Gentile Direttore,
ho letto con interesse l’articolo di Claudio Maria Maffei (Quotidiano Sanità, 15 settembre) che, a commento di un intervento (Bindi, Dirindin, Geddes) effettuato in rappresentanza dell’Associazione Salute Diritto Fondamentale aggiunge, agli indizi di privatizzazione a cui abbiamo fatto riferimento, un ulteriore elemento.
Maffei richiama l’attenzione su l’indebolimento – e spesso l’assenza – di una capacità programmatoria delle Regioni rispetto alla rete ospedaliera pubblica, nonché sulla carenza, da parte della componente pubblica, nel definire autorizzazioni e contenuti dell’attività contrattualizzata con le strutture sanitarie private e nell’effettuare i relativi controlli.
Tale problema è reale; una criticità presente da tempo e aggravatasi nell’ultimo decennio, che verrebbe fortemente accentuata – come abbiamo evidenziato – qualora venisse accolto l’invito, rivolto alla Presidenza del Consiglio da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a eliminare il vincolo di verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari per l’accesso dei privati a tale attività.
Nel preliminare documento presentato nella conferenza stampa a Roma il 14 settembre abbiamo ritenuto tuttavia necessario focalizzarsi su alcuni elementi (o indizi) che sono emersi recentemente e che si connettono e accentuano le debolezze preesistenti.
Il problema personale del SSN al palo non è certo una novità, ma aggravato dal peso assunto dalle strutture pubbliche per far fronte alla pandemia (si pensi solo all’incremento di posti letto in terapia intensiva da 5.179 agli attuali 9.070, per raggiungere l’obiettivo di 14.0 x 100.000 abitanti). Il personale assunto in questa circostanza è, purtroppo, in larghissima maggioranza a tempo determinato, mancando la rimozione dei vincoli che limitano una conferma stabile.
La lentezza nella ripresa dell’attività ordinaria è stata richiamata sia dal contributo del Maffei, ma anche dal Documento del Forum permanente sul Sistema Sanitario nazionale, che evidenzia la riduzione dell’attività chirurgica programmata (riduzione connessa anche alla carenza di anestesisti impegnati nei reparti Covid) e al calo di attività – solo per citare alcuni settori – in ambito oncologico e cardiologico. Anche in questo caso la debolezza del pubblico, non tanto per carenza strutturali (sale operatorie, tecnologie), ma di personale e di adeguati incentivi, viene a favorire l’attività privata.
Vi è inoltre il rischio di un affidamento dell’erogazione di prestazioni domiciliari – un settore fortemente finanziato dal PNRR – al privato (sotto diverse vesti), con accordi e procedure prive di riferimenti volti a inserire tali percorsi assistenziali nelle attività del Distretto e delle Case della comunità
Infine le prime informazioni sul DEF 2021 evidenziano un taglio, per il prossimo triennio, alla spesa sanitaria pubblica in termini assoluti e in rapporto al PIL. La programmata contrazione della spesa corrente, mettendo in crisi il pubblico, configurerebbe un’ulteriore spinta verso il privato, più o meno mediato da un sistema assicurativo a supporto anche del welfare aziendale.
La lettura di Quotidiano Sanità ha il merito di offrire un ampio ventaglio di posizioni, in molti casi contrastanti e portatrici di punti di vista e interessi diversificati.
La lettura del testo di Cavicchi su Quotidiano Sanità del 17 settembre non rappresenta tuttavia una posizione di netta critica, con affermazioni e ricostruzioni già espresse che non condivido, bensì una giaculatoria di insulti nei confronti non solo degli autori del contributo, ma degli aderenti ad una Associazione: colleghi, ricercatori, sindacalisti, studiosi di fama internazionale, associazioni ecc.
I tre autori del contributo, afferma infatti Cavicchi, offrirebbero una “minestra andata a male”, cioè velenosa. Bettino Craxi come noto utilizzava, in termini ironico – spregiativi, una definizione assai più attenuata: minestra riscaldata. Qui si dà invece ad intendere uno scopo fraudolento e un malevole inganno portato avanti, si legge nel testo, “con discorsi posticci” (finti, simulati, ambigui), poiché gli estensori del documento dell’Associazione, afferma il Cavicchi – riesumando una espressione dal passato colonialista e razzista – considererebbero tutti “sprovveduti con l’anello al naso” (gli indigeni con l’anello al naso e la sveglia al collo…)!
Coloro che aderiscono, approvano, sottoscrivono quanto noi abbiamo espresso nel documento dell’Associazione (nonché, come è ovvio, i suoi aderenti) sono infine definiti “accoliti” (sic!), cioè, come si evince da qualsiasi dizionario dei sinonimi (Treccani) e da una conoscenza “educata” della nostra lingua: adepti, cortigiani, gregari, leccapiedi, scagnozzi…
Non ho parole da rivolgere all’autore.
Ho invece un consiglio ai lettori qualora si siano indignati o, al contrario abbiano gradito questa prosa: per conforto nel primo caso, e per antidoto qualora apprezzino questo insieme di epiteti che infiorettano tale testo.
Li invito a leggere l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio: “Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose”, dove afferma, fra l’altro, quanto segue: “L’uomo civile non rifiuta il conflitto. Lo accetta, invece, come parte inevitabile e proficua della complessità e della convivenza. Lo accetta e lo pratica secondo un sistema di regole, in una dimensione non distruttiva, umana”.
fonte: lettere al direttore QS su Salute Diritto Fondamentale