A fine gennaio avevo scritto che nella campagna elettorale la grande assente sembrava la salute dei cittadini. Ora che si sta per votare, confermo quella fin troppo semplice constatazione. D’altra parte nelle kermesse politiche tanto importanti, prevalgono di solito le promesse, la propaganda, la gara alla conquista degli elettori, soprattutto gli incerti, mentre i problemi concreti restano sullo sfondo. E alla Sanità questa volta spetta la pole position.
Non si tratta di dimenticanza e/o disattenzione, perché il fatto che milioni di italiani non abbiano accesso alle cure (e ancor prima alle diagnosi), è diventato luogo comune, ripetuto fino alla noia da tutti, compreso chi scrive. Tranne che dalle persone con incarichi locali e nazionali (non solo politici: penso alle istituzioni sanitarie che talvolta sono peggio degli struzzi), perché affermare che milioni di cittadini non vengono curati vorrebbe dire ammettere di essere corresponsabili di forti, diffuse – e spesso drammatiche – carenze dell’assistenza sanitaria. Allora come si spiega questa “smemoratezza”? Forse è soltanto sottovalutazione. Oppure concreta difficoltà nell’avanzare proposte realizzabili per cercare di migliorare il Ssn.
Gli addetti ai lavori – nonostante le boutade ministeriali – sanno che il Fondo sanitario nazionale è sotto finanziato, costantemente tenuto al ribasso con quel 6,6 per cento del Prodotto interno lordo che ci colloca agli ultimi posti in Europa (al quale va aggiunta una cifra oscillante tra i 35 e i 40 miliardi di euro sborsati direttamente dagli italiani più abbienti). E quindi insufficiente. Non a caso i partiti propongono un aumento della spesa pubblica sanitaria. Come vogliono ad esempio quelli di LiberieUguali, che chiedono 5 miliardi di euro in più per la salute. La stessa cifra viene indicata dalla Lorenzin, eppure lei, in quasi cinque anni di ministero, non ha mai alzato la voce nel consiglio dei ministri per criticare i continui tagli indiretti al Fondo nazionale: la sua proposta presentata adesso fa sorridere perché trasforma una legittima richiesta in una pubblicità elettorale.
È possibile, come si diceva fin dai tempi del governo Monti, che siamo dentro una situazione di insostenibilità del Ssn. Come sanno bene i cittadini che pagano i servizi, potendo, e quelli che non riescono neppure a fare gli esami necessari nei tempi indicati dai medici per poter iniziare poi a curarsi. Ma intanto si dà per scontato che il Fondo è inadeguato. E si sa che una parte non marginale delle uscite finisce nel capitolo sprechi o, ancora peggio, nella corruzione (parola quasi scomparsa nelle ultime settimane, anche se la cronaca ricorda di continuo che il malaffare nella Sanità prolifera). Complessivamente siamo intorno ai 20 miliardi di euro.
Sugli sprechi è ormai risaputo che non si può più procedere con i tagli, soprattutto se lineari, come è stato fatto in passato, riducendo, se non addirittura falcidiando servizi assistenziali basilari (come i posti letto nei reparti e nei Pronto soccorso). Si è raschiato il barile, dice il rapporto pubblicato a metà febbraio a cura dell’Ufficio parlamentare di bilancio, e tagliare non è più possibile perché la spesa pubblica nazionale è al di sotto di quella media europea, comportando una diminuzione delle prestazioni sociali. Più in generale, il 30 per cento in meno di investimenti pubblici negli ultimi anni, ha determinato forti carenze infrastrutturali e un calo consistente della forza lavoro nel settore pubblico.
Per cui rimane da sciogliere il solito nodo: quello degli investimenti. Che nella Sanità servono come il pane. Ora se il problema è dove trovare i soldi, qualcuno dovrebbe spiegare come sarà possibile coprire le perdite dei mancati introiti determinati dalla Flat tax (secondo molti economisti insostenibile, e farebbe aumentare rapidamente il nostro debito), che vorrebbe il centro destra, oppure gli 80 euro mensili per ogni figlio nelle famiglie meno abbienti (se ho capito bene), proposti dal Pd. In tutti e due i casi saremmo di fronte a una “spesa” di molto superiore a quei 5 miliardi di euro, indicati da più parti, per migliorare la qualità e quantità delle prestazioni. Sono soldi che darebbero sicuramente ossigeno a una Sanità senza aria nuova e ad un livello operativo preoccupante, perché non si assumono nuovi medici e infermieri, perché i mezzi sono numericamente insufficienti, perché molte strutture sono fatiscenti, perché alcuni servizi diagnostici in varie zone del Paese non esistono, costringendo i malati a “emigrare”.
Manca poi l’elemento progettuale sul futuro, perché si considera la spesa sanitaria come una uscita, e non invece come un investimento. Bisognerebbe capire che la domanda crescente di salute – destinata a salire sempre di più – può mettere in moto un meccanismo virtuoso, trasformando gli investimenti attuali in una risorsa e in un risparmio per il domani. Come mai questa ovvietà sfugga alla politica mi è difficile da comprendere.In ogni caso la Sanità dovrebbe tornare al centro dell’attenzione, sperando che dopo la Lorenzin si riesca ad andare oltre l’ossessionante vicenda – e campagna mediatica – per i vaccini. Sono tanti i temi che meritano una discussione e meritano risposte. Un elenco, senza ordine di priorità, dovrebbe contenere l’annosa questione dell’intramoenia, che spesso si traduce in un danno – non in un vantaggio – per i pazienti che devono curarsi in tempi rapidi. (E tralascio i comportamenti di medici che finiscono “agli onori delle cronache”, perché viziati da metodi truffaldini per incentivare introiti extra). C’è poi la questione del super ticket, che tutti vorrebbero abolire, senza indicare le fonti di copertura economica, e che trascina con sé la compartecipazione alla spesa, sempre discussa, mai chiarita fino in fondo. Ci sono poi le enormi differenze regionali, diventate abissi assistenziali – come ha sottolineato un recentissimo rapporto della Università Cattolica di Roma – che provocano una diversa aspettava di vita in base al luogo di residenza. Ora sappiamo che se stai in alcuni territori del Sud, vivi anche due anni di meno. Si procede dunque a velocità molto diverse sull’assistenza sanitaria: l’immagine di un’Italia a macchia di leopardo è sempre più che valida.
Eppure, di fronte a rapporti così preoccupanti, non c’e stata una reazione degna di nota. Ma come, al Sud si vive due anni di meno, e nessuno si preoccupa? È probabile una sorta di rassegnazione, di assuefazione, da parte delle amministrazioni locali. Però in questi casi bisognerebbe chiedersi perché lo Stato non assolve quella funzione di riequilibrio che gli viene riconosciuta. Anche perché il turismo sanitario è un’altra voce dello spreco di denaro, pubblico e privato.
Comunque la salute non ha ottenuto l’attenzione che merita. Mentre dovrebbe essere al centro, perché non coinvolge solo l’economia, bensì le politiche sociali, culturali. E il lavoro, perché impiega più di un milione di persone. È un bene primario. Senza alcun dubbio. Perciò dobbiamo augurarci che dopo la “sbornia” elettorale, la Sanità torni a conquistare, con il governo che verrà, lo spazio e l’impegno che merita.
fonte: Repubblica