Sebbene in Italia le 18 settimane di chiusura delle scuole durante il lockdown della primavera del 2020 siano poi state seguite da un altro intero anno di ‘scuola a singhiozzo’, con molta didattica a distanza, soprattutto nelle scuole superiori, le prime informazioni analitiche relative all’impatto della pandemia sui risultati di apprendimento nel nostro Paese sono giunte tardivamente. Si è dovuto, infatti, attendere il luglio scorso e gli esiti delle prove Invalsi per l’anno scolastico 2020-21, poiché quelle dell’anno precedente erano state purtroppo cancellate dal ministero dell’Istruzione.
Alla luce degli esiti restituiti da Invalsi, chi era stato pessimista ha avuto ragione. La stessa Fondazione Agnelli, soffermandosi in particolare sul caso olandese, aveva avanzato la sua educated guess, secondo la quale ben difficilmente l’Italia avrebbe potuto fare meglio di un Paese nel quale il lockdown scolastico era stato più breve e che vantava una ben più solida consuetudine di didattica digitale.
Ora sappiamo che nell’arco di due anni gli apprendimenti in italiano e matematica nelle scuole secondarie di I e soprattutto di II grado hanno subito un tracollo rispetto al 2019. La caduta è stata generalizzata, esasperando i noti divari – territoriali, socioculturali e di genere – che sono un’antica e grave criticità del nostro sistema nazionale d’istruzione. A non peggiorare sono stati solo gli apprendimenti della lingua inglese, i cui livelli sono ancorati al quadro di riferimento europeo QCER. Non è, però, francamente una notizia che possa consolare: i risultati nelle precedenti rilevazioni erano stati, infatti, già molto deludenti, di nuovo soprattutto alle secondarie. Insomma, fare peggio sarebbe stato difficile.
In questo quadro critico e preoccupante, la scuola primaria rappresenta un’eccezione: rispetto al 2019 i risultati in italiano nelle classi seconda e quinta non fanno registrare peggioramenti (da quest’anno il confronto diretto è possibile anche per questo grado di scuola, grazie all’ancoraggio orizzontale). Si vede una leggera flessione in matematica, ma non è statisticamente significativa. Del resto, anche questo risultato più soddisfacente non era imprevedibile: il timore che i più piccoli potessero soffrire maggiormente – sul piano emotivo e cognitivo – durante il lockdown e la certezza che la sospensione della scuola in presenza creasse maggiori problemi lavorativi e organizzativi ai loro genitori hanno spinto il Governo a limitare alle primarie più che negli altri gradi scolastici le settimane di chiusura e il ricorso alla didattica a distanza nel corso dell’anno scolastico 2020-21. Nelle scuole secondarie e soprattutto in quelle di II grado, invece, la didattica a distanza è stata impiegata intensivamente e più a lungo. La maggiore durata e le specifiche modalità con cui la DaD è stata realizzata nelle nostre scuole superiori sono fra le ragioni che hanno impedito di evitare un così forte impatto della pandemia e dell’interruzione della scuola in presenza sugli apprendimenti ( https://www.lavoce.info/archives/88679/dad-sul-banco-degli-imputati/ ).
Entrando in maggiore dettaglio, partiamo dalla scuola secondaria di I grado. In questo grado scolastico, il peggioramento rispetto al 2019 è abbastanza vistoso nella classe terza: in Italiano la perdita media è di 4 punti, in matematica di 7. Secondo la Banca Mondiale, la crescita media degli apprendimenti in un anno di scolarità è di 0,4 deviazioni standard; anche l’Ocse, attraverso le sue ricerche sui dati PISA in diversi paesi, tende ad avvicinarsi a questa stima. Tradotta in dati Invalsi, la crescita media annuale sarebbe 16 punti. Ne segue che gli studenti delle medie avrebbero dunque perso circa 2 mesi in italiano e 4 mesi in matematica, rispetto ai loro ‘fratelli maggiori’ nella stessa classe due anni prima. Questo risultato appare coerente con i risultati della letteratura internazionale sugli effetti del Covid-19 e non si può negare che si tratti di una perdita importante.
