Morire di lavoro (I parte). di Giuseppe Leocata

Per tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è necessario ricostruire una cultura collettiva e condivisa, che oggi è decisamente in crisi.

Scrivere delle morti sul lavoro nel nostro Paese non è semplice e non è sufficiente fermarsi al mero elenco dei dati forniti dall’Inail, reperibili sul sito dell’Istituto e che possono risultare di difficile lettura e comprensione, in relazione alle modalità di accadimento dei singoli eventi, ai periodi in cui essi sono avvenuti, alla situazione sociale ed economica nelle diverse regioni. Le logiche di chi ha elaborato le statistiche possono differire da quelle di chi le legge e la comprensione può dipendere anche dall’uso che si vuole fare dei numeri.

Questi eventi non devono essere considerati perennemente una ‘emergenza’ (dopo un po’ dimenticata) ma ‘fatti quotidiani’[1,2], bisogna cercare di leggere fra le righe della realtà e riprendere il vecchio detto degli anni ’80: “Pensare globalmente e agire localmente per cambiare il mondo”. Negli anni ’70, Medicina Democratica (movimento oggi molto rimaneggiato e rinchiuso in sè stesso) aveva definito metodologie di intervento in fabbrica sui temi della salute, della sicurezza e dell’ambiente, fondate sui seguenti principi: partecipazione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori alle indagini in fabbrica e della popolazione auto-organizzata nel territorio; affermazione della soggettività operaia nella sua accezione più ampia e pregnante sia sul piano culturale che sindacale e tecnico-scientifico; rifiuto della monetizzazione dei rischi e della nocività nei luoghi di lavoro così come nel territorio; rifiuto della delega da parte del gruppo operaio di lavorazione omogeneo della propria salute ai tecnici; non accettazione della cosiddetta neutralità della scienza e della tecnica e della oggettività dei cicli produttivi che da esse derivano; informazione e formazione permanente, attraverso il corretto rapporto fra gruppo operaio omogeneo e tecnici sugli innumerevoli temi della salute, della sicurezza, dell’ambiente salubre e dei diritti umani.

La ‘memoria storica’ di quelle conquiste non è stata tramandata ai giovani lavoratori, ai giovani sindacalisti e ai giovani tecnici e medici del lavoro da parte degli operatori della prevenzione più anziani (quelli che allora facevano i ‘rivoluzionari’) e in alcune realtà si ha una sensazione che rimanda al mito di Cronos, che ebbe da Rhea molti figli e che per paura che uno di questi lo avrebbe spodestato – non potendo ucciderli poichè divinità immortali – appena nati li ingoiava. Cronos, il Tempo, che divora tutte le cose che egli stesso ha creato… [3].

Nell’ambito della igiene e sicurezza del lavoro, oggi ci si deve muovere tra norme complesse, frutto del ‘bizantinismo’ dei nostri giuslavoristi, e che però non è opportuno modificare in un periodo ‘politicamente caotico e debole’ come l’attuale, una delegificazione sarebbe disastrosa. Non sono sufficienti soltanto le leggi (carte) per tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro; è necessario ricostruire una cultura collettiva e condivisa, che oggi è decisamente in crisi; la mera imposizione è una tecnica imperfetta (vedi oggi le rivolte contro il vaccino e il green pass).

In questi mesi, tanti hanno parlato di infortuni mortali. Il Ministro del lavoro ha annunciato interventi nella logistica, sull’organico degli ispettori, nell’edilizia, nell’estensione della copertura assicurativa a categorie di lavoratori dipendenti e autonomi oggi esclusi[4]. Il presidente dell’Inail ha dichiarato: “Le norme ci sono e vanno rispettate. È necessario un impegno forte e deciso di tutti per realizzare un vero e proprio ‘patto per la sicurezza’ tra istituzioni e parti sociali. Coinvolgere gli attori del sistema nazionale di prevenzione, rafforzare i controlli, promuovere una maggiore sensibilizzazione di lavoratori e imprese, potenziare la formazione e l’informazione per costruire una cultura della sicurezza, a partire dalla scuola, dare sostegno economico alle aziende”[4]. I leader sindacali hanno aggiunto che “l’Italia è uno dei pochissimi paesi dell’Unione europea privo di una strategia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro”[4]. Il leader della CGIL, in modo riduttivo, ha rilanciato la richiesta di una ‘patente a punti’ per le imprese, con un punteggio che calerebbe in caso di violazioni e incidenti fino a far scattare l’esclusione dalle gare o il blocco delle attività[5]. Ci si è dimenticati del periodo delle lotte in fabbrica e in piazza e ci si rifugia nel virtuale. La diocesi di Prato, a seguito dell’infortunio mortale di Luana D’Orazio, ha parlato di ‘destrutturazione del lavoro dettata dalla crisi, continua riduzione dei costi, de-professionalizzazione, mala-formazione, individualizzazione’[6]. L’agenzia creata dal Jobs Act per accorpare le funzioni di vigilanza di Ministero del lavoro, Inps e Inail ha il suo obiettivo ancora soltanto sulla carta per carenza di risorse umane e informatiche, tra cui la mancanza di una banca dati condivisa[5] realtà diverse tra loro che dovrebbero pensare a intessi comuni e condivisi in termini di pensiero e azione.

Soprattutto nelle piccole e medie imprese, “le normative in materia di sicurezza vengono viste come un onere e un costo da ridurre, non un investimento” [5] e “si corre troppo e sempre; per anticipare altri produttori, per garantirsi margini” (Mirko Zacchei, Femca Cisl Firenze e Prato)[6]. Teniamo, inoltre, anche conto di quanto avviene fuori da ogni controllo nelle aziende agricole del sud che sfruttano e schiavizzano i migranti. Gran parte degli infortuni gravi, poi, sono dovuti a mancata valutazione del rischio e a mancata formazione. Esiste un falso mercato della formazione con soggetti che danno certificazioni senza fare davvero i corsi[5] e società che vendono corsi spesso teorici e in una logica di massimo profitto. In questo contesto, inoltre, le associazioni di categoria talvolta non supportano i loro iscritti in tal senso.

