Longevità, il segreto del Costa Rica. di Claudia Cosma, Giulia Ciardi

Perché i costaricani (con un reddito annuo pro-capite di 12mila dollari) sono più longevi degli americani (che hanno un reddito pro-capite di 63mila dollari).

Agli albori degli anni ‘50 gli Stati Uniti si presentavano, agli occhi di un qualsiasi osservatore, con le tipiche caratteristiche attese in una superpotenza: un peso geopolitico preponderante, una ricchezza nazionale in straordinaria ascesa per una fase di crescita senza precedenti e un’aspettativa di vita, per gli standard dell’epoca, da primato: 68 anni.  Svariati gradi di latitudine a Sud, una piccola repubblica centroamericana – il Costa Rica, in un quadro decisamente più gramo stava fronteggiando una quotidianità scandita dalla povertà e dalla sua terribile sorella, la nera mietitrice che si portava via in egual misura ogni giorno adulti e bambini inchiodando l’aspettativa di vita a soli 55 anni.

Già nel 1985, tuttavia, arriva il dato che non ti aspetti: il Costa Rica eguaglia gli Usa in termini di longevitàPassano altri 35 anni e il rovesciamento si completa. Mentre in America, dopo un picco di 79 anni registrato nel 2014 l’aspettativa di vita inizia a contrarsi, i costaricani raggiungono il traguardo di 81 anni. Nel frattempo San José, pur vivendo decenni di stabilità e di collaborazione fra le due fazioni politiche di riferimento (il Partito di liberazione nazionale, di tendenze centriste e socialdemocratiche, i partiti conservatori e cristiano-sociali), è reduce da buone performance di crescita economica ma al termine del periodo, ovvero nel 2020, può farsi gloria di un Pil pro-capite ancora modesto: 12.076 dollari a prezzi correnti, contro i 63.543 dollari registrati negli Usa. Reddito e aspettativa di vita che negli anni ’50, come abbiamo visto, andavano strettamente a braccetto si separano. Rompendo, per ragioni e traiettorie opposte, una regola che da sempre e pressoché ovunque le interpreta quasi come premessa l’uno dell’altra.

Cosa ha sconvolto l’apparentemente incrollabile correlazione fra le due grandezze? A fare chiarezza su questo paradosso è un lungo reportage sulla rivista The New Yorker[1] di un acclamato medico e pubblicista, Atul Gawande, che racconta l’eccezione costaricana partendo dal fautore del suo sistema sanitario: Alvaro Salas Chaves. Medico dal 1970, dopo le prime esperienze in una public health unit nel villaggio poverissimo di Nicoya e impegni internazionali, negli anni Novanta si trova a guidare gli indirizzi politici del Caja, l’agenzia di governo che sovrintende alla rete ospedaliera, e qualche anno dopo viene nominato a capo dell’organismo guadagnandosi il rispetto e la designazione di due presidenti di schieramenti politici opposti. In questa posizione redige un piano in tre punti che ridisegna il sistema: aggrega i servizi di igiene e salute pubblica alla gestione di ospedali e cliniche, creando le basi per un sistema nazionale a copertura universale, valorizza milioni di dati sulle condizioni di salute di famiglie e comunità locali per fissare obiettivi e priorità da raggiungere, assegna ogni cittadino alla vigilanza costante di un Ebais” (team di cure primarie composto da un medico, un infermiere e un assistente tecnico “Atap”). Visto che le finanze della repubblica non abbondano di dobloni, Salas è costretto a negoziare un finanziamento con la Banca Mondiale. Riesce a spuntarla e a far partire il progetto che, dato non insolito per la politica costaricana, ottiene il consenso unanime del Congresso locale dimostrando ancora una volta la sua caratura bipartisan.

Non si tratta precisamente di una rivoluzione. Il modello disegnato da Salas si inserisce in un sistema sanitario che ha scommesso sin dal secondo dopoguerra nella centralità della salute pubblica e nel ruolo della medicina di base per migliorare le condizioni di vita. I servizi sanitari, in base al rito sanjosefino, devono essere tarati sui bisogni che emergono dalle comunità nel loro complesso, prima ancora che su quelli dei singoli pazienti.

Il Costa Rica comincia così a distinguersi negli anni ’50 e ’60 lanciando un ampio programma di sanificazione, di introduzione dell’acqua potabile che porta a stroncare gli alti tassi di poliomielite, di parassitosi, malattie intestinali e di altre infezioni che imperversano nelle aree rurali del Paese. I rapporti diplomatici tradizionalmente buoni con gli Stati Uniti consentono, inoltre, di intercettare i fondi dell’amministrazione Kennedy per sostenere campagne di vaccinazione e un programma ad hoc contro la denutrizione nei bambini. Nello stesso periodo il ministero della Salute dota ogni comunità di fondi e staff per prevenire focolai di infezione, malnutrizione e problemi sanitari in generale: nascono così vere e proprie unità di salute pubblica che iniziano a lavorare in parallelo con i servizi clinici. Lo strumento è ancora da affinare, ma consente al Paese di andare a caccia dei guai prima ancora che possano trasformarsi in emergenze da gestire tramite le poche risorse ospedaliere disponibili. I risultati arrivano e la repubblica costaricana riesce a distinguersi nettamente dal resto dell’America Latina. Un dato su tutti: la mortalità infantile a un anno di età scende dal 7% nel 1970 al 2% nel 1980.

