Dopo il 41 bis, l’internamento. Alegher. di Michele Passione

Con la sentenza N. 197/21 (interpretativa di rigetto e dunque vincolante solo per il Giudice a quo, malgrado l’autorevolezza della fonte), la Corte costituzionale ha ritenuto legittima l’applicazione del regime differenziato del 41 bis o.p. nei confronti degli internati, sottoposti alla misura di sicurezza della casa lavoro dopo aver completamente espiato la pena. Per ragioni di sintesi, riservando ad altre sedi una più ampia analisi del provvedimento, ci si limita qui a riproporre il cuore della questione.

La Cassazione aveva posto la questione di legittimità alla Corte costituzionale sulla base del seguente argomento: l’applicazione della misura di sicurezza della casa di lavoro dopo l’espiazione della pena, eseguita con la sospensione delle regole trattamentali prevista dal 41 bis (quindi senza poter godere della liberazione anticipata, delle licenze finali di esperimento e della semilibertà) darebbe luogo ad un trattamento sostanzialmente punitivo (un raddoppio di punizione), che impedisce la rivalutazione della pericolosità sociale (e dunque l’eventuale revoca della misura), e nega la valenza rieducativa della misura.

Ancora la Cassazione, nel sollevare la questione, aveva richiamato la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani (sentenza M c. Germania) secondo la quale la misura di sicurezza, proprio in ragione del concreto trattamento offerto ai soggetti interessati, “deve essere considerata una pena” a certi fini, in particolare per ciò che attiene al principio di legalità.

La Corte costituzionale si mostra di altro avviso, sostenendo che la posizione della Cassazione si fondi su un’erronea interpretazione. Secondo la Corte, infatti, gli internati sottoposti al 41 bis non devono essere necessariamente assoggettati a tutte le restrizioni predisposte da detta disciplina (lettura che la Consulta definisce tuttavia “plausibile”).

A giudizio della Corte, invece, il provvedimento ministeriale di applicazione del regime implica per gli internati solo “le restrizioni necessarie”, anche per salvaguardare “l’indispensabile finalizzazione rieducativa delle stesse misure di sicurezza”.

La Corte richiama il suo precedente n. 376/97, con il quale si era affermato che il regime differenziato non può mai neutralizzare l’obbligo costituzionale all’individualizzazione del trattamento, ma pur riconoscendo che da allora la disciplina speciale è stata persino inasprita ritiene che l’attuale comma 2 quater riservi agli internati dei residui spazi di fruibilità di trattamento, e che “le restrizioni [ex 41 bisdevono adattarsi nei limiti del possibile alla necessità di organizzare un programma di lavoro” (pur tenendosi conto della ridotta – per usare un eufemismo – mobilità e socialità degli interessati).

Nei limiti del possibile. Un inciso davvero inquietante.

Di più, la Corte aggiunge che in caso di eventuale cessazione della pericolosità il Giudice di sorveglianza “dovrebbe” interrompere la misura.

Fermiamoci, con qualche domanda.

Può una Corte (sempre più dei Diritti) limitarsi all’ipotesi affidata al condizionale e ai limiti del possibile?

Perché anche qui non si è attivato il previsto potere istruttorio (come per le liste di attesa in Rems) per verificare lo stato dell’arte, visti i numeri risicatissimi di interessati?

Se è vero come si afferma che sussiste “il dovere e il potere dell’amministrazione di dare concreta attuazione all’attività che caratterizza la misura di sicurezza della casa di lavoro” si dovrà utilizzare il reclamo di cui all’art.35 bis per ottenere che questo Diritto sia rispettato.

Una rosa è una rosa è una rosa; perché l’insistita affermazione di principi non diventi ambigua, una diafora, occorreranno occhi ben attenti.

Nel frattempo, la Società della Ragione ha pronta una proposta di rimedio radicale che sarà presto presentata in Parlamento per abolire il doppio binario e le misure di sicurezza.

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fonte: FUORILUOGO

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