Nelle ASL, a cui spettano i controlli su salute e sicurezza[5], possiamo constatare che il personale è diminuito del 50% in 10 anni, esse fanno capo a Regioni e Province autonome e ognuna risponde a un certo orientamento politico; non sono in rete tra loro e non hanno una banca dati comune con Inps e Inail. Non vi è una strategia nazionale e unitaria sui compiti e le attività dei Servizi di vigilanza delle ASL, che sono diventati una realtà residuale e vanno avanti con progetti locali e particolari, senza una visione di insieme della realtà e una reale programmazione. In diverse situazioni i responsabili dei Servizi hanno scelto degli ‘yes men’, anche bravi professionalmente ma con poche capacità dialettiche, senza memoria storica e senza una visione globale, necessarie per svolgere i delicati compiti nell’ambito degli organi di vigilanza. Diversi responsabili di Servizio, poi, da pensionati hanno intrapreso la strada ‘imprenditoriale’ delle visite mediche periodiche… In diverse realtà agiscono medici e tecnici che – pur ufficiali di polizia giudiziaria – fanno i consulenti per delle imprese; ruoli non compatibili istituzionalmente. Si incontrano, inoltre, giovani medici che scelgono la specialità in Medicina del lavoro come ripiego e che finiscono a fare i ‘manovali dei visitifici’ per società private e/o pubbliche o che non hanno motivazioni adeguate a svolgere i delicati ruoli degli Organi di vigilanza delle ASL.

Negli anni ‘80 in molte regioni italiane si era realizzato un modello di intervento organico in materia di igiene e sicurezza del lavoro, sull’onda della presa di coscienza dell’importanza della salute nei luoghi di lavoro da parte degli operai e del sindacato che erano riusciti a portare sul loro terreno i medici e i tecnici dei Servizi di medicina del lavoro inseriti nel contesto della Sanità pubblica. Quella realtà (Servizi di medicina del lavoro delle Aziende sanitarie locali, Unità operative ospedaliere di medicina del lavoro e Centri universitari di Medicina del lavoro) era il punto di riferimento per lavoratori, imprese produttive e di servizi, sindacati e associazioni imprenditoriali, medici del lavoro aziendali e tecnici della sicurezza sempre in ambito aziendale[3,7]. Va ripreso un ragionamento e va attuato al più presto un percorso operativo sul ‘macrosistema’ per ritornare al governo della ‘Politica’ sull’economia e sulla logica delle banche e delle assicurazioni multinazionali che operano pure nel settore della salute e della sicurezza sul lavoro e che utilizzano la statistica e l’epidemiologia per attuare scelte con ferrea logica matematica e sempre più mirate a ciò che è più opportuno (‘redditizio’) in termini di ‘investimenti monetari’ e non ricorrendo a valutazioni mirate al sociale. La vita e la salute di un lavoratore, di ogni lavoratore, non può essere ostaggio della fatalità e neppure della nostra stessa imperfezione di esseri umani. Il criterio primario nell’organizzazione di ogni fabbrica, di ogni attività economica, dev’essere la sicurezza dei lavoratori. Molto, molto prima dell’efficienza e della redditività [8,9].

Giuseppe Leocata – medico del lavoro
Un grazie a Franco Carnevale per la collaborazione editoriale

La seconda parte del post sarà pubblicata il prossimo mercoledì 20 ottobre.

Bibliografia

  1. Angelo Mastrandrea. L’estate tragica delle tante morti sul lavoro. Internazionale, 13.08.2021
  2. Cronaca INAIL, nel 2021 già 677 morti sul lavoro. Aumentano dell’8,3% gli infortuni, al sud lo scenario peggiore – La Stampa, 31.08.2021
  3. Giuseppe Leocata. Il declino della medicina del lavoro. Lettere al direttore – Quotidiano on line di informazione sanitaria, 24.01.2017
  4. Marco Patucchi. Il presidente Bettoni presenta in parlamento la relazione annuale dell’Istituto. dopo la parentesi covid l’emergenza sta tornando quella di sempre. irregolare l’86% delle imprese controllate. il ministro Orlando: “un dato inaccettabile”. La Repubblica, 19.07.2021
  5. Chiara Brusini. Sicurezza sul lavoro, il nuovo capo dell’Ispettorato: “Ci serve maggiore potere di chiudere le aziende che violano le norme. Avanti con la legge sulla procura nazionale ad hoc” – Lavoro e precari. Il Fatto Quotidiano, 28.05. 2021
  6. Diego Motta. Prato. Morte in fabbrica, l’incubo sicurezza. «La vera lotta è per il lavoro buono». L’Avvenire, 05.05.2021
  7. Grieco A, Scotti PG, Foà V, Merluzzi F, Sala C, Zedda S, Bertazzi PA. Modello di strutturazione territoriale integrata dei Servizi di Medicina Preventiva del Lavoro. Medicina del lavoro 1976; 67(3):240-260
  8. Francesco Riccardi. Lavoratori da tutelare. Sicurezza, oltre l’emozione per Luana e gli altri 185 morti. L’Avvenire, 05.05.2021
  9. Antonio Polito. Stresa, la strage della funivia e l’etica capitalista smarrita. Editoriale, Il Corriere della Sera, 27.05.2021

fonte: saluteinternazionale.info

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