Sono state consegnate (il 28 ottobre 2021 ndr) alla Corte di Cassazione oltre 630.000 firme per un referendum che depenalizza le coltivazioni proibite dal Testo Unico sulle droghe del 1990, cancella le sanzioni penali detentive per le condotte direttamente legate alla cannabis ed elimina la sospensione della patente per chi usa droghe, mantenendo quanto previsto per la guida in stato alterato.
Quando dopo ferragosto abbiamo iniziato a ragionare sul quesito con Fabio Valcanover, Sofia Ciuffoletti, Franco Corleone, Giulia Crivellini, Antonella Soldo, Grazia Zuffa, Mariapia Scarciglia, Riccardo Magi, Letizia Valentina Lo Giudice e Nicolò Scibelli abbiamo deciso di circoscrivere il più possibile il quesito alla cannabis. Occorreva “sdoganare” la pianta proibita.
La richiesta di incidere sulla legge proibizionista di trenta anni fa si aggiunge a quella sull’eutanasia, già depositata in Cassazione. Il successo è stato possibile grazie all’investimento dell’Associazione Luca Coscioni. E’ storico per almeno tre motivi: le firme sono state raccolte in una settimana grazie alla firma digitale, in un momento di apatia civica ha mobilitato giovanissimi (la metà tra 18 e 25 anni, al 70% maschi) e rappresenta una strada di riforma significativa della 309/90 dal 1993.
Dal referendum radicale che 28 anni fa depenalizzò il possesso e l’uso personale di tutte le sostanze, il Testo Unico sulle droghe ha subito aggravamenti di pene, equiparazioni tra “leggere” e “pesanti”, depotenziamenti dei servizio socio-sanitari e di accoglienza per ridurre rischi e danni connessi all’uso problematico delle sostanze psicoattive illecite, complicando la vita a milioni di persone. Si sono distribuiti soldi agli amici e lanciate inutili campagne di prevenzione per trovarci oggi con circa otto milioni di consumatori abituali – di cui sei di cannabis -, il 35% di detenuti per reati connessi alle droghe (la media europea è del 18%), circa 1.300.000 persone segnalate ai prefetti, Tribunali intasati da quasi 250.000 fascicoli e forze dell’ordine impiegate a rincorrere chi fuma e a controllare balconi alla ricerca di qualche piantina coltivata per affrancarsi dalle narcomafie. Senza l’intervento della Corte Costituzionale, che nel 2014 ha cancellato la legge “Fini-Giovanardi”, l’Italia avrebbe una legge ancora peggiore di quella che rimane una delle leggi più proibizioniste in Europa.
Chi legge il Manifesto sa come e quando quest’ondata di firme è nata e arrivata, sa che sono almeno 30 anni che c’è chi non demorde nel denunciare la violenza del proibizionismo e si adopera per presentare alternative. Chi legge il Manifesto però forse non sa, ma non per colpa di questo giornale, quale siano le intenzioni che hanno portato il Governo Draghi a convocare la Conferenza Nazionale sulle Droghe a Genova.
Dopo 12 anni di assenza, il 27 e 28 novembre si terrà l’evento istituzionale che la Ministra Dadone ha intitolato “Oltre le fragilità”. Il sito del Dipartimento per le politiche antidroga informa che “l’incontro si tiene per offrire al Parlamento tutti gli strumenti e le informazioni necessarie per cambiare la legislazione antidroga e adottare il nuovo piano d’azione sulle dipendenze”. A questa citazione della 309/90 manca una parte fondamentale del perché una Conferenza nazionale sia necessaria: raccogliere valutazioni e avanzare proposte “dettate dall’esperienza applicativa”.
Da nessuna parte si accenna alla devastante e criminogena cornice penale che circonda il fenomeno degli stupefacenti. Questo approccio astratto non farà emergere probabilmente proposte per “cambiare la legislazione” sulle droghe. Un motivo in più per ringraziare le oltre 630.000 persone che, firmando il referendum, hanno elaborato un testo di riforma della 309/90 di impatto non solo simbolico e che nella prossima primavera costituirà un banco di prova per tutti: partiti, cittadini e media.
fonte: FUORILUOGO