Il resto lo fa Salas con la sua riforma: gli “Ebais” diventano molto popolari ed entro il 2006 il servizio viene esteso a ogni cittadino. Cruciale è la figura dell’Atap” , l’assistente tecnico per le cure primarie che, adeguandosi alla frastagliata morfologia del Paese, si muove a seconda delle necessità in scooter, barca o a cavallo, e garantisce un numero di visite domiciliari all’anno congruo alle condizioni dei pazienti: tre per anziani soli, disabili e pazienti cronici, due per i pazienti con rischi moderati, una per tutti gli altri. Ne deriva anche una raccolta capillare di informazioni che confluiscono in file elettronici, uno per ciascuna famiglia. La mole di dati si fa imponente e consente di raccogliere indicazioni molto salienti sugli stili di vita delle famiglie, di aggiustare i trattamenti. Grazie alla loro inesauribile versatilità, gli Atap diventano decisivi per la campagna di vaccinazione anti-Covid, iniettando i preparati agli anziani.

D’altra parte, la relazione con la comunità e non solo quella fra medico e paziente deve essere la priorità, un punto che non manca di segnalare Carolina Amador direttrice sanitaria dell’area di Atenas e supervisore di sette team Ebais”.  È la traduzione nel lavoro di gruppo, a ben vedere, del principio ispiratore della sanità costaricana: cure individuali e salute pubblica sono un tutt’uno. Tale approccio, pur sacrificando lo sviluppo di cure e prestazioni diagnostiche più specialistiche, ha portato le risorse a concentrarsi laddove più urgenti riducendo così del 94% i decessi collegati a malattie trasmissibili e a migliorare lo stato di salute in ogni gruppo demografico. Il tasso di mortalità fra gli over 50 e gli over 60 pertanto è sceso all’8,7% in Costa Rica contro l’11,2% degli Stati Uniti. Un sessantenne costaricano, analogamente, sopravvive in media 24,2 anni contro i 23,6 anni del suo omologo americano.

Una conferma della distanza delle performance è arrivata durante l’emergenza Covid, durante la quale i vasi comunicanti del sistema del Costa Rica hanno consentito un buon coordinamento del tracciamento dell’epidemia, laddove invece negli Usa la storica separazione fra la branca della salute pubblica e la rete ospedaliera ha comportato una rincorsa continua e sempre in ritardo rispetto al virus finanche in termini di dispiegamento dei tamponi.

Gli Stati Uniti, in fondo, pur spendendo una quantità di denaro molto più rilevante in sanità sia in termini assoluti (10.948 dollari a parità di potere d’acquisto rispetto ai 1.599,8 del Costa Rica nel 2020) che relativi (16,8% del Pil contro 7,3% nel 2019)[2], lamentano soprattutto i sintomi di una comunità meno coesa: l’1% più ricco ha dunque un’aspettativa di vita fra i 10 e i 15 anni superiore all’1% più povero. Il 25% più indigente, tuttavia, recupera, in media, alcuni anni di vita se abita in una metropoli ricca come New York e non in città come Oklahoma o Las Vegas: una possibile implicazione è che una popolazione benestante e istruita può far ricadere efficacemente i benefici di stili di vita sani e servizi sanitari efficienti sulle fasce vulnerabili.

Più in generale il sistema americano si mostra ben cucito per gestire le singole e dispendiose emergenze individuali con cure e farmaci, molto meno nel monitorare e prevenire le patologie dei pazienti. Il follow-through, insomma, spiega Gawande fa fatica a imporsi sulla medicina del breakthrough. Una mentalità che fa fatica a mutare, malgrado da molto tempo lo stesso professore alla Harvard Medical School di Boston inviti a dismettere la visione eroica che vede il medico alla maniera di un vigile del fuoco che spegne un incendio, in favore di un recupero dell’intervento non meno lungimirante della medicina di base[3]. Ovvero disporre di un team predisposto alle cure primarie in grado di garantire visite alla generalità dei pazienti, mette anche in condizione di dispiegare dalle vaccinazioni a una serie di azioni di prevenzione e di monitoraggio tali da ridurre malattie croniche e infezioni trasmissibili che restano le principali minacce alla salute.

Un problema sempre attuale, anche in tempi non di emergenza Covid, se si pensa che contro un virus potenzialmente molto insidioso e letale come quello dell’epatite B solo i 2/3 dei bambini statunitensi risultano vaccinati, contro un impressionante dato del 90% dei loro coetanei centroamericani. Dal 2017 per giunta è aumentato in America del 30% il tasso di infezioni da epatite C. Sia in un caso che nell’altro, una sanità con un orecchio sempre pronto a intercettare i bisogni della comunità potrebbe essere in grado di trarre in salvo i pazienti socialmente più vulnerabili, specialmente asiatici, afroamericani, poveri, tossicodipendenti, che statisticamente manifestano i maggiori problemi nell’accedere a cure e visite.

Claudia Cosma, Giulia Ciardi. Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Università di Firenze.

Bibliografia

  1. Atul Gawande. Costa Ricans Live Longer Than We Do. What’s the Secret? The New Yorker, 30.08.2021
  2. OECD Organisation for Economic Co-Operation and Development – Data for OECD Countries 2020 
  3. Gavino Maciocco. Il medico che ti salva la vita. Salute Internazionale, 27.11.2017

fonte: saluteinternazionale.info

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