Dalla Figura 1 vediamo come la traslazione parallela della distribuzione degli esiti suggerisca che il calo degli apprendimenti ha riguardato tutti gli studenti. Serviranno i dati a livello di scuola per individuare con precisione chi sia stato più penalizzato. Nei paesi che hanno prestato maggiore e precoce attenzione a queste dinamiche, si è visto che quasi sempre sono stati gli studenti scolasticamente già più fragili, che spesso tendono a coincidere con quelli svantaggiati sul piano socioculturale.
Figura 1
È andata peggio nella scuola secondaria di II grado, con perdite più accentuate rispetto alla precedente rilevazione Invalsi: parliamo in media di 10 punti in meno in Italiano e di 9 in Matematica. Gli studenti penalizzati dal Covid sconterebbero dunque oltre 5 mesi equivalenti di scuola in meno rispetto alle coorti precedenti, in entrambe le aree disciplinari.
Figura 2
La forma delle due curve di Figura 2, tuttavia, rivela che la distribuzione dei punteggi è diversa nelle due materie. La curva in matematica è molto più piatta: ciò significa che un maggior numero di studenti ha livelli di apprendimento più bassi. Inoltre, vediamo un ulteriore aumento della coda inferiore nel 2021 rispetto al 2019, segnalato dallo spostamento a sinistra della curva.
Il dato forse più rivelatore delle criticità educative italiane esasperate dalla pandemia è, però, che il 44% degli studenti di quinta superiore che si apprestano all’esame di maturità al termine di 13 anni di istruzione non raggiunge in Italiano il livello di apprendimento considerato il traguardo minimo dalle Indicazioni nazionali per il curricolo; in Matematica la media è 51%. In altre parole, al termine di 13 anni di ciclo scolastico, uno studente su due non raggiunge un livello di competenze considerato adeguato a livello internazionale: è un dato drammatico, che fa temere che questi ragazzi e ragazze non abbiano un bagaglio di conoscenze e competenze sufficiente ad assolvere ai loro futuri doveri di cittadini.
Rispetto al 2019 l’incremento è di 10 punti percentuali per entrambe le discipline. Questo per quanto riguarda le medie nazionali. Ma, come spesso avviene in Italia, anche in questo caso sono le enormi differenze territoriali a fare la differenza, con regioni (Puglia, Sicilia, Calabria e Campania) dove a non raggiungere il traguardo minimo sono 6 o 7 studenti su 10, con un ritardo medio di 49 punti rispetto al Nord, che equivalgono a oltre tre anni di scuola, secondo lo stesso Invalsi. Se può non sorprendere che rispetto al 2019 la forbice fra Mezzogiorno e regioni del Nord aumenti ancora, meno prevedibile era forse l’arretramento nei confronti della media delle regioni del Nord-Est, storicamente le prime della classe.
Il quadro complessivo diventa ancora più preoccupante e inaccettabile, se si pensa che i risultati Invalsi di oggi peggiorano nettamente quelli del 2019, che già erano tutt’altro che soddisfacenti e ci avevano fatto parlare di ‘fallimento della scuola italiana’. (https://www.lavoce.info/archives/60346/questo-invalsi-2019-e-la-diagnosi-di-un-malato-grave/ ).
L’Invalsi, con il suo termometro, non ci segnala quest’anno un malanno di stagione passeggero, che si possa curare in breve tempo. Al contrario, certifica una patologia grave e in parte cronica del nostro sistema educativo, che la pandemia e le chiusure scolastiche hanno aggravato, ma le cui cause precedono l’emergenza sanitaria. Le perdite di apprendimento del 2020 e 2021 richiederanno in ogni caso anni di sforzi straordinari per essere recuperate. E saranno solo la prima tappa – imprevista e drammatica – di un percorso per migliorare la qualità della scuola italiana, che avrà successo soltanto a condizione di un profondo innovamento della didattica e di nuovi criteri di formazione, selezione e carriera dei docenti.
A cura di Andrea Gavosto e Barbara Romano – Fondazione Giovanni Agnelli
fonte: DISUGUAGLIANZE DI SALUTE