Durante la pandemia la digital health ha fatto passi da giganti. Ma, anche se la strada della telemedicina è tracciata, ancora il percorso è lungo. Intanto è giunta l’ora di definire potenzialità e limiti dell’uso degli strumenti di digital health.
Sono ormai numerose le tecnologie biomediche (strumentazione biomedica e applicazioni software) dedicate alla telemedicina. Si tratta di soluzioni che presentano un rapporto costo/beneficio più che ragionevole e in grado di rispondere in modo positivo e decisivo alla questione posta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ma non basta.
L’OMS, infatti, ha affermato che è elemento ineludibile – per efficacia, efficienza e qualità assistenziale – il principio della continuità di cura per ogni cittadino/malato. E ha illustrato le autentiche finalità della telemedicina, alla luce anche della lezione che ha impartito la pandemia.
Telemedicina e continuità di cura
La continuità di cura significa:
- assistenza integrata alla persona, secondo la dimensione di continuità geografica sulla terra, in mare e in cielo;
- continuità come integrazione cooperativa dei diversi livelli di cura: cura primaria (in Italia, sul territorio, i medici di Medicina Generale), ospedali, istituzioni per cure specialistiche quali IRCCS, cure domiciliari (homecare).
A livello internazionale, assicurare il principio di continuità di cura a livello geografico è garantito grazie al ricorso alla telemedicina.
Invece, l’offerta di continuità di cura, in merito alla questione cruciale della cooperazione e integrazione fra i diversi livelli di cura, resta un “nervo scoperto” rilevante – per ragioni diverse e non certamente ascrivibili ad aspetti tecnologici -, emerso proprio nel corso della pandemia in corso.
Nella UE e in Italia, in particolare, non sono stati messi a frutto i lungimiranti investimenti della Commissione europea nei diversi programmi di R&D su Healthcare Telematics, a partire da fine anni ’80.
Oltre vent’anni di progetti avevano portato a una chiara conclusione: bisogna focalizzarsi sull’integrazione dei livelli di cura e, in particolare, sull’homecare. Significa che è possibile rendere sostenibile – e dunque trasformarlo in atto concreto – il principio di continuità di cura secondo la definizione dell’OMS.
Le finalità della digital health
La finalità della telemedicina non consiste tanto e non solo nel trasmettere informazioni a distanza (realtà disponibile da Guglielmo Marconi in poi), quanto nel mettere a punto cooperative work di attori diversi del mondo della sanità per far fronte alla crescente complessità delle diverse patologie attuali: da quelle più diffuse e gravi (malattie cardiovascolari, neoplasie, malattie neuro-degenerative) a quelle, pur sempre gravi, definite come “orfane” (le malattie rare).
La storia del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in Italia
In Italia, abbiamo il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), in vigore dal 23 dicembre 1978 con l’approvazione della legge n. 833: un sistema di strutture e servizi che garantisce a tutti i cittadini prestazioni sanitarie.
La sua introduzione, in quegli anni, indusse il governo dell’epoca a varare diverse delibere CIPE, supportate con grande chiaroveggenza, fra gli altri, da Ugo La Malfa, volte a finanziare in modo cospicuo il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) per i suoi Progetti finalizzati tecnologie biomediche (I e II), guidati dal professor Luigi Donato.
Al di là dei risultati tecnologici in senso stretto, i Progetti finalizzati tecnologie biomediche (I e II) produssero un salto di qualità a livello formativo per i giovani: l’istituzione dei primi corsi di laurea in Ingegneria biomedica a ciclo unico (al Politecnico di Milano e all’Università degli Studi di Genova), a partire dal 1995.
Tutto ciò rispondeva, dunque, a un disegno completo e sistematico:
- l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN);
- la necessità di progettare e sviluppare tecnologie biomediche mediante il finanziamento del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR);
- la conseguente istituzione dei primi corsi di laurea in Ingegneria biomedica a ciclo unico, per formare le risorse umane capaci di impiegare le tecnologie biomediche sviluppate.
Così il SSN (compresa la sanità privata), nel tempo, è stato in grado di mantenere invariati i principi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità. Ha contribuito a mettere in pratica questi principi anche l’introduzione di diverse soluzioni tecnologiche a complessità crescente, usate per prevenzione, diagnosi e cura, considerate stato dell’arte dalla comunità medico-scientifica di tutto il mondo.
La sfida della telemedicina tricolore
Fin dagli anni ‘90, l’Italia ha principalmente utilizzato la telemedicina come strumento per garantire la continuità della cura, nell’area dell’emergenza con la progressiva istituzione del 118 (oggi numero unico 112), a livello regionale, e in quei casi di necessità di coinvolgimento del soccorso aereo, marittimo, terrestre.
Ma una forte opposizione culturale delle diverse comunità e specializzazioni mediche ha ostacolato la diffusione sul territorio della continuità della cura a disposizione del SSN per erogare servizi sanitari al cittadino e al malato in condizioni di elezione.
Solo l’emergenza ha permesso di abbattere l’opposizione culturale degli operatori sanitari, opposizione che, attualmente, persiste e contribuisce a mantenere confusione quando si parla di telemedicina. Eppure è chiaro da decenni cosa andrebbe fatto.
Per evitare facili obiezioni, mettiamo in chiaro due concetti: il medico resta il detentore della responsabilità prima della cura del paziente che a lui si affida; e il rapporto fiduciario medico-paziente continua a essere il centro di tutto il sistema.
È pericoloso e scorretto che una persona con un qualunque sintomo possa avere quale sostituto
del medico un chabot guidato da algoritmi di AI (magari figli di esperienze diverse di medici super-esperti) come prima interfaccia.
Il motivo è semplice: ogni patologia è un unicum (vedi medicina personalizzata) e, come tale, soltanto il rapporto fisico con anamnesi in presenza è in grado di inquadrare un dato caso clinico, soprattutto nelle decisive fasi iniziali, nel modo più appropriato.
Tutto ciò non deve però togliere valore al ruolo della telemedicina: dal lato del medico, come sistema di supporto alle decisioni; e dal lato del paziente, soprattutto nelle fasi di inquadramento della situazione, di monitoraggio e di integrazione fra i diversi livelli di cura, a casa del paziente in particolare.
Conclusioni
Come a fine anni ’80, in Italia sarebbero necessari una visione e un progetto completo di grande portata per evolvere nella direzione giusta. Ma ancora non si vedono all’orizzonte, nonostante l’esperienza della pandemia.
In molti paesi industrializzati, in particolare negli Stati Uniti, la recente pandemia ha aiutato a rivalutare l’utilizzo, nel campo della salute pubblica, della telemedicina in senso proprio.
L’impossibilita di avere contatti in presenza ha infatti creato l’opportunità di considerare la telemedicina come uno strumento per poter continuare a erogare servizi di diagnostica e cura a distanza.
La telemedicina – usata in senso proprio e consapevole – può trasformarsi da strumento per garantire continuità di cura a strumento per aiutare a garantire la cura.
Cittadini che risiedono in località isolate, rurali o lontane da centri ospedalieri, anziani con difficoltà di movimento, lavoratori con orari poco flessibili, pazienti con casi patologici rari o cronici: sono i soggetti che, nel rispetto della privacy, potrebbero fin da oggi ricevere aiuto da personale medico specializzato collegato con applicazioni video-audio, già disponibili sul mercato. Il tutto, senza intaccare l’insostituibilità del ruolo di responsabilità del medico curante e del rapporto fiduciario fra il medico e il paziente che gli affida la propria salute e la propria vita.
fonte: https://www.agendadigitale.eu/sanita/telemedicina-continuita-di-cura/