Le giornate dell’agenda del virus
Le date riguardanti il rapporto tra l’uomo e il virus che vengono registrate non sono tante: il contagio (se si riesce a ipotizzarlo), l’inizio dei sintomi, la diagnosi mediante tampone, il ricovero in ospedale e semmai il ricovero in terapia intensiva, la diagnosi di negatività ovvero purtroppo la data del decesso.
Perché misurare la distanza tra eventi?
L’interesse a conoscere le giornate che intercorrono tra questi eventi è duplice: da una parte l’utilità nel valutare l’evolversi della malattia e dall’altra la necessità di individuare il denominatore corretto nel calcolo degli indici. Se ad esempio si intende calcolare qual è la percentuale dei positivi che sono stati ricoverate per Covid in terapia intensiva nella settimana dal 4 al 10 ottobre dovremmo sapere in quali giorni gli è stata diagnosticata la positività. Non essendo purtroppo questi dati resi disponibili, ed essendo solo parziali ed episodiche alcune elaborazioni in tal senso, sia nazionali sia regionali, occorre trovare una valida alternativa per stimare comunque la media dei giorni che intercorrono tra diagnosi e ricovero, distanza necessaria per poi calcolare diversi indicatori.
Dopo 21 giorni la media dei contagi settimanali si è dimezzata (come si vede nel pannello a sinistra della figura) e i 134 casi di ricovero in terapia intensiva dell’ultima settimana darebbero una percentuale di accesso dello 0,73% se li si ritenesse provenienti dai diagnosticati nella settimana stessa, mentre si stimerebbe una percentuale dello 0,45%, quasi la metà, se si considerassero provenienti dai contagiati di tre settimane prima (come si vede nel pannello di destra della figura, in cui sono riportate le percentuali dei ricoverati in terapia intensiva calcolati, rispetto ai casi di sette giorni centrati sul giorno centrale, calcolati alla distanza retrospettiva dei lag indicati).
Purtroppo questa distanza tra eventi diversi non è costante nel tempo e molto dipende dalle caratteristiche dell’epidemia nei diversi momenti: sia i soggetti positivi sia gli ospedali, ma anche la malattia, possono comportarsi in modi differenti nel tempo.
Che metodo si può utilizzare?
Come fare per stimare queste distanze? Prescindendo da modalità più complesse, le alternative potrebbero essere due: il calcolo del correlogramma a vari lag o l’analisi grafica delle distanze tra i punti di massimo e i punti di minimo delle diverse distribuzioni.
Se esaminiamo ad esempio i dati di mortalità di settembre e i dati dei positivi nei giorni precedenti, magari trasformandoli prima nelle loro medie mobili a sette giorni per evitare il disturbo della ciclicità intra settimanale, avremmo questo risultato:
La correlazione è massima, quasi pari ad 1, se calcolata tra la media dei decessi della settimana 24-30 settembre con la media dei casi positivi di 18 giorni prima, cioè a lag -18.
Il confronto grafico, invece, può essere fatto dividendo innanzitutto le medie settimanali per la media generale della serie in modo da poter confrontare agevolmente le due curve; il risultato sarebbe il seguente:
Il primo metodo funziona bene se usato su periodi brevi nei quali la distanza tra gli eventi non si modifica molto, altrimenti avremmo una distanza media su tutta la serie che ci darebbe una informazione di minor interesse. Il secondo metodo, invece, necessita di avere dei punti notevoli come i punti di massimo e di minimo tra i quali poter stimare la distanza. E’ evidente che entrambi i metodi hanno una minor precisione rispetto a quella che potremmo ottenere elaborando i dati individuali dei soggetti. In questo caso, oltretutto, potremmo anche conoscere non solo la media delle distanze, ma anche la loro distribuzione e quindi, eventualmente, utilizzarla poi quando si devono identificare i denominatori più corretti. Si presentano di seguito delle analisi delle distanze ottenute con il metodo grafico.
Quanto dura mediamente la malattia nei guariti?
