Questa pandemia ha anche fornito l’opportunità di ripensare le modalità di cura e sostegno alle persone con disagio psicologico o malattia mentale, orientando la nostra prospettiva verso una vera integrazione della governance, ancora divisa tra ospedale e comunità, tra assistenza sociale e sanitaria, tra settore pubblico e privato, tra conoscenze accademiche e competenze pratiche. Per molti anni, ai servizi di salute mentale è stato chiesto di fare molto di più con molto meno e in una società molto meno protettiva. È tempo di invertire la rotta, sostenendo azioni concrete, traducendo in pratica i principi sui quali vi è un accordo generale.
La Presidenza italiana del G20 ha deciso di agire in modo proattivo in questo ambito della sanità pubblica, in considerazione della leadership internazionale che il nostro Paese ha acquisito dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici prevista dalla Legge di Riforma del 1978. L’esperienza italiana ha dimostrato che è possibile rispondere alle esigenze di cura e autonomia delle persone con problemi di salute mentale, o dipendenze, anziani, bambini, disabili, senza applicare misure restrittive, senza far ricorso a grandi istituzioni spersonalizzanti, ma in un sistema di welfare le cui parole d’ordine sono comunità, prossimità, assistenza domiciliare, approccio olistico. Con uno dei più bassi numeri di posti letto psichiatrici ospedalieri, un tasso di trattamenti obbligatori che è anche 20 volte inferiore a quello di molti paesi occidentali, l’Italia ha da tempo dimostrato che è possibile fare a meno degli ospedali psichiatrici e più recentemente anche degli ospedali psichiatrici giudiziari, ponendo fine ai trattamenti inumani e degradanti che si sono perpetuati in questi luoghi. Inoltre, con l’azione combinata e coordinata degli interventi sanitari e sociali, con la reale natura intersettoriale della Salute Mentale nelle politiche per l’istruzione, il lavoro, la casa e l’inclusione comunitaria, l’Italia ha dato sostanza ai principi di cittadinanza e non discriminazione stabiliti dalla Costituzione e dalle Carte Fondamentali Europee e delle Nazioni Unite.
I risultati raggiunti sono resi possibili dalla visione che li guida, che mira a garantire, promuovere e aumentare i diritti umani delle persone che soffrono di disagio psichico.
Eppure, per far sì che questi diritti non rimangano sulla carta né siano consegnati alla retorica della comunicazione, è decisivo ciò che questi diritti giuridici concretamente permettono di realizzare. Consideriamo il diritto alle pari opportunità per il pieno sviluppo della persona umana, e le intollerabili disuguaglianze, l’esclusione sociale e lavorativa che vivono le persone con malattie mentali.
Io credo che l’unica possibilità che abbiamo per coniugare il rispetto dei diritti umani con il mandato di cura affidatoci dalle nostre comunità è accettare e praticare un processo di continuo “rimodellamento” delle nostre pratiche. Oggi, promuovere la salute mentale nelle persone colpite dalla pandemia, nei giovani e negli adolescenti, nelle donne, negli anziani, nei migranti, nei tossicodipendenti, nella crescente popolazione dei poveri, richiede nuovi strumenti, nuovi luoghi, nuove alleanze e relazioni istituzionali, nuove modalità di interconnessione. Tutto ciò pone importanti domande sul futuro dei servizi di salute mentale. Le sfide di oggi e di domani vanno affrontate con gli strumenti di oggi e di domani. È più saggio quindi rimboccarsi le maniche e portare i fondamenti etici della salute mentale nelle forme del nostro tempo. Libertà, cura, incontro, qualità, protezione, cittadinanza, diritti umani e civili richiedono personale altamente professionale e un’adeguata disponibilità di risorse.
Creare le condizioni per un maggiore potere contrattuale degli utenti è al centro del cambiamento necessario: la persona, con un nome e un volto unico, portatrice di bisogni e titolare di diritti, è protagonista del percorso di cura e non oggetto passivo di interventi. Il coinvolgimento attivo e decisionale dei rappresentanti degli utenti in tutti i contesti in cui le politiche sono discusse, rese operative, valutate, è quindi essenziale.
Questo non è il primo, né sarà l’ultimo forum internazionale in cui i principi e le politiche di salute mentale sono discussi e concordati. Tuttavia, abbiamo imparato che questo non è sufficiente per fare la differenza. Dobbiamo impegnare noi stessi e i nostri Paesi a tradurre le politiche in fatti, facendo scelte coraggiose, facendoci carico del disagio delle persone.
In salute mentale non abbiamo un vaccino per evitare la sofferenza: dobbiamo invece lavorare quotidianamente su quegli aspetti della vita che sappiamo essere associati o causalmente correlati alla malattia mentale. Ma se vogliamo avere successo dobbiamo anche chiederci cosa non ha funzionato negli sforzi precedenti e come dovremo agire per realizzare i cambiamenti desiderati.
C’è un gap tra i progressi scientifici e la loro applicazione: tra ciò che sappiamo e ciò che viene effettivamente fatto. Abbiamo molte prove di efficacia senza applicazione pratica e molte pratiche senza prove di efficacia.
Come possiamo colmare questo gap tra conoscenze e azioni? Sappiamo che le strategie passive (ad es. la diffusione delle conoscenze) sono inefficaci, se non accompagnate da altre scelte strategiche: una forte leadership, risorse finanziarie e umane, formazione continua, organizzazioni sanitarie efficienti, alleanze e endorsement da parte di opinion leader, solo per citarne alcune.
Negli ultimi tempi, abbiamo spesso sentito dire: non bisogna mai perdere le opportunità create da una crisi. Oggi siamo a un bivio, nel programmare il recupero della salute mentale dalla pandemia. Possiamo pensare che la crisi si risolverà da sola, semplicemente ignorandola, poiché le priorità sono altre; oppure possiamo riaffermare i nostri valori e il nostro impegno, fare le scelte giuste e affrontare le sfide che ci attendono.
Tutto parte da un punto, diceva Kandinsky: il disegno dipende da noi. Sono sicuro che daremo una possibilità alla speranza.
Grazie.
Fabrizio Starace: Direttore Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, Ausl Modena
Professore di Psichiatria di Comunità (ct), Unimore
Presidente Società Italiana di Psichiatria Epidemiologica (Siep)
Membro del Consiglio Superiore di Sanità
fonte: Sanità24 (Il Sole 24ORE)