ma, attraverso questo strumento, costringerli a misurarsi con regole e sentimenti che magari non conoscono, e che magari sono quelli che ne hanno determinato i guai.
Diventare squadra, condividere un obiettivo, ragionare con il noi, superare l’indisciplina nei reparti con un maggior uso dell’autocontrollo, accogliere la sfida con spirito sportivo, fare del sostegno al compagno un modo diverso di affrontare le difficoltà, produce in tempi sensibilmente brevi un cambio di atteggiamento nella vita reclusa.
Quando avete proposto il progetto ai detenuti come hanno reagito? Quante adesioni ci sono state?
Avuto il placet dall’Istituto abbiamo costruito un gruppo di volontari durante l’estate che garantisce continuità (elemento determinante) e qualità professionali.
Questi nuovi volontari hanno accolto la mia proposta con un vero entusiasmo che si va consolidando con l’andare del tempo. Sono rugbisti con differenti esperienze, giocatori, arbitri, preparatori tecnici che hanno messo nel progetto la loro professionalità, ed il cuore.
Il lavoro è cominciato a metà settembre con un incontro generale in sala teatro, dove abbiamo illustrato il progetto. Da subito abbiamo avuto oltre 40 adesioni che hanno dovuto superare gli esami sanitari. Ad oggi abbiamo una trentina di detenuti provenienti da numerose nazionalità, che portiamo in campo due volte alla settimana per 2 ore alla volta; stiamo valutando la compatibilità con i vincoli dell’Istituto di potere incrementare con una nuova sessione e con una giornata di tecnica in sala.
Le nostre richieste sono al vaglio della Direzione ma siamo sulla buona strada. Abbiamo già stabilito un buon rapporto con il personale civile (educatori e psicologi) e stiamo progressivamente avendo buoni riscontri dal personale di Polizia Penitenziaria in ansia per una grave carenza di personale. Stanno comprendendo che il nostro ruolo è proprio nel segno dell’Articolo 27 della nostra Costituzione e lo sentono come supporto, se si diffonderà questa sensazione avremmo fatto bene.
Vi siete iscritti o pensate di farlo ad un campionato?
Tutti i nostri ragazzi non hanno mai visto un pallone da rugby, salvo due, uno che era rugbista di una vicina squadra ed un secondo che ha giocato con il Giallo Dozza. Si può ben capire che, al di là della mancanza delle strutture tecniche (panchine, porte, spogliatoi) che con qualche aiuto economico realizzeremo, siamo molto indietro tecnicamente, ma confesserò che ci stiamo seriamente pensando per il prossimo anno. Devono mettersi in fila numerose cose e non tutte dipendono da noi.
Qual è il supporto che la Federazione Italiana Rugby dà a queste esperienze?
La Federazione ci ha supportato con grande lena per tutte le pratiche associative e l’affiliazione. Purtroppo la nostra recente nascita ci impedisce di partecipare a bandi ma siamo in attesa di materiale tecnico di cui necessitiamo come l’aria. Intanto utilizziamo quello che abbiamo avuto in dono dai colleghi del rugby nel carcere di Pesaro; le nostre risorse dipendono da un sponsor appassionato, ma sono limitate.
In conclusione, le cose si stanno mettendo bene, confidiamo che con l’arrivo dei primi freddi non si disperdano le truppe e che, soprattutto, non ci siano recrudescenze nella diffusione del Virus.
fonte: CILD Intervista di Andrea Oleandri: “Stefano Cavallini lo abbiamo incontrato qualche anno fa a Roma, Presidente del Giallo Dozza, squadra di rugby nata tra le mura del carcere di Bologna a cui avevamo assegnato il Premio CILD per le Libertà Civili per questo impegno nel contribuire a costruire una seconda chance per chi si trovava in carcere.
Di questa esperienza Stefano ci aveva parlato anche in uno dei video realizzati nell’ambito della campagna Amarsi un po’. Oggi torniamo a parlare con lui, invece, per raccontare un altro progetto che lo vede protagonista: Rugby 27, la squadra composta dai detenuti del carcere di Ferrara”.