La Protezione Civile comunica giornalmente il numero di nuovi positivi e il numero di positivi che si sono negativizzati. Qui si intende la durata della malattia come il numero di giorni tra il primo tampone positivo e la conferma dei tamponi negativi. Questi sono i dati degli ultimi 12 mesi dell’epidemia:
In questo caso non serve normalizzare i dati dividendo per le loro medie in quanto hanno frequenze tra loro simili, ma si è preferito allargare la finestra della media mobile centrata a 21 giorni per eliminare maggiormente la variabilità casuale oltre alla ciclicità intra settimanale. Si vede come vi sia una certa regolarità di 25 giorni medi di durata tra tampone positivo e tampone negativo tranne nel periodo di fine anno. La probabile spiegazione di questa anomalia sta nel fatto che sino al 17 gennaio i tamponi antigenici non venivano inseriti nelle statistiche, ma erano comunque sempre più utilizzati. La durata della malattia appare quindi mediamente di 25 giorni anche se qui non si considerano i deceduti che però, data la loro piccola frazione, non dovrebbero modificare di molto la stima. Nel grafico di destra si mostra come traslando di 25 giorni indietro la curva dei soggetti negativizzati le due curve si sovrappongano o per lo meno assumano una sincronia nella forma.
Quanto dura mediamente la malattia nei deceduti?
Un’analisi simile è stata effettuata sui dati dei contagi e dei decessi. In questo caso è stato necessario normalizzare i valori riportandoli alla stessa scala dividendoli per la media dell’intera serie.
Si nota una diminuzione della distanza negli stessi giorni in cui si è notata precedentemente e probabilmente la ragione è la stessa. Si vede anche come la distanza tenda ad aumentare, il che fa pensare che gli esiti letali abbiano un andamento meno acuto o forse che ci sia una tendenza crescente a far di tutto per salvare anche i casi più complicati.
Nel grafico a destra si sono traslate le frequenze dei decessi di 17 giorni, ma probabilmente per analizzare oggi, a metà ottobre, la letalità sarebbe più opportuno utilizzare un denominatore a lag -21 come sembra indicare appunto questo grafico.
Dopo quanti giorni dalla diagnosi ci si ricovera in terapia intensiva?
La media dei giorni che intercorrono tra diagnosi e accesso alle terapie intensive è pari a circa una settimana, ma sembra essere molto poco stabile.
Negli ultimi mesi del 2020 sembra che i ricoveri avvenissero mediamente quasi contemporaneamente alle diagnosi mentre attualmente sembra intercorra anche più di una settimana.
È probabile che ciò sia dovuto a un maggior sviluppo delle cure domiciliari e forse anche a un minor ritardo delle diagnosi. Questa difformità tra periodi della distanza rende più difficile stimare correttamente l’andamento della percentuale di positivi che accedono alla terapia intensiva.
E tra i primi sintomi e la diagnosi quanti giorni passano?
Per rispondere a questa domanda si devono utilizzare i dati pubblicati da Epicentro, il servizio dell’Istituto Superiore di Sanità.
L’andamento sembra molto costante e mediamente vicino a una settimana. Come negli altri grafici la distanza verticale tra le due curve deve essere letta in senso moltiplicativo e non lineare in quanto rimane pressoché costante il rapporto e non la differenza. Infatti, se si utilizza una ordinata in scala logaritmica si evidenza come via sia una differenza costante tra le due curve.
Queste stime sono utili e ci si può fidare?
Dipende ovviamente dall’uso che se ne vuole fare. Non si potrebbero di certo utilizzare queste stime per valutare l’effetto di un provvedimento o di una terapia, ma di sicuro sono molto utili per poter calcolare degli indicatori utilizzando i denominatori più corretti.
Se poi ci si vuole fidare, la risposta può venire da chi ha dei dati individuali e può ottenere “l’andamento vero”, anche se in ogni caso si dovrà sempre considerare che queste stime sono calcolate sui dati di tutta Italia e potrebbe accadere che dati regionali o dati settoriali, come ad esempio dati per età o per genere, abbiano valori molto differenti.
Da parte nostra avevamo sinora sempre calcolato la letalità con il denominatore a lag -13 e adesso stiamo adottando una forbice tra lag -21 e lag -28. Anche per la percentuale di accessi alla terapia intensiva si utilizzava lag -2 mentre adesso sembra più corretto passare almeno a lag -7.
Quindi è importante non utilizzare queste stime come correttamente indicative una volta per tutte e neppure come qualcosa da applicare in modo acritico. Solo elaborando più volte i dati con ipotesi differenti si può riuscire a trovarne delle coerenze, che comunque devono sempre essere considerate come un approccio ragionato alla realtà e non come un calcolo aritmetico inconfutabile.
La redazione di MADE1, Cesare Cislaghi2, Maria Teresa Giraudo3, Manuele Falcone4
- MADE
- Epi-economista
- Università di Torino – Dipartimento di matematica
- Agenzia regionale di sanità Toscana, Firenze
fonte: E&P