Nei giorni scorsi mi è capitato di osservare una persona con disabilità motoria sostare per diversi minuti all’entrata di un pubblico esercizio della mia Provincia, nel tentativo di farsi vedere per una banale ordinazione da consumare in veranda. Sono stati attimi interminabili, le mani alzate, ma nascoste dall’andirivieni dei clienti, gesticolavano come appese ad un campanello che nessuno sentiva, perché nessuno vedeva chi ci fosse aggrappato: erano i tentativi di una persona invisibile che cercava di dimostrare di esistere. Il tutto a causa di un banale scalino che gli impediva di accedere al locale, un piccolo ostacolo in grado però di segnare un confine tra la “normalità” e la “discriminazione”; pochi centimetri, ma sufficienti per costringerlo a vivere una vita parallela e sentirsi escluso.
Diciamo subito che quello specifico problema andrà a soluzione in tempi rapidi; l’esercente, infatti, si è immediatamente reso disponibile a provvedere, un gesto da apprezzare, che non era del tutto scontato.
Pur trovandosi poi al centro dell’attenzione, la persona con disabilità non mostrava per nulla di essere adirata, nessun gesto di impazienza o lamentela, non doveva essere la prima volta che viveva tali situazioni e il viso non esternava alcuna meraviglia, ma solo una mesta rassegnazione.
Il nostro mondo civile e moderno è anche questo. Nelle Comunità di appartenenza le persone con disabilità continuano ad essere dei cittadini/e “invisibili”, manca il rispetto e anche la conoscenza dei loro diritti. Certo, sono presenti singoli gesti e opere sociali meritevoli, ma non può finire li e soprattutto non può essere questa la regola.
La continua necessità di dover dipendere da qualcuno disponibile a prestare soccorso alla lunga umilia la persona, la quale smette di chiedere e preferisce rinunciare: è l’inizio dell’isolamento.
Di fatto, per le persone con disabilità l’autonomia e la partecipazione alla vita sociale restano ancora un’utopia. È un viaggio ancora lungo da compiere, un percorso di civiltà nel quale i Sindaci e le Sindache dovrebbero essere una guida coerente, scupolosa e attenta.
I nostri paesi, le nostre piccole città sono realtà che pure hanno dimestichezza con le prassi dell’ospitalità e dell’accoglienza, sono valori ereditati dal passato; siamo invece incapaci di interpretare la disabilità come “opportunità”, in grado di migliorare la qualità della vita di ogni persona. Perché soddisfare le esigenze delle persone con disabilità di oggi e di quelle di domani, che saranno un numero sempre maggiore, concretizzarne i diritti è un investimento sul futuro dell’umanità.
Ogni scalino che eliminiamo, soprattutto quelli della non conoscenza e dell’indifferenza, divengono il viatico per una crescita valoriale comunitaria, una chiave di lettura del domani, perché avere luoghi e città accessibili significa presentare un territorio più visitabile e attrattivo, significa avere Comunità inclusive.
Sono questioni, queste, da dibattere e monitorare nei Consigli Comunali, il luogo più idoneo dove coinvolgere le persone con disabilità e discutere come eliminare ogni forma di discriminazione, dove coltivare l’ambizione e il coraggio per iniziare una stagione della quale essere fieri.
In questa estate, dove le persone ricominciano ad incontrarsi, chiediamo di tenere al centro la disabilità quale tema di comune interesse.